Ottenere una pensione e vedere le proprie famiglie più a lungo: è quanto vorrebbero vedersi concesso circa 40.000 minatori mozambicani che lavorano in Sudafrica. Richieste naturali e umane, ma a cui la legge dei due paesi pone oggi un ostacolo, mentre le discussioni su una possibile riforma procedono lentamente.
La questione delle pensioni è certamente quella che ha il maggiore impatto sulla prospettiva di vita di questi lavoratori: di fatto oggi non ne hanno diritto né in Mozambico – dove non lavorano, e quindi non sono iscritti alla previdenza sociale – né in Sudafrica.
Il governo di Pretoria, infatti, inserisce i lavoratori stranieri (generalmente assunti con contratti a tempo, ma rinnovabili di anno in anno) nel cosiddetto “provided fund”, dove vengono versati i loro contributi. Una volta raggiunta l’età pensionabile (o un numero sufficiente di anni di contribuzione), però, la somma viene consegnata in un’unica rata, cosa che – dimostrano le statistiche raccolte negli anni – è di ostacolo a una gestione oculata.
Molti minatori, dunque, ha spiegato Victor Cossa, presidente della commissione che se ne occupa in Mozambico, “tornano poveri” al loro paese d’origine. La soluzione suggerita dalle autorità sudafricane è quella di un’integrazione dei lavoratori nel sistema pensionistico mozambicano. Una necessità che anche il governo di Maputo riconosce; tuttavia il ministero del Lavoro ha definito il processo “complesso e da preparare con molta attenzione”.
Intanto, i minatori hanno rivolto a Pretoria un’altra richiesta. Quella di estendere il tempo di visita concesso ai loro familiari in Sudafrica fino a permettere loro di essere sul territorio sudafricano per tutta la durata del contratto. Attualmente la permanenza concessa è di 30 giorni. Anche questo cambiamento, tuttavia, si annuncia difficile, considerata la riforma in senso restrittivo del sistema dei visti d’ingresso in vigore da quest’estate in Sudafrica.
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