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Un altro naufragio tra accuse reciproche e nessuna responsabilità politica

Stiamo assistendo impotenti a un’altra tragedia nel braccio di mare che ci separa dalla costa settentrionale dell’Africa. Ieri si è capovolto un altro gommone che trasportava 47 persone, e per ora solo 17 di queste sono state salvate da un mercantile, mentre le altre 30 risultano disperse.

Alarm Phone, progetto che si occupa di supporto alle operazioni di salvataggio, ha denunciato che le istituzioni italiane, così come quelle maltesi e quelle libiche, erano informate dell’urgenza e della situazione di pericolo dalle 2:28 dell’11 marzo. La posizione del barcone era all’interno delle acque SAR (Search And Rescue) della Libia, circa 100 miglia a nord di Bengasi.

A poca distanza dalla prima segnalazione, un mercantile italiano è passato vicino al barcone, ma non ha ricevuto ordine di intervenire. Nove ore dopo persino un velivolo di ricognizione della Sea Watch ha lanciato l’allarme, ma le navi civili italiane in quel tratto di mare si sono limitate a monitorare la situazione, così come gli era stato richiesto.

Infatti, come da convenzioni internazionali, le autorità libiche avevano chiesto sostegno al Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo italiano, dichiarando di essere prive di assetti navali disponibili all’operazione. Da Roma hanno quindi dato indicazione ai mercantili vicini di osservare il gommone.

Solo dopo 24 ore dalla prima segnalazione, in condizioni critiche, sono cominciate le operazioni di salvataggio, durante le quali l’imbarcazione si è ribaltata. L’accusa di Alarm Phone è di aver ritardato i soccorsi per non prendersi in carico anche chi si trovava in quella imbarcazione di fortuna, dopo che la Guardia Costiera ha portato sulle spiagge italiane più di mille migranti tra venerdì e sabato scorsi.

In sostanza, Alarm Phone afferma che le autorità del nostro paese hanno fatto morire decine di migranti, facendo passare più di una giornata intera dal primo SOS. Ora le ricerche proseguono con il supporto di due mercantili e due missioni aree di Frontex. Intanto, bisognerà capire il destino dei sopravvissuti, che potrebbero essere ricondotti da dove provengono, tra le violenze da cui sono scappati in Tunisia o Libia.

Le accuse reciproche tra maggioranza e opposizione sono già cominciate: Tajani ha chiesto di non strumentalizzare la vicenda mentre il segretario di +Europa Riccardo Magi ha detto di star valutando di presentare una denuncia. Elly Schlein ha definito il fatto una “vergogna per l’Italia e per l’Europa” e ha chiesto un minuto di silenzio all’Assemblea del PD.

L’ennesimo naufragio è effettivamente una vergogna per il nostro paese e per l’Unione Europea, ma è una vergogna calcolata. Frontex e l’insieme di accordi stipulati con i tagliagole libici o con personaggi come Erdogan hanno proprio la funzione di esternalizzare le frontiere europee e tenere lontano i “carichi residui” prodotti dalle politiche predatorie e coloniali delle multinazionali occidentali.

L’ipocrisia di una classe politica che da decenni sostiene questo indirizzo politico, in maniera bipartisan dalla legge Turco-Napolitano, passando per i decreti Minniti fino alle dichiarazioni scioccanti di Piantedosi, è tutta nel minuto di silenzio chiesto da Schlein.

Un silenzio che assomiglia più a quello dell’ufficiale del Centro per il soccorso marittimo italiano, che sembra aver riattaccato la cornetta quando da un mercantile hanno chiesto chi si sarebbe assunto la responsabilità delle persone, più che un silenzio di indignazione.

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1 Commento


  • Pasquale

    Il piano è chiaro. Cutro è stato solo l’inizio.

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