I carabinieri del Noe hanno sollecitato il sequestro degli impianti dell’Ilva di Taranto alla luce dell’inquinamento riconducibile agli impianti della grande fabbrica dell’acciaio. La richiesta al gip conclude un corposo rapporto spedito all’attenzione della procura di Taranto nell’ambito dell’inchiesta sulle emissioni nocive dai camini dello stabilimento siderurgico.
I carabinieri del nucleo operativo ecologico per quaranta giorni hanno monitorato l’attività dei reparti del colosso dell’acciaio con tanto di rriscontri filmati e fotografici. E’ emerso un quadro sconcertante che ha convinto a spingere per l’adozione di un provvedimento di natura cautelare.
Il rapporto si inquadra nell’indagine avviata per individuare le fonti dell’inquinamento da diossine, pcb e benzoapirene registrato a Taranto e provincia. L’inchiesta sta vivendo un decisivo incidente probatorio con al centro una maxi perizia che dovrà rispondere ai quesiti posti dai giudici, ma soprattutto ai tanti dubbi che tengono sulla graticola la terza città del Mezzogiorno, costrettta a vivere gomito a gomito con l’industria pesante.
Nell’inchiesta figurano indagati Emilio Riva, patron delle acciaierie, suo figlio Nicola, e i dirigenti Luigi Capogrosso e Ivan Di Maggio. A loro carico sono ipotizzati i reati di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato e getto di cose pericolose.
Durante l’udienza di ieri il gip Patrizia Todisco ha affidato l’incarico a tre esperti di epidemiologia di fama nazionale (sono la professoressa Maria Triassi, ordinario a Napoli, il dottor Francesco Forastiere, del dipartimento della Asl di Roma, entrambi epidemiologi, e il professor Annibale Biggeri, docente di Statistica Medica a Firenze) per una indagine che dovrà stabilire entro sei mesi (la prima udienza è stata fissata per il 17 febbraio) gli eventuali effetti delle emissioni sulla popolazione residente e sugli operai.
Entro quella data gli esperti dovranno presentare gli esiti dello studio. Circa tre anni fa, dopo il ritrovamento nel latte, nei formaggi e nella carne di tracce di diossina, migliaia di capi di bestiame, in particolare pecore, furono abbattuti in sette allevamenti zootecnici. Subito dopo la Regione Puglia vietò il pascolo in un raggio di 20 chilometri dallo stabilimento. Gli allevatori della zona si sono costituiti in giudizio. Sono già in corso da alcuni mesi anche le indagini di tre chimici e di un ingegnere chimico che stanno effettuando prelievi e campionamenti, ad esempio sugli alimenti. Ma nella loro perizia dovranno occuparsi anche dei tassi di inquinamento ambientale.
In questa fase si sono costituiti in giudizio il Comune e la Provincia di Taranto mentre le associazioni, in particolare le Donne per Taranto, chiedono che lo facciano anche la Regione Puglia e il Ministero dell’Ambiente. Gli epidemiologi nominati, che il 1 luglio faranno le operazioni peritali preliminari a Roma, dovranno rispondere a tre quesiti che riguardano specificamente gli eventuali collegamenti tra l’inquinamento e le patologie croniche e i decessi nel capoluogo jonico.
* da Repubblica del 26 giugno 2011
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mario
NOI TARANTINI VOGLIAMO LA CHIUSURA TOTALE DI QUESTO MOSTRO CHIAMATO ILVA !!! LO VOLETE CAPIRE?? SI O NO???
antonio
ma come fate a chiudere uno stabilimento del genere ,creando disagi al lavoratore che sopravvive con il colui stipendio adottato dall’ilva di taranto,che sa bene il sig.riva aggiusterà al presto possibile di evitare l’inquinamento nella citta e provincia. io posso dire che tutto ciò può essere una distruzione totale di tante famiglie che vanno avanti con i propri figli il proseguire della loro vita nel vivere per avere una adeguata vita famigliare decente .penso che non siete alla conoscenza in quel che fate nella distruzione di questo stabilimento ,a dare la rovina di tutti quelli che ne fanno fede. cordiali saluti.