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Gli scontri alla Foxconn di Zhengzhou, e dintorni

È la prima volta – dai tempi del grande sciopero alla Honda del 2010 – che una lotta operaia in Cina arriva all’attenzione dei media internazionali. La politica di azzeramento dinamico ha fatto cortocircuitare una serie di contraddizioni. Contraddizioni che sembrano ancora più acute dalla pubblicazione dei “venti punti” che avrebbero dovuto responsabilizzare i funzionari locali a essere più razionali, mentre l’applicazione sembra invece aver aumentato la confusione.

Ovviamente gli operai della Foxconn di Zhengzhou non sono finiti sui giornali internazionali perché all’improvviso i media hanno scoperto che gli operai che fanno gli scontri sono una cosa buona, ovviamente c’è un grosso elemento di strumentalizzazione sia da parte di chi vorrebbe un deciso allentamento dei controlli per recuperare un po’ di profitti, sia da parte di chi semplicemente vuole sparare contro la Cina con ogni possibile mezzo. Ma essere coscienti delle strumentalizzazioni serve a stare all’occhio, non è la scusa per voltarsi dall’altra parte dicendo che tanto è tutto un complotto.

Lavoratori e lockdown

Intanto, non è certo la prima volta che si manifestano esplosioni di conflittualità operaia contro le misure sanitarie. Era già successo fin dall’inverno-primavera del 2020. Solo che allora le misure di sicurezza facevano chiudere le fabbriche e infatti a protestare rimanevano i migranti interni che restavano senza coperture di welfare per il lavoro e spesso non riuscivano a rientrare nelle zone rurali per avere accesso al welfare statale.

Da un annetto le grandi fabbriche hanno avviato una risposta diversa: il circuito chiuso. Cioè, se la zona della fabbrica oltrepassa un certo livello di misure restrittive, viene riorganizzata la vita degli operai all’interno delle strutture delle fabbriche. Era già successo, per esempio, a Shanghai con la GigaFactory della Tesla.

La Foxconn

La Foxconn è un gigante del settore elettronica che assembla, tra gli altri prodotti, la componentistica di Apple. È nota per essere tra i peggiori padroni del settore. Si parla di impianti con centinaia di miglia di persone.

La Foxconn di Zhengzhou (provincia dello Henan) a ottobre ha attuato il circuito chiuso. La diffusione di notizie sul contagio di vari operai e la morte di un operaio in un dormitorio della fabbrica ha scatenato una vera e propria evasione dei lavoratori per tornare ai propri paesi d’origine.

I numeri non sono chiari, anche perché è abbastanza palese che Foxconn violasse in maniera spudorata la legge che prevede un massimo del 10% della forza lavoro assunta tramite agenzie di intermediazione. Qualcuno dice che l’80% o il 90% degli operai fosse tramite agenzie.

Quale che sia la percentuale esatta, in seguito all’evasione la Foxconn ha dovuto assumere un numero grandissimo di nuovi operai, si parla di circa 100mila persone! Per convincere i nuovi operai, la Foxconn ha offerto un forte aumento dei bonus, che in Cina compongono una grande quota che va oltre il salario mensile.

Quando si è diffusa la notizia che l’azienda avrebbe posticipato il pagamento dei bonus, sono cominciate proteste pesanti, con scontri tra gli operai, le guardie dell’azienda, la polizia e le “tute bianche” del personale sanitario.

Le chat di Weibo sono esplose di racconti e rivendicazioni diverse, ovviamente in testa la questione dei soldi, ma anche tantissimi che rivendicano di non voler lavorare senza tamponi costanti.

Le proteste hanno costretto la Foxconn a fare vari passi indietro, bofonchiando che era stato un errore del software e di fatto concedendo immediatamente tre mesi di bonus a chi volesse andarsene immediatamente.

I media governativi hanno dato ampio spazio alla rettificazione della Foxconn e alcuni personaggi – influencer filo-governativi – hanno cominciato a montare la retorica del padrone cattivo taiwanese che non rispetta le leggi cinesi.

La cosa che mi colpisce è che la politica di azzeramento dinamico sembra aver portato indietro le lancette ai primi anni ’00, col paternalismo di fabbrica e le proteste costruite nei dormitori. Quando parliamo di “dormitori”, teniamo conto che intendiamo di palazzi e palazzi da 10 piani.

Ma la similitudine finisce qui. Vent’anni fa era l’apice dell’abbondanza e della mobilità di manodopera e di capitale. Oggi entrambi sono più scarsi e più controllati. Foxconn giura che tutti i casini non hanno intaccato la produzione.

Quello che c’è da chiedersi è come queste cose influiranno sulle catene globali dal valore. La Foxconn è forse un caso limite perché unisce il gigantismo (e la forza che ne deriva nel poter ignorare qualunque legge) alla ipercompetizione internazionale che comprime i margini di profitto. Ma non vuol dire che il resto dei mercati non si trovi di fronte a situazioni simili.

Da ultimo, non so chi abbia usato per primo l’espressione “un caso raro/unico di resistenza in Cina”, ma è diventato subito un luogo comune sui giornali.

Fortunatamente non è così. Di vertenze e lotte se ne documentano a centinaia ogni anno, ben sapendo che riusciamo ad avere informazioni solo su una frazione di quanto accade sul terreno.

Quando la strumentalizzazione degli scontri alla Foxconn sarà svanita (magari per essere rimpiazzata da qualche piagnisteo sullo stato cattivo che mette troppe regole alle brave imprese come Foxconn) la domanda che ci dovrebbe rimanere è se queste lotte avranno uno spazio politico come, con mille se e con mille ma, hanno avuto quelle del 2010.

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1 Commento


  • Mauro

    E meno male che in Cina”comanda”il Partito Comunista,se no sai che…

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