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Faccio un esempio estremo: se per prevenire la morte di 10mila ottantenni si facesse perdere un anno di scuola e si ipotecasse il futuro di 10 milioni di giovani? Il mio babbo non c’è più ma sarebbe onorato dì sacrificarsi.”

Ho trovato in rete queste parole mostruose di un dirigente medico del San Raffaele che opera anche nel Synlab.

Non so in quale occasione abbia scritto che suo babbo sarebbe stato felice di morire, insieme ad altri diecimila anziani più fragili, per permettere ai giovani di andare a scuola, ma il 15 giugno scorso sul suo account ha corredato di curve e numeri questa tesi.

Secondo questo dirigente della sanità privata – tolta di mezzo la Cina che ha scelto di salvare le vite in modo radicale, ma si sa, quella “è una dittatura”… – l’Italia e tutti i sistemi occidentali hanno avuto una curva dei decessi simile a quella degli Stati Uniti.

...il coronavirus esige un suo tributo di decessi… falcidiando una fascia suscettibile e fragile e poi si acquieta con una coda di casi più lievi, via via che nella popolazione residuano soggetti meno suscettibili e più reattivi all’infezione, sostanzialmente l’immunità di gregge.

Questo signore non è un negazionista o un complottista. Anzi, è semplicemente un operatore della sanità privata che sostiene una teoria semplicissima e brutale: fa più danni fermare l’economia che lasciar morire di Covid vecchi e malati, che prima o poi se ne andrebbero comunque.

Nella sua forma estrema questa teoria si è manifestata nella eugenetica e nella selezione della razza dei nazisti. Lì sì trattava di uccidere i deboli ed i malati, qui basta lasciarli morire.

Questo dirigente medico del San Raffaele andrebbe messo in quarantena morale, a nome di suo padre e di tutti gli anziani, che non sono affatto onorati di sacrificarsi per un sistema che ha venduto la salute al profitto della sanità privata. Però questo signore in realtà afferma quel principio feroce che tutti i governi occidentali hanno applicato nei fatti sotto la pressione del mondo degli affari.

E solo noi abbiamo avuto non 10mila, ma 36mila morti.

Le parole del dirigente medico semplicemente confermano che il capitalismo liberale è nemico del genere umano e che oggi più che mai l’alternativa è socialismo o barbarie.

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Con queste parole Giorgio Cremaschi ha commentato il post di un “collega di Zangrillo” che ha semplicemente dimenticato il pilastro fondamentale della sua professione: il giuramento di Ippocrate. Ossia l’impegno a salvare la vita di ogni paziente, di fatto prolungandola. Lavorando nella sanità privata, deve aver “naturalmente” prevalso la tendenza a limitare questo impegno nei confronti dei soli “pazienti paganti”. Come negli Usa…

La storia dell’umanità, e dunque anche della medicina, ha messo spesso gli operatori sanitari davanti alla terribile scelta di dover salvare uno o l’altro dei pazienti che avevano davanti. Avviene di solito in guerra, o nei grandi disastri naturali (terremoti, ecc), quando la massa dei feriti alle porte delle camere operatorie diventa tale che non è possibile operare in  tempo utile tutti quelli che ne avrebbero necessità.

In quei casi, e solo in quei casi, i medici sono costretti a decidere chi operare per primo in base a criteri oggettivi – pur sempre fallibili – che tutti possiamo però condividere: gravità delle ferite, speranze di sopravvivenza, qualità della vita futura in condizioni di menomazione, età (e certamente è giusto salvare i più giovani), ecc.

E’ lo stesso criterio che viene da sempre adottato in caso di naufragio (prima le donne e i bambini, poi i maschi giovani e infine gli anziani, se c’è posto). E sono criteri sacrosanti.

Anche durante la “prima ondata” della pandemia – nella scorsa primavera – in diversi ospedali del Nord Italia parecchi medici si sono trovati in una situazione simile, e hanno dovuto scegliere chi intubare e chi no, in base al numero dei respiratori a disposizione e, naturalmente, a quegli stessi “criteri oggettivi” da medicina di guerra.

Ci troviamo in una situazione simile?

Siamo sicuramente in tempi eccezionali, senza precedenti per chiunque sia oggi in vita. Non siamo in una guerra, ma in una pandemia affrontabile con razionalità, per cui esistono sufficienti risorse da consentire – specie nei paesi più industrializzati – una robusta resistenza. Minimizzando i danni e le perdite umane nel mentre si attende un vaccino efficace.

Diversi paesi hanno dimostrato che si può ridurre ai minimi termini il rischio e, nel farlo, si riesce persino a far andare avanti – anzi: a far crescere, come nel caso della Cina – l’economia. Per quanto si possa immaginare che le tecnologie siano risolutive, infatti, per creare ricchezza servono gli esseri umani. E, se si ammalano e debbono restare isolati in casa o in ospedale, il Pil ne risente comunque.

Ma il dott. Bettin, nel suo post, non ragiona da medico bensì da homo oeconomicus. Il suo “suggerimento” – “estremo”, per carità… – mette le necessità della produzione (e “dello studio”, per sembrare più accattivante) davanti alla tutela della vita.

Anche questo non è del tutto originale. C’è una lunga tradizione eugenetica – di origine anglosassone, poi fatta propria con entusiasmo dai nazisti – che teorizza l’eliminazione della parte di umanità “superflua” rispetto ad obbiettivi vari (la “purezza” o “eccellenza della razza”, la riduzione dei problemi sociali identificati con qualche “devianza” psicofisica, ecc).

Anche in quel caso ci furono diversi medici pronti a mettersi al servizio di quella politica. Do you remember Josef Mengele?

Diciamo però che postulare la strage degli anziani (ed anche di molti giovani e/o di mezza età) per “ragioni di Pil” è davvero un tantino “estremo”.

Ma è anche il discorso che ci viene propinato da quasi un ventennio da tutti i vertici istituzionali ed ideologici del neoliberismo. “Bisogna ridurre l’età pensionistica in ragione delle aspettative di vita”, “eliminare i sussidi e gli ammortizzatori sociali”, tagliare la sanità pubblica, trasformare la scuola in “formazione professionale”, in generale ridurre il ruolo economico e previdenziale del “pubblico”… sono tutte ideuzze che fanno parte di una logica organica sufficientemente chiara: tutto ciò che non serve per l’accumulazione capitalistica, o costituisce una “spesa improduttiva”, va eliminato.

E se ciò comporta l’accorciamento delle aspettative di vita di tutta la popolazione “non benestante”, beh, bisogna farsene una ragione.

Avevamo racchiuso questo “discorso” ideologico in una massima: dovete morire prima. Voi/noi poveri lavoratori, naturalmente.

La pandemia, a questo scopo, sembra offrire una chance quasi irripetibile. E il dott. Bettin – dall’alto o dal basso della sua esperienza – invita i centri decisionali a non farsela sfuggire. In fondo garantisce lui che “anche il mio babbo […] sarebbe onorato dì sacrificarsi.”

Fortunatamente “non c’è più” – quando si chiamano a testimoniare i morti la malafede è certa! – perché magari avrebbe potuto ricordare a questo scriteriato figlio che “accorciare la vita a qualcuno”, che sia di un’ora, un anno o un trentennio, è omicidio. Su larga scala è politica di sterminio. O anche soluzione finale, per chi conserva memoria storica.

Ma se tutti cominciano a capire che c’è un potere che ci vuole “accorciare la vita”, beh… vada avanti lei.

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1 Commento


  • pierluigi

    Questo è il capitalismo,bellezza!!!Lo dice un MEDICO che lavora per un centro sanitario privato SYNLAB guarda caso laboratorio privato TEDESCO:nessuna sorpresa l’origine è DOC

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