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“Barricate” a difesa dell’art.18

In un documento reso noto oggi, l’Unione Sindacale Base scrive:

La Ministra dalla lacrima facile, la Dott.ssa Fornero, annuncia che il governo è pronto a passare alla fase due. Avremmo immaginato almeno l’accenno ad un piano d’investimenti per stimolare lo sviluppo e la crescita dei posti di lavoro, macchè, la Ministra, che ha dichiarato di essere contraria ai contratti precari, si è detta favorevole ad un contratto unico che ”non tuteli più il solito segmento iperprotetto”!

In soldoni si tratta di smantellare quelle poche garanzie ancora assicurate dall’art.18 in tema di licenziamenti individuali. Tutta la propaganda della destra di Governo, della Confindustria e, per la verità, anche del centro e di settori non marginali del PD, da anni sostengono che questo articolo della Legge 300/70, lo Statuto dei Lavoratori, sarebbe il vero ostacolo all’aumento dell’occupazione, egoisticamente difeso dai soliti corporativi che impediscono così ai giovani di trovare lavoro.

Nessuno dice che le imprese hanno già tutti gli strumenti per licenziare e lo hanno ampiamente dimostrato in  anni di ristrutturazioni e di delocalizzazioni: le grandi aziende ricorrendo a mobilità forzate e CIG, preludio ai licenziamenti di massa, le piccole sotto i 15 dipendenti semplicemente mandando a casa i lavoratori ad ogni accenno di crisi e comunque chiunque fosse indesiderato, visto che non hanno alcun obbligo di giustificare i licenziamenti, non applicandosi ad esse l’art.18 dello Statuto. Solo per la cronaca, le piccole aziende rappresentano nel nostro paese circa il 95 % del mondo produttivo.

L’obiettivo reale è la ricomposizione del profitto attraverso la compressione dei diritti dei lavoratori, altro che innovazione o nuovi investimenti. Per raggiungere questo obiettivo venduto come fattore di crescita del paese, in realtà lo è solo per il profitto, occorre la pace sociale all’interno delle imprese, liberandosi di chi non ci sta.

In nome dell’equità si risolve il problema della precarietà rendendo precari quelli che ancora non lo sono.

La libertà di licenziare, oltre a ridurre il potere di difesa dei lavoratori, rendendoli totalmente subordinati agli interessi del datore di lavoro, li costringe ad assumere su di sé il rischio di impresa. La ridefinizione degli ammortizzatori sociali, chiamata flexsecurity, altro non è che scaricare i costi dell’operazione sulla collettività mentre il surrogato di salario che si propone in cambio del lavoro somiglia fin troppo al sussidio di beneficienza della grande depressione degli anni trenta, più volte evocata come spettro per convincerci a diventare più poveri per paura della povertà.

I costi sono già coperti dal taglio di pensioni, servizi, salari, un vero e proprio fondo in nero per operazioni di sostegno alle imprese, una sorta di tangente al contrario per la incapacità di fare impresa.

Trasformare il salario da lavoro in indennità di povertà è un’idea che viene da lontano; ridefinita ora come uscita dolce dal lavoro, la teorizza Ichino, la utilizza Sacconi, la riprende Monti che è andato a lezione dai danesi che già la praticano. La pressante richiesta di CGIL CISL UIL per riprendere la concertazione sindacale è comprensibile, i nuovi ammortizzatori sociali possono essere un nuovo grande affare”. L’Usb conclude la sua nota sottolineando che “Lo sciopero proclamato per il 27 gennaio non è solo contro questa manovra, ma deve essere sentito come l’inizio della nostra contromanovra sociale. Questa è la sfida che abbiamo davanti, altro che ripresa della concertazione!”

Una dichiarazione di Giorgio Cremaschi della Rete 28 aprile

Le dichiarazioni di esponenti del governo e della Confindustria che aprono la strada, come peraltro richiesto dalla lettera della Bce, verso la messa in discussione dell’articolo 18 e verso licenziamenti ancora più facili, sono di una gravità inaudita. Mentre la stessa Confindustria annuncia 800 mila nuovi disoccupati per il prossimo anno, si pensa di affrontare la crisi rendendo più facile il licenziamento. Il tutto in nome dei giovani. E’ un’autentica follia. Al contrario, di fronte a questa situazione drammatica sul piano occupazionale, occorrerebbero misure di segno opposto a quelle prospettate, quale il blocco dei licenziamenti e della chiusura delle aziende, l’estensione della tutela dell’articolo 18 a chi non ce l’ha. A questo punto occorre un’azione del movimento sindacale ben più incisiva di quella finora attuata.

Se davvero il governo andrà avanti a gennaio dobbiamo fare le barricate, ci vuole una mobilitazione sociale e politica in grado di fermare il governo e la Confindustria. Su questa materia non ci saranno prove di appello, o travolgeremo il governo, o tutti i diritti del movimento del lavoro ne verranno travolti.

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