In Italia i molti lo vezzeggiano. Negli Usa sono costretti a sperare che risollevi le sorti di Chrysler, o che almeno la tenga aperta. Ma il Financial Times – una delle bibbie economiche quotidiane – non sembra per niente convinto.
«La Fiat sta per prendere il pieno controllo di Chrysler. Ma Sergio Marchionne, l’iper-ambizioso amministratore delegato italo-canadese delle due società, è ancora lontano dal suo sogno di creare un produttore globale di successo».
Il commento non è affatto tenero sulla scalata del Lingotto nel gruppo automobilistico statunitense e avverte dei pericoli dietro l’angolo. «Il debito rimane un grosso problema. Le spese per interessi sul debito di 13,1 miliardi a fine 2010 sono state il motivo principale per cui l’utile operativo di 763 milioni di dollari è diventato una perdita di 652 milioni dopo le tasse».
Secondo il Ft, «per progressi finanziari decisi, servono attività molto più redditizie» e «Chrysler non può semplicemente emulare Fiat», perchè le manca la fascia alta di mercato (Ferrari e Maserati) e non può contare su una presenza così forte in Brasile.
«Marchionne ha piani credibili per far rinascere entrambe le società. Ma i problemi di Carlos Ghosn offrono una lezione che serva da avvertimento. Nono solo l’iper-ambizioso a.d. franco-libanese di Renault e Nissan non e riuscito a gestire adeguatamente entrambe le società, ma il direttore operativo di Renault è stato appena costretto a lasciare, in uno scandalo che si appoggia su un eccessiva fiducia nei propri mezzi». Fare domande ai manager, insomma, non è “fuori dal mondo”, ma il minimo del dovere, se non ci si vuol far sorprendere da fughe improvvise o fallimenti inattesi.
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