Scriveva qualche mese fa l’Huffington Post: “Il piano Industria 4.0, fortemente voluto da Confindustria e promosso dal governo, potrebbe rappresentare una grande opportunità per rilanciare l’industria manifatturiera nazionale. Puntando sull’innovazione tecnologica, il piano identifica 9 aree tecnologiche coinvolte nell’automazione industriale e introduce agevolazioni fiscali per le aziende che investono in produzione additiva, robotica industriale, integrazioni verticali e orizzontali, big data, cyber sicurezza, cloud, internet delle cose, simulazione e realtà aumentata. Per una nazione che vive di piccole e medie imprese manifatturiere, le aggregazioni tra imprese per aumentare la dimensione aziendale, l’ammodernamento delle linee di produzione, e le innovazioni tecnologiche, saranno i principali fattori di rilancio competitivo. La diminuzione del carico fiscale su imprese e lavoro, sarà decisiva e dovrà tornare a essere il primo obiettivo del governo italiano.”
Questo il piano su cui si basa l’Italia per il rilancio dell’economia, che vedrà in 5 anni il taglio di 1 milione di posti di lavoro, e che dovrebbe massimizzare la produttività e i profitti. D’altronde, come già si ricordava in questo giornale, un robot fa lo stesso lavoro rispetto ad un essere umano, col vantaggio di essere più preciso, più veloce, più silenzioso, e con meno (zero) bisogni sociali da soddisfare.
Per la promozione del Piano Nazionale 4.0 scende in campo la Messe Frankfurt, il piu grande ente fieristico tedesco, che ha organizzato tre iniziative, a Milano Torino e Parma, per spiegare alle aziende il vantaggio di automazione e robotizzazione aziendale.
Il 25 maggio scorso si è conclusa a Parma, cuore della terra emiliana e sede di tante aziende manifatturiere che caratterizzano l’economia industriale italiana, la terza e ultima di questa trilogia di fiere con la 7°edizione della fiera Sps Ipc Drives: circa 62.000 mq di padiglioni riservati a più di 700 espositori, che hanno promosso e offerto consulenza tecnica per la promozione del legame concreto tra il mondo dell’Information technology (It) e quello delle tecnologie per le fabbriche Ot (Operational teclmology), e arrivare quindi alla fabbrica intelligente nella nuova era dell’ Industria 4.0.
Oltre alle esposizioni, infatti, alla fiera di Parma era presente anche per la prima volta uno spazio “pronto 4.0” dedicato a prestare consulenze di investimento e chiarimenti sulle richieste di finanziamento, spiegazioni della normativa e degli incentivi fiscali.
Tema centrale, oltre all’automotive e al packaging, l’espansione delle tecnologie informatizzate al servizio del settore manifatturiero, in cui l’Italia è tutt’ora al secondo posto in Europa, nonostante le delocalizzazioni e la deindustrializzazione determinata dalla crisi e dalla mancanza di una politica industriale adeguata negli ultimi anni. Per cui ora, il nuovo piano industria 4.0 prevede di mettere la manufattura “al centro di un piano organico di rilancio”, partendo dalla sua innovazione sul piano della competitività e produttività su scala globale.
“Il settore segnala, anno su anno, un incremento del 4,7% – sottolinea Fabrizio Scovenna, presidente Anie Automazione – Il volume del fatturato supera i 4,3 miliardi di euro e siamo superiori del 10% al livello pre-crisi, al dato 2009. Siamo quindi soddisfatti perché poi vanno bene tutti i sotto-insiemi. C’è poi qualche spiraglio importante con le implementazioni dell’industria 4.0 perché alcuni settori come il telecontrollo, il networking e le apparecchiature wireless sono andate estremamente bene”.
E l’importanza che questo piano industriale ha e avrà nel prossimo futuro è attestato anche dall’accordo siglato poco prima dell’avvio di questa fiera tra Emil Banca, Lapam Modena e Reggio Emilia, Confartigianato Bologna Area Metropolitana, Ferrara e Parma, per cui verranno messi a disposizione 50 milioni di euro alle imprese artigiane della regione che decideranno di investire su internazionalizzazione e innovazione tecnologica.
Può funzionare, certamente. Ma per cosa? Per mantenere la “competitività” delle industrie nazionali residue – in gran parte “contoterziste” delle filiere tedesche, nell’area geografica di cui stiamo parlando – rispetto a competitor che ormai si basano su quest, recente, salto tecnologico.
La cosa da capire – per tutti, ma soprattutto per chi guarda alla vita delle persone reali, agli effetti silla popolazione – è che questa “rivoluzione industriale” può sviluppare la crescita produttiva di un certo tipo di aziende. Ma questo non ha alcun effetto positivo sull’occupazione. Anzi…
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