Dura ormai da otto giorni la clamorosa protesta dei lavoratori e delle lavoratrici di una grande fabbrica di calzature di proprietà cinese. Al centro della inedita mobilitazione portata avanti da una parte degli 80.000 dipendenti della Pou Yuen Vietnam, non solo l’inadeguatezza dei salari a fronte di un’inflazione galoppante, ma anche la nuova legge sulla previdenza che prevede un compenso mensile successivo al pensionamento – simile a quanto accade nei paesi occidentali – anziché la consegna dei contributi maturati in un’unica soluzione anche in caso di licenziamento, come finora avveniva.
La protesta iniziata una settimana fa non si limita solo al complesso industriale di Hochiminh City che produce anche per grandi brand straniere come Nike, Adidas, Converse e Reebok, ma ha riguardato anche l’autostrada numero 1, con il blocco delle carreggiate da parte dei dipendenti. Finora le mobilitazioni e i cortei dei lavoratori si sono svolti sotto il controllo delle forze dell’ordine che però non sono mai intervenute contro gli scioperanti.
L’azienda è anche accusata dai sindacati di aver “distratto” negli ultimi tre mesi il denaro prelevato dallo stipendio dei lavoratori per le coperture assicurative, utilizzandoli per altri scopi invece di depositarlo nelle casse dell’agenzia di Stato.
La novità di questa protesta non sta solo nella sua consistenza e nella sua durata, ma anche nelle motivazioni che prendono di petto alcune politiche governative, come quella pensionistica, e non solo necessità immediate, come salario, condizioni di lavoro e orari.
La proposta governativa di una parziale marcia indietro che consentirebbe ai lavoratori la scelta al ritiro dal lavoro a 60 anni per gli uomini e 55 anni per le donne, tra una pensione mensile o un unico versamento, è stata accolta con favore dai sindacati ufficiali che hanno chiesto ai tesserati di tornare al lavoro. Ma i gruppi più o meno spontanei di lavoratori dell’azienda hanno rifiutato per ora l’offerta continuando la mobilitazione.
Da venerdì scorso, un altro grande impianto produttivo calzaturiero, Kingmaker, nella provincia meridionale di Binh Duong, vede la protesta di 5000 dipendenti, in questo caso con al centro la richiesta di un adeguamento dei salari all’inflazione cresciuta in un anno – da luglio 2013 a luglio 2014 – del 27%. I lavoratori dell’impianto di proprietà di una compagnia di Hong Kong chiedono un aumento del salario attuale equivalente a 60 euro mensili e un miglioramento della mensa aziendale.
Infine, sempre da una settimana, un migliaio di lavoratori è in sciopero in una fabbrica di proprietà nordcoreana nella provincia di Long An, anche in questo caso per un migliore livello salariale davanti ai costi crescenti di abitazioni, cibo e sanità.
Lo scorso gennaio il governo ha portato il salario minimo garantito degli impiegati statali all’equivalente di circa 35 dollari, quello degli operai impiegati in aziende pubbliche a 40 e tra 45 e 60 dollari quello degli assunti in imprese frutto di investimenti stranieri.
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