L’incidente che ha visto protagonisti negativi i due marò italiani – che hanno ucciso due innocui pescatori scambiandoli per “pirati” – «è avvenuto fuori dalle acque territoriali indiane». La Corte Suprema ha però respinto la pretesa italiana di far giudicare a una corte del nostro paese i due militari “in affitto” a una società petrolifera; ha infatti precisato che i due militari «non godevano di immunità sovrana» nella loro funzione di sicurezza sulla Enrica Lexie, che avrebbe comportato automaticamente l’applicazione della giurisdizione italiana.
Una volta trasferiti a New Delhi in forza di un’ordinanza della Corte Suprema indiana, i marò avranno libertà di movimento in tutta l’India.
Sembra dunque evidente il “compromesso diplomatico” che permetterà di evitare una condanna pesante senza però togliere all’India l’autorità di sentenziare su due militari stranieri colpevoli di omicidio, sia pure per errore.
Il processo viene tolto alla corte dello stato del Kerala, cui appartenevano i due pescatori morti, e quindi più “sensibile” all’indignazione popolare e affidato a un “tribunale speciale” federale, molto più sensibile alle necessità di mantenere buoni rapporti tra i due paesi.
Una soluzione “concordata” – l’unica possibile, nella logica della diplomazia internazionale tra due paesi che si devono riconoscere “pari dignità” – era già apparsa evidente quando, al termine della speciale “vacanza natalizia”, i due militari erano tornati regolarmente in India.
Sconfitta dunque la iniziale reazione “imperialistica” italiana, che pretendeva l’immunità totale rispetto alla giurisdizione indiana come riconoscimento di uno “status” superiore ed extra legem locale ai militari italiani, sulla falsariga di quanto avvenuto invece tra Italia e Stati Uniti dopo la tragedia del Cermis.
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