La Libia è in pieno caos dopo la decisione della Corte Suprema di sciogliere il Parlamento, o meglio quello riconosciuto dalle potenze occidentali. Il verdetto, festeggiato a Tripoli con colpi di arma da fuoco sparati in aria dalle milizie islamiste che controllano da agosto quasi tutta la capitale, ha annullato anche l’emendamento che aveva consentito le elezioni lo scorso 25 giugno, invalidando in questo modo il risultato delle urne e tutte le decisioni che gli eletti hanno nel frattempo adottato.
Il primo ministro Abdullah al-Thani e il suo governo riconosciuto dalla cosiddetta comunità internazionale si nascondono a Tobruk, ai confini con l’Egitto, e non hanno più il controllo delle tre principali città libiche ormai da tempo.
La commissione legislativa parlamentare esonerata ha convocato un incontro di emergenza per cercare di sovvertire la decisione della Corte. “I deputati non riconosceranno un verdetto deciso sotto minaccia armata”, ha scritto su Facebook da Torbuk il parlamentare Issam al-Jehani. Nessuna reazione, invece, da parte di Thani, nominato primo ministro ad interim lo scorso marzo da un Parlamento che è stato a sua volta sciolto. Ad agosto aveva presentato le sue dimissioni, ma la nuova assemblea gli ha chiesto di formare un nuovo governo.
L’Alta corte costituzionale ha accettato il ricorso presentato da parlamentari islamici del Congresso generale nazionale, l’ex Parlamento, il cui mandato è scaduto, “resuscitato” però dalle milizie islamiste.
In particolare la decisione della massima autorità giudiziaria è stata sollecitata da un deputato islamista, Abderrauf al-Manai, che insieme ad altri ha boicottato le sedute del Parlamento a Tobruk sostenendo che la legislatura fosse incostituzionale perché l’assemblea non si riuniva nè a Tripoli, nè nella seconda città del paese, Bengasi. “Spero che tutte le parti ora rispettino le decisioni della Corte”, ha detto Manai all’emittente Al-Nabaa.
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