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Vertice Italia e Usa su Siria e Medio Oriente


Il segretario di Stato americano, John Kerry, è tornato per la seconda volta a Roma, dove ha illustrato l’intesa raggiunta con la Russia sugli scenari della guerra civile in Siria e nel Medio Oriente. La Turchia, insieme a Usa e Israele, soffiano sul fuoco.

Kerry continua a imbastire il percorso che dovrebbe portare ad una nuova conferenza di Ginevra sul futuro della Siria, coinvolgendo in prima persona anche la Russia.


Oggi, Kerry (contestato durante la sua ultima visita a Roma, vedi foto) si è incontrato ieri pomeriggio con il ministro degli Esteri Emma Bonino, alla Farnesina, incontro tenutosi all’indomani di quelli avuti con la negoziatrice israeliana Tzipi Livni, con il ministro degli esteri della Giordania, Nasser Judeh e, nei giorni scorsi ancora, direttamente con il leader del Cremlino Vladimir Putin.

I dossier statunitensi portati a Roma da Kerry sono almeno due: la Siria e la ripresa dei colloqui di pace in Medio Oriente. Due dossier per un’unico progetto che dovrebbe tenere insieme la Casa Bianca, Tel Aviv, Mosca, e i paesi strategici dela Nato nel Mediterraneo come l’Italia. Il colloquio con la Bonino è durato circa un’ora nel quale Kerry ha presentato il resoconto del tour nelle ultime settimane.

La prima preoccupazione Usa è che in Siria non si determini”una leadership senza la quale e senza un ‘processo di riconciliazione, la crisi umanitaria peggiorera”’ e ”si rafforzeranno gli estremisti”, ha detto Kerry, con ”la possibilita’ che delle armi chimiche cadano in mani sbagliate”. Kerry ha dovuto ammettere che le organizzazioni dei ribelli siriani non sono quello che gli Usa auspicavano ”Devono essere piu’ inclusive e pluralistiche”, in modo da ”tutelare le minoranze” presenti nel Paese.

La seconda preoccupazione è la necessità di concretizzare il denominatore comune trovato con la Russia circa il ”rispetto dell’accordo di Ginevra 1”, sottoscritto anche da Mosca, secondo cui nel Paese andrebbe istituito un governo di transizione che metta fine al conflitto. Il piano “Ginevra 1” venne deciso nel luglio dello scorso anno, ma ha prodotto scarsi effetti concreto, uno ”status quo” che lo stesso segretario di Stato Usa non ha esitato a definire ”insostenibile” riconoscendo, in qualche modo, il fallimento delle opzioni statunitensi sulla destabilizzazione della Siria. Nella conferenza stampa il ministro degli esteri Bonino ha affermato che: “bisogna fare presto” a trovare una soluzione anche “per evitare lo spill over, cioé il contagio, del conflitto nelle altre aree della regione”. Nel frattempo la responsabile della Farnesina ha assicurato l’impegno del governo “a vedere se è possibile aumentare l’assistenza umanitaria ai rifugiati” sebbene – ha precisato il ministro – l’assistenza umanitaria non costituisca una soluzione alla crisi. La soluzione deve essere “politica”. E “non militare”, ha aggiunto Bonino
In vista del primo vertice congiunto Mosca-Washington sulla crisi siriana, lo stesso Kerry si rechera’ di nuovo in Israele tra il 21 e il 22 maggio dove vedra’ sia il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che il presidente palestinese Abu Mazen. Il segno che dalla Casa Bianca e’ in arrivo un’ulteriore, e forze decisiva, accelerazione ai due principali nodi che ostacolano la stabilita’ della regione mediorientale.

Intanto, dopo i bombardamenti israeliani, anche la Turchia è tornata a soffiare sul fuoco della guerra civile in Siria. “E’ chiaro che il regime ha usato armi chimiche e missili”, ha detto il premier turco Erdogan in un’intervista alla NBC News, in cui ha sostenuto che la “linea rossa” fissata dal presidente Barack Obama “e’ stata passata molto tempo fa”. “Vogliamo che gli Usa si assumano piu’ responsabilita’ e facciano altri passi” di cui “parleremo”, ha detto ancora Erdogan, che vedra’ Obama il 16 maggio. Erdogan ha poi affermato che la Turchia non ha ancora informazioni sull’uso di gas sarin, che secondo alcune fonti sarebbe stato usato dai ribelli. E ha anche negato che Ankara abbia fornito agli stessi ribelli sostegno militare, mentre ha sottolineato che la Turchia ha già speso oltre un miliardo e 300 milioni di dollari in aiuti ai profughi. E alla domanda se sosterrebbe l’applicazione di una no-fly-zone sulla Siria ha risposto: “sin dall’inizio…direi di si”

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