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Ilva commissariata. Ma col freno a mano

Alle 15 di oggi il governo si riunisce per decidere sulla proposta del ministro dello sviluppo, Flavio anonato, di commissariare l’azienda per evitare che si blocchi completamente l’attività. Ma non è un esproprio, purtroppo. Come ha spiegato il ministro alla Camera, il governo interverrà sulla gestione dell’Ilva «attraverso la temporanea sospensione degli organi societari» e «la nomina di un commissario in modo da far convogliare le risorse al risanamento» dell’impianto. «Al termine di questa fase eccezionale, straordinaria – ha aggiunto Zanonato – si potranno ricostituire gli organi societari restituendo alla proprietà gestione e risorse economiche, ove ancora ne esistano».

E’ comunque una presa d’atto, da parte del governo. La società – anche prima del sequestro di oltre 8 miliardi disposto dalla magistratura tarantina – non è assolutamente in grado, per cultura e volontà del management, di rispettare alcun obbligo e responsabilità sociale. Neppure le timide disposizioni previste dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che il governo Monti aveva disegnato su misura dell’azienda di prorpietà dei Riva.
«Siamo consapevoli che il risanamento non può essere condotto con la necessaria convinzione da chi ha determinato l’allarme ambientale di cui stiamo discutendo e che mette a rischio tante persone», ha ammesso il ministro.
Quindi è stata scartata l’ipotesi di affidare ad un blind trust la gestione temporanea, preferendo l’ipotesi pià drastica del commissario. Ovvero un terzo soggetto per arrivare all’obiettivo di risanare e bonificare l’area senza però interrompere la produzione. Tempo di “sospensione” previsto: almeno 36 mesi.

Per un governo di impronta decisamente liberista deve essere stato quasi uno choc, o comunque un atto contronatura. Ma hanno pesato considerazioni che inutilmente erano state avanzate da anni:  «il futuro della siderurgia italiana e più in generale la credibilità del nostro Paese».
Oltre alla caduta di Pil che ne sarebbe derivata: il costo del fermo dell’impianto è stato calcolato in  «8 miliardi di euro annui». Per la precisione, «circa sei miliardi relativi alla crescita delle importazioni, 1,2 miliardi per il sostegno al reddito e i minori introiti per l’amministrazione pubblica e circa 500 milioni in termini di minore capacità di spesa per il territorio direttamente interessato».


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