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Lo Stato non bonifica e abbandona il territorio

Da quando la magistratura italiana ha reso note le indagini sullo stabilimento siderurgico ILVA di Taranto si è registrato un relativo aumento dell’interesse da parte della stampa sullo stringente problema di ambiente e salute per i cittadini italiani.

Già dal 2007 però il governo italiano, obbligato dalle norme e direttive europee, si è dovuto maggiormente interessare al problema dell’inquinamento di vari siti nel Paese (indicati genericamente in “migliaia” dal Ministero della Salute) istituendo il progetto denominato con l’acronimo di SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a rischio da Inquinamento) nell’ambito del programma strategico “Ambiente & Salute” istituito dal medesimo Ministero.

A partire dal 1998 lo Stato ha individuato 57 aree di particolare sensibilità per ambiente e salute, definiti SIN (Siti di Interesse Nazionale) per le quali è previsto lo stanziamento diretto di fondi da parte del governo centrale. Con il Decreto Ministeriale 471/1999 ed il Decreto Ministeriale 468/2001 e successive integrazioni lo Stato ha definito modalità e misure per il riconoscimento dei Siti e l’attuazione progettuale di recupero. Complessivamente sono oltre 300 i comuni italiani coinvolti, sparsi lungo tutta la penisola e senza esclusione di regione alcuna: si contano oltre 7000 chilometri quadrati sui quali intervenire, di cui 5500 terrestri e 1800 lacustri e lagunari, il 3% dell’intero territorio nazionale. GREENPEACE calcolava a fine 2011 per queste ultime l’equivalente del doppio della laguna di Venezia e del Lago di Garda messi insieme.

Come in altre tristi occasioni è la regione Lombardia a detenere i primato di SIN sul territorio, con 7 aree individuate; a queste vanno aggiunte quelle d\’ambito regionale arrivando a 668 siti che coinvolgono un numero mai stimato con precisione di abitanti ma che a logica supererebbe le decine di migliaia a rischio. L’approssimatività degli interventi istituzionali di ogni ordine e livello non ha permesso di arrivare a studi epidemiologici definiti, nè sono attualmente reperibili presso i dicasteri competenti dati definitivi e scientifici sulle varie ricerche condotte. Quanto emerso con la “bomba” ILVA a Taranto ha solamente in parte svelato l’enorme voragine cognitiva perpetrata negli anni da parte delle istituzioni e delle agenzie che con esse collaborano, come ad esempio le varie ARPA regionali; semmai è stato stabilito in diversi casi (Taranto in primis) il vincolo criminale di complicità e reciproche coperture tra autorità, agenzie di controllo, padroni e potentati politici senza escludere le cosiddette parti sociali, i sindacati.

Stante la situazione, non si può che prendere i pochi dati noti del progetto governativo SENTIERI come parziali ed incompleti; la cosciente assenza di un benchè minimo impegno la si riscontra a tutt’oggi quando si evidenzia lo stato di cronica precarietà di fondi per ricerca e sviluppo che coinvolgono ed incidono a catena sulle vite dei vari professionisti impegnati sul campo: basti ricordare, una per tutte, le note vicende del 2009 che portarono decine di ricercatori dell’ISPRA(Istituto Superiore per Protezione e Ricerca Ambientale) ad un’esasperata denuncia e lotta per le condizioni di lavoro, portandoli sino sul tetto della sede dell\’istituto nel periodo invernale.

Stime parlano di 44 dei 57 siti come maggiormente pericolose, calcolando un aumento di decessi tra la popolazione di almeno 10.000 unità. Per questa vera e propria emergenza non solo lo Stato non ha saputo intervenire (nel 2009 è CONFINDUSTRIA a parlare di “superficie bonificata praticamente nulla“) ma ha anche maldestramente stanziato senza alcuna seria progettualità diversi milioni di euro per le bonifiche: nel 2007 erano oltre 3 miliardi di euro i fondi destinati a tale scopo. Successivamente, anzichè integrare con un articolato piano di intervento la mera destinazione di denaro, i vari governi “tecnici” e non, non hanno saputo fare di meglio che picconare ulteriormente in termini di deregolamentazione e tagli economici.

Ad un primo e primitivo decreto del 1997 che istituiva il reato di “omessa bonifica” è succeduto il D.Lgs. 152/2006 il quale oltre a sottolineare come il recepimento delle direttive ed obblighi europei debba avvenire “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” ribadisce il principio per cui “chi inquina paga” ed abroga il suddetto reato prevedendo “la sospensione della pena che può essere subordinata alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale“. La stessa magistratura ha alzato la voce su simili provvedimenti: il Procuratore di Mantova (altra città con diverse aree da bonificare, tra le quali spicca quella della raffineria IES di proprietà sino a dicembre scorso di ENICondorelli ha apertamente parlato di “disarcionamento, nel senso che è stato eliminato il reato di non partecipazione al procedimento di bonifica. Senza un progetto approvato il responsabile che si rifiuti di effettuarlo non può essere sanzionato penalmente“. Ed a proposito di ENI, è estremamente interessante la lettura del succitato rapporto di GREENPEACE nella disanima degli sviluppi legati all\’approvazione della legge 13/2009 e del contenzioso aperto con la multinazionale italiana per la bonifica dei suoi 9 siti industriali (pagg.9-10).

Nel caso della Lombardia, il PSB (Piano Stralcio Bonifica) redatto dalla regione pianifica gli interventi per i 7 SIN sul suo territorio; ad oggi gennaio 2014 fa specie e mette inquietudine il fatto che un unico intervento si ritenga concluso, quello inerente all’area di CASCINA GAZZERA nel comune milanese di Cerro al Lambro (discarica di melme acide) dove i lavori sono stati dichiarati conclusi a luglio 2010: non solo per un così parziale raggiungimento di obiettivi, ma soprattutto perchè la realizzazione è stata affidata all’ormai ben noto Giuseppe Grossi, il ciellino “re delle bonifiche” finito in carcere nell’ottobre 2009 a seguito delle indagini partite dalla segnalazione della Procura tedesca di Kaiserslautern nell’ambito dell’inchiesta su fondi neri per oltre 22 milioni di euro per gli interventi dell’area MONTECITY-SANTA GIULIA, ben descritti e documentati sul suo blog dal giornalista ed editore Giovanni Giovannetti.

Altro caso eclatante nella “locomotiva d’Italia” (cit. Roberto Formigoni) è quello dell’area CAFFARO Brescia, citato ad ottobre 2013 grazie ad un intervista di Andrea Tornago su “Il Manifesto” al Ministro tecnico Andrea Orlando: le stime dello stesso governo quantificano in almeno 1,5 miliardi di euro i fondi necessari alla messa in sicurezza. Orlando candidamente afferma che lo stanziamento ammonta ad appena 6milioni e 752mila euro (1/163, UN CENTOSESSANTATREESIMO) peraltro versati nel 2009; l’impegno per il 2013 è stato un milione di euro aggiuntivo, definito da Orlando, bontà sua, “una goccia nel mare“. A tutt’oggi inoltre il contenzioso ed i conseguenti scaricabarile restano più che mai vivi: il fallimento nel 2009 del GRUPPO SNIA lascia in sospeso la vicenda, una delle tante nella città del “mare magnum delle bonifiche” come ben definiva il sito informativo locale “BresciaOggi”.

Obbligatorio inoltre sottolineare anche il caso di Mantova, coinvolta nell’area SIN “Laghi di Mantova-Polo Chimico“, 1027 ettari per la quasi totalità ricompresi nel Parco del Mincio, ente pubblico regionale istituito già dal 1984 e proposto nel 2007 dalla Giunta Regionale come area da riqualificare in ZPS (Zona di Protezione Speciale) al Ministero. Per quest’area l’accordo di programma del 31 maggio 2007 con il governo ha finora assegnato quasi 16 milioni di euro; accordo che a seguito della nuova destinazione d’uso da gennaio 2014 del Polo Chimico da lavorazione primaria di prodotti petroliferi a stoccaggio e logistica di prodotti finiti dello stesso ambito andrebbe quanto meno rivisto ed aggiornato. Tanto più se si considera che con la nuova destinazione d’uso sussistono anche gravi problemi occupazionali, con il taglio del 90% circa degli operai passati da oltre 400 a 85 ai quali ne vanno sommati altrettanti grazie all’indotto sinora fornito dall’impianto IES di proprietà ENI. Un serio e deciso intervento delle istituzioni ad ogni livello permetterebbe infatti di ricollocare immediatamente gli operai, molti dei quali conoscono bene la zona, il tipo di lavorazioni sinora svolte, le sostanze da esse impiegate e la situazione ambientale. Il recupero ad oggi affidato a SOGESID S.P.A. società “in house” dei Ministeri di Ambiente e Infrastrutture potrebbe dunque registrare una seria svolta, con beneficio per l’ambiente, la salute dei cittadini e la sempre più drammatica situazione occupazionale nel capoluogo lombardo.

Questa un parziale quanto esplicativa fotografia dello stato dell’arte per la solo Regione Lombardia: la situazione in regione unitamente alle altre criticità sul territorio nazionale non fanno intravedere nulla di minimamente positivo neanche per il futuro. Il territorio italiano è chiuso nella letale morsa fatta di economicismo, indifferenza e cosa ancora più grave, complicità ed asservimento ai vari potentati dei padroni spesso in combutta con ambienti in odore di mafia. Tutte ragioni in più per dare oggettiva dimostrazione che l’irreversibile situazione d’emergenza di ambiente e salute non potrà mai essere risolta da un sistema che quando mette mano per meri interessi (molte volte illeciti) rischia addirittura di peggiorare le cose.

Taranto e L’Aquila, per portare recenti esempi, se ne sono già accorti da un pezzo.

da http://perlalottacontinua.iobloggo.com/

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