Questa mattina (ieri, giovedì 20, per chi legge, ndr) abbiamo appreso dai quotidiani locali che una docente della facoltà di Lingue dell’Università di Torino, Daniela Santus, si è rifiutata di presiedere la seduta di laurea di due studentesse che presentavano una tesi sulla Palestina (qui un articolo sulla vicenda).
Alcuni anni fa – era il 2005 – organizzammo diverse iniziative e petizioni perché fosse impedito l’invito di rappresentanti istituzionali di Israele a iniziative o lezioni organizzate dalle facoltà di Torino.
La nostra posizione era un chiaro rifiuto alla presenza di sionisti e oppressori promotori dell’apartheid in Palestina: per noi non esiste l’ebreo o il non ebreo – solo l’oppresso e l’oppressore – per cui critichiamo ogni governo e ogni Stato che riproduca al suo interno le forme moderne dell’oppressione sociale, le stesse che sono alla radice di un presente di precarietà e crisi che mette a repentaglio le vite di noi giovani.
Una docente, in particolare, tentò in tutti i modi di alzare il livello delle tensioni in università, invitando in ateneo alcuni membri dell’allora governo Sharon (quello che fece costruire il muro della vergogna in Cisgiordania) e richiedendo una militarizzazione di tipo cileno all’interno di Palazzo Nuovo.
E’ triste vedere come, a distanza di anni, quella stessa docente faccia sfoggio della sua intolleranza e incapacità di dialogo rifiutandosi addirittura di ascoltare la tesi di due studentesse, colpevoli evidentemente di non pensarla come lei.
Ma come, l’università non è forse il luogo della libera espressione, della circolazione di idee e del confronto intellettuale?
Forse, per qualcuno che sostiene l’oppressione di un popolo come modello democratico da esportare, probabilmente no.
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