A Ntv la liberalizzazione piace proprio tanto Ma ricorda i «vantaggi» del disastro inglese
Tommaso De Berlanga
La privatizzazione in Gran Bretagna: incidenti con decine di morti e l’esplosione del prezzo dei biglietti
Questo giornale aveva definito l’art. 42 dell’attuale «bozza sulle liberalizzazioni» una «norma Montezemolo» sul «modello inglese» per un motivo evidente. Quelle poche righe rimuovono infatti l’«eccezione» maligna all’art. 8 della «manovra d’agosto», riservata da Sacconi & co. al solo trasporto ferroviario, obbligato comunque al rispetto del contratto nazionale di lavoro e delle normative regolamentari. Un dispetto, si diceva, per chi aveva ottenuto da Cgil, Cisl e Uil un contratto aziendale con il costo del lavoro inferiore del 40% a quello che gli stessi sindacati stavano contrattando con Fs e, in più, sembrava sul punto di «scendere in politica».
Forse piccata da questa definizione, Ntv ieri ha pubblicato sul suo sito un position paper in cui segnala che – in effetti – la «privatizzazione (della rete ferroviaria britannica, oltre che del trasporto passeggeri, ndr) ha prodotto risultati negativi, tanto è vero che dopo qualche anno il Governo inglese ha fatto retromarcia e ha riassegnato l’infrastruttura allo Stato». Mentre «tutt’altro è stato il risultato della separazione» tra rete e traffico, che «nel periodo 1995-2010» ha prodotto «le migliori performance d’Europa». Seguono numeri eccellenti per quantità di passeggeri trasportati, costi, ricavi, ecc. Sì da poter concludere che «anche i dati economici smentiscono qualunque valutazione negativa sul caso inglese».
Per fortuna gli italiani possono ancora ammirare il film di Ken Loach Paul, Mick e gli altri, che fotografa sia la condizione dei ferrovieri inglesi, sia quello del servizio offerto. Lì si vedono scene prese dalla cronaca: lavoratori costretti a distruggere i loro strumenti di lavoro per evitare che li usi la compagnia concorrente, altri che spengono un fuoco col fango perché l’estintore appartiene a un’altra compagnia, E così via. Fiction, si dirà. Non tanto, perché in quel film gli attori facevano domande, i ferrovieri in carne e ossa rispondevano. Normale giornalismo trasportato al cinema.
Facciamo allora parlare la cronaca, perché dopo la privatizzazione le gloriose «Ferrovie Britanniche» hanno perso sia la puntualità che la signorilità. Soprattutto hanno perso in sicurezza. La British Rail fu privatizzata in più fasi, tra il 1994 e il 1997. Si iniziò proprio con la «rete». Si arrivò a questa decisione dopo oltre un decennio in cui la Thatcher aveva sistematicamente bocciato ogni richiesta di finanziamento per gli inevitabili ammodernamenti, persino dopo il gravissimo del 12 dicembre 1988 a Clapham Junction, costato 35 morti.
Lo schema era chiaro: il potere politico liberista blocca gli investimenti, l’infrastruttura decade, si moltiplicano gli incidenti o i malfunzionamenti e infine si può avviare la privatizzazione tra gli olè della stampa e l’imbarazzo degli utenti. Pardon, futuri «clienti».
Dal 1994 abbiamo questi avvenimenti:
Gennaio 1995. Un morto e 30 feriti ad Aisgill.
Agosto 1996. Un morto e 69 feriti nel tamponamento di un treno con un altro in sosta a Watford South Junction, nello Hertfordshire.
Settembre 1997. 7 morti a bordo di un treno passeggeri che investe un merci a Southall.
Giugno 1999. 31 feriti sul treno Londra-Glasgow che urta un locale in sosta vicino a Winsford, nel Cheshire.
5 ottobre 1999. Il più sanguinoso della storia britannica: 40 morti e 160 feriti a Paddington, nello scontro frontale tra due convogli passeggeri.
A questo punto il governo dell’epoca, ossia Tony Blair, ultraliberista quanto la Thatcher e Major, è costretto a rinazionalizzare almeno la rete. I costi della manutenzione di un sistema ferroviario sono davvero enormi. Nessun privato, legato da un contratto di servizio comunque temporaneo, riesce davvero a sostenerli. In ogni caso, quando si avvicina la scadenza del contratto – anni prima, nel caso in questione – smette di investire per l’incertezza sul rinnovo. Come un mezzadro.
È un curioso modo di fare impresa quello che addossa alla collettività i costi (la manutenzione e l’ammodernamento tecnologico della rete, Tav compresa) e ai privati i guadagni (trasporto passeggeri solo «alta redditività»). Ma capiamo il punto di vista di Ntv. Il costo dei biglietti sulle Ferrovie britanniche – dopo la privatizzazione – è aumentato di molte volte. Un «vantaggio economico» c’è di sicuro, dunque. Ma non per noi cittadini.
Forse piccata da questa definizione, Ntv ieri ha pubblicato sul suo sito un position paper in cui segnala che – in effetti – la «privatizzazione (della rete ferroviaria britannica, oltre che del trasporto passeggeri, ndr) ha prodotto risultati negativi, tanto è vero che dopo qualche anno il Governo inglese ha fatto retromarcia e ha riassegnato l’infrastruttura allo Stato». Mentre «tutt’altro è stato il risultato della separazione» tra rete e traffico, che «nel periodo 1995-2010» ha prodotto «le migliori performance d’Europa». Seguono numeri eccellenti per quantità di passeggeri trasportati, costi, ricavi, ecc. Sì da poter concludere che «anche i dati economici smentiscono qualunque valutazione negativa sul caso inglese».
Per fortuna gli italiani possono ancora ammirare il film di Ken Loach Paul, Mick e gli altri, che fotografa sia la condizione dei ferrovieri inglesi, sia quello del servizio offerto. Lì si vedono scene prese dalla cronaca: lavoratori costretti a distruggere i loro strumenti di lavoro per evitare che li usi la compagnia concorrente, altri che spengono un fuoco col fango perché l’estintore appartiene a un’altra compagnia, E così via. Fiction, si dirà. Non tanto, perché in quel film gli attori facevano domande, i ferrovieri in carne e ossa rispondevano. Normale giornalismo trasportato al cinema.
Facciamo allora parlare la cronaca, perché dopo la privatizzazione le gloriose «Ferrovie Britanniche» hanno perso sia la puntualità che la signorilità. Soprattutto hanno perso in sicurezza. La British Rail fu privatizzata in più fasi, tra il 1994 e il 1997. Si iniziò proprio con la «rete». Si arrivò a questa decisione dopo oltre un decennio in cui la Thatcher aveva sistematicamente bocciato ogni richiesta di finanziamento per gli inevitabili ammodernamenti, persino dopo il gravissimo del 12 dicembre 1988 a Clapham Junction, costato 35 morti.
Lo schema era chiaro: il potere politico liberista blocca gli investimenti, l’infrastruttura decade, si moltiplicano gli incidenti o i malfunzionamenti e infine si può avviare la privatizzazione tra gli olè della stampa e l’imbarazzo degli utenti. Pardon, futuri «clienti».
Dal 1994 abbiamo questi avvenimenti:
Gennaio 1995. Un morto e 30 feriti ad Aisgill.
Agosto 1996. Un morto e 69 feriti nel tamponamento di un treno con un altro in sosta a Watford South Junction, nello Hertfordshire.
Settembre 1997. 7 morti a bordo di un treno passeggeri che investe un merci a Southall.
Giugno 1999. 31 feriti sul treno Londra-Glasgow che urta un locale in sosta vicino a Winsford, nel Cheshire.
5 ottobre 1999. Il più sanguinoso della storia britannica: 40 morti e 160 feriti a Paddington, nello scontro frontale tra due convogli passeggeri.
A questo punto il governo dell’epoca, ossia Tony Blair, ultraliberista quanto la Thatcher e Major, è costretto a rinazionalizzare almeno la rete. I costi della manutenzione di un sistema ferroviario sono davvero enormi. Nessun privato, legato da un contratto di servizio comunque temporaneo, riesce davvero a sostenerli. In ogni caso, quando si avvicina la scadenza del contratto – anni prima, nel caso in questione – smette di investire per l’incertezza sul rinnovo. Come un mezzadro.
È un curioso modo di fare impresa quello che addossa alla collettività i costi (la manutenzione e l’ammodernamento tecnologico della rete, Tav compresa) e ai privati i guadagni (trasporto passeggeri solo «alta redditività»). Ma capiamo il punto di vista di Ntv. Il costo dei biglietti sulle Ferrovie britanniche – dopo la privatizzazione – è aumentato di molte volte. Un «vantaggio economico» c’è di sicuro, dunque. Ma non per noi cittadini.
da “il manifesto”
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