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Kazaki al Viminale per dirigere l'”operazione Shalabayeva”

Mentre il Senato fa finta di discutere la mozione di sfiducia contro Angelino Alfano, ormai ufficialmente “ministro dell’interno a sua insaputa”, escono fuori dettagli sempre più precisi e impietosi su cosa è avvenuto nel suo stesso ufficio (quello del capo di Gabinetto, appena fuori la sua porta) prima, durante e dopo il “blitz” che ha portato all’arresto e all’estradizione illegale della signora Shalabayeva e sua figlia.

“Il gabinetto del ministro dell’Interno seguì ogni fase dell’operazione kazaka. Tanto che la seconda irruzione del 29 maggio scorso nella villetta di Casal Palocco, dove si riteneva fosse nascosto Mukhtar Ablyazov, fu decisa nell’ufficio del prefetto Giuseppe Procaccini. E ordinata ai poliziotti direttamente dall’ambasciatore Andrian Yelemessov”.
A rivelare questi particolari, scrive Il Corriere della Sera, è il responsabile della segreteria del capo della polizia Alessandro Valeri che ricostruisce le fasi delle due riunioni convocate al Viminale con i diplomatici. E la conferma arriva dal prefetto Gaetano Chiusolo, il capo della Direzione Centrale Anticrimine, che ricevette sul suo cellulare le disposizioni del diplomatico. I loro verbali, così come quelli di tutti gli altri funzionari coinvolti, sono stati consegnati al Parlamento in vista della votazione sulla mozione di sfiducia contro Angelino Alfano prevista per oggi al Senato, scrive il Corriere.
I kazaki, secondo la ricostruzione del Corriere della Sera e della Repubblica, erano presenti al Viminale anche nella giornata del 29 maggio. Valeri, ricorda il Corriere, racconta di essere stato chiamato il 28 sera “dal prefetto Procaccini” per andare “nel suo ufficio per comunicazioni urgenti”. Nel suo ufficio c’era l’ambasciatore Yelemessov e un consigliere della stessa ambasciata, che avevano segnalato la presenza in Italia di un pericoloso latitante.
L’ambasciatore precisò che il latitante era armato, accompagnato da uomini armati e con collegamenti con il terrorismo internazionale. E riferì che “quella mattina aveva parlato della cosa con il dirigente della Squadra mobile Renato Cortese, a cui aveva fornito gli stessi elementi informativi, con precisa indicazione della villa ove il latitante si nascondeva”, prosegue il Corriere.

Anche Repubblica riferisce di una seconda visita dei kazaki al Viminale il giorno dopo, il 29 maggio. “La mattina del 29 maggio, nelle ore successive al blitz di Casal Palocco, l’ambasciatore kazako, dopo averlo fatto la sera del 28, tornò ad accamparsi al Viminale nell’ufficio di Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del ministro, da cui pretese e ottenne una seconda perquisizione nella villa con l’impiego di un sofisticatissimo apparato geotermico per l’individuazione di cunicoli sotterranei in cui il ‘pericoloso latitante’ avrebbe potuto nascondersi”.
Scatta così la seconda irruzione, ma di Ablyazov non c’è alcuna traccia. Nella villetta ci sono sua moglie e sua figlia. La signora viene prelevata, subisce la procedura di espulsione, poi arriva la decisione di rimpatriarla. Quando viene trasferita all’aeroporto di Ciampino, ricostruisce il Corriere della Sera, “ci sono con lei numerosi agenti dell’immigrazione e della questura.
L’unica donna è l’assistente capo Laura Scipioni che nel verbale ricostruisce quanto accadde nello scalo e tra l’altro afferma: la signora “mi disse che suo marito era stato in prigione e molti loro amici erano stati uccisi dagli uomini del presidente”.

Fonte: TmNews

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La ricostruzione dettagliata dal Corriere della sera.

«I kazaki ordinarono il blitz ai poliziotti dall’ufficio di gabinetto del ministro»

La ricostruzione del prefetto Valeri. «L’ambasciatore Yelemessov pretese la seconda irruzione nella villa»
ROMA – Il gabinetto del ministro dell’Interno seguì ogni fase dell’operazione kazaka. Tanto che la seconda irruzione del 29 maggio scorso nella villetta di Casal Palocco, dove si riteneva fosse nascosto Mukhtar Ablyazov, fu decisa nell’ufficio del prefetto Giuseppe Procaccini. E ordinata ai poliziotti direttamente dall’ambasciatore Andrian Yelemessov. A rivelare questi nuovi e clamorosi particolari è il responsabile della segreteria del capo della polizia Alessandro Valeri che ricostruisce le fasi delle due riunioni convocate al Viminale con i diplomatici. E la conferma arriva dal prefetto Gaetano Chiusolo, il capo della Direzione Centrale Anticrimine, che ricevette sul suo cellulare le disposizioni del diplomatico. I loro verbali, così come quelli di tutti gli altri funzionari coinvolti, sono stati consegnati al Parlamento in vista della votazione sulla mozione di sfiducia contro Angelino Alfano prevista per oggi al Senato.

Gli atti allegati all’inchiesta condotta dal prefetto Alessandro Pansa svelano quante e quali irregolarità e omissioni siano state commesse fino al rimpatrio di Alma Shalabayeva e della sua bimba di 6 anni Alua, mettendo tutti gli uffici della polizia a disposizione di un’autorità straniera. «Non ne sapevo nulla», ha sempre detto il titolare del Viminale prima di essere smentito dallo stesso Procaccini che invece ha spiegato di averlo relazionato circa gli incontri avuti nel suo ufficio. E del resto sarebbe stato difficile credere il contrario, visto l’impegno totale degli investigatori e dei loro capi riguardo a questa vicenda.

Racconta Valeri: «Il 28 sera dopo le 20 fui chiamato dal prefetto Procaccini per recarmi nel suo ufficio per comunicazioni urgenti. Nell’ufficio del capo di gabinetto trovai l’ambasciatore Yelemessov e un consigliere della stessa ambasciata. Dopo le presentazioni il capo di gabinetto mi rappresentò che le autorità Kazake avevano segnalato la presenza in Italia di un pericoloso latitante. Lo stesso ambasciatore rappresentò ampiamente i motivi di preoccupazione in ordine alla pericolosità del latitante, precisando che lo stesso era armato, accompagnato da uomini armati e con collegamenti con il terrorismo internazionale. Nella circostanza consegnò un carteggio inerente lo stesso latitante, tra cui una copia del bollettino di ricerche internazionali diramato dall’Interpol. Il prefetto Procaccini me ne consegnò una copia. Rappresentai all’ambasciatore che si sarebbe dovuto rivolgere alla questura e lui mi riferì che quella mattina aveva parlato della cosa con il dirigente della Squadra mobile Renato Cortese, a cui aveva fornito gli stessi elementi informativi, con precisa indicazione della villa ove il latitante si nascondeva. Chiamai attraverso il cellulare Cortese, il quale confermò di avere incontrato l’ambasciatore e che già avevano organizzato una perquisizione nella villa alle prime ore del giorno dopo. Raccomandai di tenermi informato».

Valeri contatta il vicecapo della polizia Francesco Cirillo e il prefetto Chiusolo e «subito dopo il vicecapo vicario», Alessandro Marangoni. Non è finita.
Racconta ancora Valeri: «Il mattino dopo, il giorno 29 intorno alle ore 7, venni informato dell’esito negativo delle ricerche. Immediatamente riferii l’esito delle ricerche al prefetto Procaccini e al prefetto Marangoni. Qualche ora dopo, in ufficio, fui riconvocato dal prefetto Procaccini perché era ritornato l’ambasciatore Yelemessov. Mi recai da lui ed il diplomatico esternò dubbi sulla efficacia dell’intervento fatto dalla polizia italiana, sostenendo che il latitante poteva essere nella villa in qualche nascondiglio appositamente realizzato. Non ricordo bene se avvisai io la questura o Chiusolo, oppure fu lo stesso ambasciatore che mi disse di aver informato la Questura».

In realtà non va proprio così, come spiega lo stesso Chiusolo nella sua deposizione: «Il 29 mattina la dottoressa Luisi Pellizzari, il capo dello Sco, il Servizio centrale operativo, mi riferì l’esito negativo delle ricerche. Nella stessa mattinata ho ricevuto una telefonata da parte del prefetto Valeri che mi riferiva che l’ambasciatore, con il quale si trovava nella stanza del capo di gabinetto, sosteneva che il latitante potesse essere ancora nella villa di Casal Palocco e che lo stesso disponeva di ulteriori informazioni. Per queste ragioni l’ambasciatore mi avrebbe richiamato ed in effetti dava i miei recapiti telefonici all’ambasciatore per contattarmi».

Il contatto si rivela molto più invasivo, come ha dovuto ammettere di fronte al Parlamento lo stesso Pansa. Verbalizza Chiusolo: «Circa un’ora dopo ricevevo una telefonata dall’ambasciatore che mi precisava che allo scopo di fornirmi necessari dettagli sarebbe venuto nel mio ufficio. In effetti non giungeva lui nel mio ufficio, ma l’addetto legale dell’ambasciata per parlarmi di queste ulteriori informazioni. Lo saluto soltanto e lo faccio accompagnare dalla Pellizzari che riceve le informazioni sul ricercato e trasmette i relativi dati alla Mobile». Scatta così la seconda irruzione, ma di Ablyazov non c’è alcuna traccia.

Nella villetta ci sono sua moglie e sua figlia. La signora viene prelevata, subisce la procedura di espulsione, poi arriva la decisione di rimpatriarla. Quando viene trasferita all’aeroporto di Ciampino ci sono con lei numerosi agenti dell’immigrazione e della questura. L’unica donna è l’assistente capo Laura Scipioni che nel verbale ricostruisce quanto accadde nello scalo e tra l’altro afferma: «Fui informata che erano arrivati il console e il consigliere d’ambasciata. Durante l’incontro con il console, il consigliere, con atteggiamento preoccupato mi mostrava il biglietto da visita del prefetto Procaccini dicendo che stava cercando di contattarlo, fatto che riferivo al dottor Conti, funzionario addetto della Polaria».

È allora che il consigliere avrebbe fatto cinque tentativi di chiamata e si sarebbe poi allontanato per parlare. Un dettaglio importante, perché dimostrerebbe che il gabinetto fu informato in tempo reale anche delle procedure di espulsione mentre Procaccini ha sempre sostenuto di essere a conoscenza soltanto del blitz. Del resto i verbali confermano che tutti sapevano tutto e si sono messi a completa disposizione delle autorità kazake provando ad arrestare Ablyazov, nonostante si trattasse di un dissidente, e poi consegnando loro sua moglie e la sua bambina. È la stessa Scipioni ad ammettere che la signora «mi disse che suo marito era stato in prigione e molti loro amici erano stati uccisi dagli uomini del presidente». Forse questo sarebbe stato sufficiente per credere che Alma Shalabayeva era davvero in pericolo, come cercava di spiegare da due giorni.

Fiorenza Sarzanini

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