Mercoledì 4 novembre, presso la libreria Comunardi di Torino, la Rete dei Comunisti ha organizzato un dibattito sui recenti sviluppi della situazione politica in Turchia, in particolar modo alla luce delle elezioni politiche tenute nel weekend precedente e caratterizzate dalla netta affermazione dell’AKP, il Partito giustizia e sviluppo del ‘Sultano’ Erdogan. Lo scenario turco è di particolare interesse al momento, non solo per la violenza della repressione interna messa in atto negli ultimi mesi dal presidente della Repubblica nei confronti della minoranza kurda e delle varie forze di sinistra più o meno radicale, ma anche perché esso mette in evidenza le ambiguità dell’operato di Unione Europea e Stati Uniti, le cui opinioni pubbliche manifestano turbamento per le stragi e l’evidente stretta autoritaria e repressiva di Erdogan, ma che al tempo stesso accolgono positivamente l’affermazione di un interlocutore stabile e relativamente affidabile in un paese cruciale per gli equilibri regionali e per la gestione della questione migranti provenienti dalla Siria. Abbiamo dunque chiesto ai giornalisti Marco Santopadre di Contropiano e Murat Cinar di analizzare questo scenario e illustrare i possibili sviluppi nella regione.
L’intervento di Marco ha offerto una esaustiva ricostruzione degli ultimi tormentati mesi in Turchia, soprattutto a partire dalle elezioni del 7 giugno, che hanno sancito la perdita della maggioranza assoluta in Parlamento da parte dell’AKP e pertanto un suo ridimensionamento, che ha impedito a Erdogan di formare un governo monocolore; anche i successivi tentativi di dare vita a un’alleanza di governo con altre forze naufragavano, rendendo necessaria la convocazione di nuove elezioni politiche per il 1 novembre. Le elezioni di giugno hanno invece fatto registrare la significativa affermazione dell’HDP (Partito democratico dei popoli), il soggetto recentemente istituito a partire da varie forze filo-kurde e della sinistra turca, capace di ottenere ben 80 seggi in Parlamento. Tale risultato ha ridimensionato i progetti di Erdogan di mettere mano alla costituzione per accentuare la trasformazione della Repubblica turca in senso iper-presidenzialista; il Sultano ha dunque risposto con una ‘strategia della tensione’ mirante a creare nel paese un clima di caos e violenza, inasprendo i caratteri repressivi e autoritari del suo regime per potersi presentare come unico garante dell’ordine e della stabilità. Gli attentati di Suruc e Ankara negli ultimi mesi hanno segnato il punto più drammatico di questo clima da guerra civile. Santopadre ha parlato esplicitamente di ‘terrorismo di stato’: non è importante che dietro gli attentati ci siano materialmente uomini di Erdogan, ma il punto è comprendere come sia proprio il presidente a doversene assumere la responsabilità politica, avendo creato tutte le condizioni per cui avvenissero, e beneficiando delle conseguenze.
Dopo l’attentato di Suruc di luglio, Erdogan ha definitivamente mandato a monte il già travagliato processo di pacificazione con il PKK, il Partito dei lavoratori kurdo, resuscitando il tradizionale nemico interno. L’AKP, che negli anni si era posto come partito della conciliazione, ha così accentuato il carattere nazionalista e sciovinista, intensificando anche a livello ideologico i messaggi contro i nemici interni kurdi e scagliandosi non solo contro il PKK, ma anche contro il ben più moderato HDP. Allo stesso tempo, Erdogan ha portato avanti una guerra simulata contro l’ISIS, formalmente additato come nemico ma in realtà utilizzato come pretesto per colpire i kurdi. Qualche attacco più serio nei confronti dello stato islamico si è verificato nei giorni precedenti le elezioni, probabilmente per rassicurare quella parte della popolazione turca che chiedeva un atteggiamento più deciso verso la minaccia islamica.
La strategia di Erdogan si è rivelata vincente: al netto di alcuni episodi di brogli elettorali, si può dire che nella sostanza le elezioni siano state regolari. Naturalmente, il voto è stato pesantemente condizionato dagli attentati, dalla repressione verso le forze della sinistra turca, dal clima di guerra presente in molti territori a maggioranza kurda e dal silenziamento della stampa di opposizione nel corso della campagna elettorale. Ora il Sultano non dovrebbe avere difficoltà a trovare le alleanze politiche per raggiungere il numero dei deputati necessario per modificare la Costituzione. Tuttavia, secondo Santopadre, permangono molteplici elementi di instabilità in un quadro generale di feroce competizione non solo in Medio Oriente, ma a livello globale. Unione Europea e Stati Uniti infatti mantengono un rapporto ambivalente con Erdogan. Da settimane, l’UE sta portando avanti un serrato negoziato con la Turchia con l’obiettivo di vedere garantito il contenimento dei flussi di milioni di migranti provenienti in particolare dalla Siria; Erdogan risponde con la richiesta, oltre che di ingenti finanziamenti, di mano libera per poter intervenire sulla Siria, istituendo una zona cuscinetto nel nord del paese sotto protettorato turco. Questa pretesa non è vista di buon grado nemmeno dagli Stati Uniti. Le potenze occidentali sono così strette tra la necessità di avere un alleato stabile in uno scenario tanto delicato e la volontà di mantenerne sotto controllo le ambizioni egemoniche e l’agenda autonoma di politica internazionale.
In generale, Santopadre ha sottolineato l’uso massiccio e continuo della teoria del complotto da parte del regime, che non perde occasione di ribadire l’esistenza di un coordinamento internazionale di forze contro la Turchia, comprendente ISIS, PKK, guerriglieri dell’YPG/YPJ, governo siriano e servizi segreti stranieri. Murat Cinar ha allargato lo sguardo storico sulla questione, proponendosi di spiegare come e perché una tale strategia della tensione potesse funzionare in un paese come la Turchia. Murat ha spiegato che è storicamente molto radicata nella popolazione l’idea che ci sia una serie di nemici esterni sempre pronti a sovvertire l’ordinamento del paese, e che il governo rappresenti pertanto l’unico baluardo contro il caos, il salvatore cui affidarsi ciecamente. Tale logica, già utilizzata per 500 anni dall’Impero ottomano, viene perseguita continuamente dagli apparati di governo, ad esempio tramite l’istituzione di un corso obbligatorio di sicurezza nazionale, tenuto da ex-militari in tutte le scuole del paese a partire dalla scuola media fino ad arrivare all’università. Questa ‘paranoia delle lacrime’ si accompagna nel senso comune turco ad un ‘feticismo dello sviluppo’, una cultura economica della crescita e dell’arricchimento personale che nasce almeno dagli anni ’50, particolarmente legata alla cementificazione negli ultimi decenni.
Non sorprende, secondo Cinar, il fatto che nella storia della repubblica turca si registrino pochissime affermazioni di governo della sinistra o del centro-sinistra, anche perché ogni volta che un movimento popolare socialista o comunista è cresciuto fino a insidiare il regime, un colpo di stato ha riportato l’ordine e la tranquillità nel paese. L’ultimo di questi si è avuto nel 1980, e la Costituzione cui ora vuole mettere mano Erdogan è stata promulgata dagli ufficiali proprio in quella circostanza. Il giornalista ha evidenziato anche alcune somiglianze presenti con il caso italiano, per quanto riguarda la Gladio e l’uso della strategia della tensione per la repressione dei movimenti di massa e comunisti. Sono state inoltre analizzate nel dettaglio le modalità con cui il Sultano ha condotto la battaglia contro lo ‘stato parallelo’ rappresentato dalla confraternita di Fetullah Gulen, soggetto che in precedenza aveva reso possibile l’ascesa politica da Erdogan, ma da questi scaricato una volta divenuto ‘scomodo’.
Murat ha criticato i media italiani per la tendenza a occuparsi della Turchia solo quando c’è un bagno di sangue o una rivolta particolarmente significativa, come è stato il caso di Gezi Park nel 2013; fino a quel momento, il paese era infatti descritto semplicemente come un mercato nuovo, possibile nuovo membro dell’Unione Europea, paese avviato alla democrazia e alla stabilità economica e politica, senza procedere ad un’analisi capillare e scientifica delle contraddizioni su cui si è sempre retto il regime. I media non hanno dunque saputo cogliere come il disegno politico ed economico di Erdogan affondi le sue radici in un preciso contesto storico e culturale.
Le due relazioni hanno nel complesso saputo rendere la complessità degli scenari attuali, passati e futuri in un paese tanto contradditorio e delicato per gli equilibri internazionali in un momento di intensificazione della competizione globale. Si ringrazia la libreria Comunardi per la consueta ospitalità e i numerosi presenti per l’attenzione e gli interventi.
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