Il referto dell’autopsia del noto attivista anti-apartheid Steve Biko, morto nel 1977 dopo essere stato torturato durante la detenzione, non deve andare all’asta. A chiederlo è la famiglia del leader politico, che contribuì a fondare e guidò il Black Consciousness Movement (Bcm), il Movimento della consapevolezza nera.
Il rapporto redatto dai funzionari del regime razzista – che ufficialmente attribuirono la morte a uno “sciopero della fame” finito male – doveva andare all’asta oggi a Johannesburg, ma la famiglia Biko e la fondazione che ne porta il nome si oppongono: il documento “non dovrebbe essere venduto per il guadagno privato”, si legge nell’ingiunzione urgente presentata in tribunale per fermare l’asta.
Biko fu arrestato dalla polizia il 18 agosto 1977, dopo essere stato fermato a un posto di blocco. Interrogato, picchiato e torturato per 22 ore Biko entrò in coma. Morì il 12 settembre, poco dopo l’arrivo all’ospedale della prigione di Pretoria – distante 1100 chilometri da Port Elizabeth – dove era stato trasportato ammanettato nel retro di una Land Rover.
Esattamente 37 anni fa i funzionari e gli agenti di polizia accusati della morte di Biko furono assolti da ogni accusa dal regime segregazionista di estrema destra. L’autopsia tuttavia aveva mostrato evidenti segni di ferite, in particolare di un trauma cranico che aveva provocato un’emorragia interna. A rivelare la verità furono in seguito i giornalisti e attivisti antirazzisti Donald Woods, amico del leader di Bcm, e Helen Zille, che attualmente guida il partito di opposizione sudafricano Democratic Alliance.
Aggiornamento del 4 dicembre:
Non potrà essere venduto, né usato “in qualsiasi maniera” il referto dell’autopsia di Steve Biko, attivista anti-apartheid morto nel 1977 dopo essere stato torturato in detenzione. Lo ha stabilito il giudice a cui si erano rivolti i familiari del fondatore del Black Consciousness Movement (Bcm) dopo che una casa d’aste di Johannesburg aveva annunciato di essere pronta a vendere il documento. I due possessori del rapporto, Clive e Susan Steele, non avevano infatti diritti su di esso. Lo avevano ricevuto dalla loro madre, segretaria del medico che aveva effettuato l’esame post-mortem. La donna, tuttavia, ne era solo la custode legale. “Non so come abbiano potuto pensare di trasformare in merce quel dossier”, ha commentato Nkosinathi Biko, figlio di Steve, “se non per un’enorme avidità” o “standard morali dubbi”.
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