Insussitenza della certezza della prova. Sarebbe questo il nodo dell’intera inchiesta sulla (presunta, in attesa di giudizio) compravendita del senatore Sergio De Gregorio.
Il gip di Napoli, Marina Cimma, ha rigettato la richiesta di giudizio immediato perché, così come avevano sostenuto i legali di Silvio Berlusconi, Michele Cerabona e Niccolò Ghedini, “non c’erano le condizioni per ritenere certa l’ipotesi di corruzione che si andava a sostenere”.
In particolare, dalle stesse dichiarazioni che Sergio De Gregorio ha rilascito il 28 e il 29 dicembre scorso ai pm napoletani “non emerge con chiarezza il ruolo di Berlusconi nell’ipotesi della corruzione” per il presunto traghettamento dello stesso De Gregorio dall’Idv al Pdl nel 2007, quando al centrodestra servivano voti al Senato per far cadere la maggioranza di centrosinistra.
E “Berlusconi non avrebbe esercitato le sue funzioni per il pagamento dei soldi che avrebbero spinto De Gregorio ad aderire al Pdl”.
Il gip ha anche trattato l’altra circostanza sollevata dai legali di Berlusconi, ovvero il mancato interrogatorio e il diniego da parte dei pm di “ritenere legittimo l’impedimento di Berlusconi che si era comunque mostrato disponibile ad essere sentito dall’Ufficio inquirente”.
La legge non è uguale per tutti, par di capire. O, almeno, i giudici non sono tutti uguali.
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