Nella prima metà degli anni Settanta papà e mamma andavano per i 40 anni. E avevano due figli da tirare sù. Abitavamo a Città Giardino, rione San Giuseppe. E avevamo lo sfratto. Io andavo alle elementari e frequentavo la scuola Ada Negri di via Acerbi. Proprio come il bimbo di Luca Capuozzo, il capofamiglia 42enne sbattuto fuori di casa insieme alla moglie in via Reale, traversa di via Olevano. Che è poi la zona di Pavia dove ho abitato prima, alla fine degli anni Sessanta, via Acerbi al civico 64, i palazzoni di Febbroni. Tutti gli sfratti fanno male al cuore, ma quello del signor Capuozzo l’ho vissuto anche ripensando al mio. Il furgone bianco dove hanno caricato tutte le loro cose, lo spropositato dispiegamento di forze, i poliziotti venuti persino da Milano. Ed è successo lì, nelle strade dove giocavo da bambino. Io la ricordo la faccia che faceva mamma quando arrivava l’ufficiale giudiziario. Era un misto di rabbia e vergogna di fronte a quell’uomo calmo e pacato, sempre gentile. Lui arrivava e suonava alla porta, mamma le prime volte lo riceveva sullo zerbino. Io sbucavo da dietro la gonna e guardavo all’insù. Lui allora apriva la cartella di pelle facendo scorrere la lampo e tirava fuori l’atto giudiziario. Nel tempo mamma, poi, lo faceva pure entrare in casa, in cucina. Chissà quante ne aveva passate pure lui a furia di recapitare ingiunzioni. Mamma firmava senza sedersi. Noi che in via Olivelli al 2 eravamo subentrati in affitto a mia zia, dovevamo andarcene perché il padrone di casa doveva mandarci a vivere sua figlia. Di lì a poco si sarebbe sposata. Io quando vedevo arrivare l’auto blu dell’uomo inviato dal tribunale, una Fiat 128 mi pare, un po’ di paura l’avevo. E poi sai com’è: la gente parla. Vuoi vedere che questi qui non pagano l’affitto? L’avvocato Gnocchi aveva spiegato a papà come si doveva fare: andare in banca, aprire un libretto a nome del padrone di casa e fare attenzione a non sgarrare mai con la scadenza. Prima invece, quando andava tutto bene, papà i soldi glieli portava direttamente a casa, pagava in contanti e si faceva dare la ricevuta. Non fummo mai sbattuti fuori di casa. Ma furono anni lunghi. O almeno a me, che ero un bimbo, parve così. E nemmeno vennero mai sotto casa così tanti poliziotti come l’altro giorno in via Reale, neanche fosse Atalanta-Roma. So cosa sta passando quella famiglia. E non capisco perché a Pavia, che è piena di appartamenti vuoti, un padre debba venir trascinato giù per le scale. Tirandolo per i piedi. Come si fa con i poco di buono. Io al tempo avevo 8-10 anni. Mio fratello era piccolino. Un po’ di paura l’avevamo. Mamma e papà erano sempre nervosi. Si misero a cercare casa. Qualche lira l’avevano risparmiata non concedendosi mai un giorno di vacanza. Mio zio gliene fece vedere qualcuna in via Riviera, non lontano dalla chiesa. A mamma le finestre che davano su quella strada trafficata oppure sui cortili interni mettevano angoscia. Poi scelsero di andare al Campo Coni dove un costruttore del loro paese aveva aperto un cantiere. Cominciò la corsa contro il tempo. Lo sfratto di continuo differito. L’avvocato Gnocchi trasmetteva sicurezza. Poi un giorno uno dei due padroni della Meta motori elettrici, quella al Cassinino dove papà lavorava da una vita, non tornò più dal Venezuela dove produceva piastrelle. Si chiamava ingegner Bolech. E papà e mamma adesso erano più nervosi di prima. Perché bisognava cercare un lavoro proprio mentre c’era una casa nuova da pagare. Sono stati quasi 500 gli sfratti a Pavia e hinterland in questo 2013. Spesso è gente rimasta senza lavoro. E che adesso si sente come soffocare in un tunnel nero senza sbocchi. Se poi fosse possibile evitare loro lo choc di quell’esercito di poliziotti… Tanto più che l’altro giorno il bimbo di 7 anni era in casa con l’influenza. Sono cose che segnano. Che rendono tristi e fanno invecchiare gli adulti. E fanno crescere pieni di rabbia i figli, loro che guardano senza poter capire. (su Twitter @stepallaroni)
da La Provincia Pavese
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