Gli studenti lucani sono tornati in piazza a Potenza per chiedere alla Regione di impugnare il decreto “Sblocca Italia” e per dire “no” alle trivellazioni di petrolio in Basilicata. Chiedono che la Regione impugni l’art.38 del decreto Sblocca Italia e si opponga con ogni mezzo al boom di trivellazioni in Basilicata. Il corteo – non solo di studenti ma anche di associazioni e dei movimenti locali – ha raggiunto la sede della Regione, a Potenza, con slogan e striscioni. Alcuni manifestanti hanno lanciato delle uova contro il cancello e dopo Potenza anche Matera, domenica 23 novembre scenderà in piazza. Le mobilitazioni sono iniziate ormai da una settimana, dopo la conferenza stampa di due “maggiorenti” del Pd: il governatore della Regione Pittella (figlio d’arte) e il capogruppo del Pd alla Camera Speranza. I due esponenti politici “lucani” avevano sostanzialmente detto no alla possibilità di impugnare l’articolo 38 del Decreto Sblocca Italia come richiesto da un vasto fronte di associazioni, comitati e reti che si battono per la difesa del territorio. Per queste ragioni il movimento contro le trivellazioni è tornato nuovamente a protestare contro l’aumento delle estrazioni petrolifere in Basilicata e l’accentramento delle competenze nella mani del governo centrale.
Dopo la manifestazione di sabato 8 novembre in piazza Prefettura, la protesta si è spostata direttamente sotto il palazzo della Regione con centinaia di studenti che hanno raccolto nuovamente l’appello lanciato dal movimento anti-trivelle. Dal 12 novembre è iniziata così una mobilitazione ininterrotta ma accuratamente silenziata dai mass media nazionali.
Il governo Renzi, nel maggio scorso, aveva annunciato di voler trasformare la Basilicata nel nuovo Texas italiano ed ha avocato al potere centrale, con il decreto Sblocca Italia, le competenze per l’ampliamento della produzione petrolifera.
A chiederlo sono tre grandi multinazionali interessate e impegnate nello sfruttamento del petrolio della Basilicata, anche attraverso il devastante sistema del fracking. I 38 pozzi attualmente in produzione sfornano 85mila barili al giorno, che puntano a diventare 135 mila appena i 50 mila marchiati dalla francese Total saranno sul mercato e 154 mila quando l’Eni attiverà l’estrazione dell’ultimo lotto. Ma oltre ai danni all’ambiente e alla salute (ormai più che documentati), le tasse che le multinazionali petrolifere pagano allo Stato per lo sfruttamento dei giacimenti del sottosuolo lucano sono del dieci per cento, tra le più basse del mondo (in Libia erano del novanta per cento, in Canada del quarantacinque). Il tre per cento di questa tassa è gestita direttamente dallo Stato, che ha creato per i lucani una carta per lo sconto sul carburante, per un valore di circa cento euro a testa. Praticamente, neanche due pieni di carburante. Il restante sette per cento delle imposte pagate dalle multinazionali viene gestito dai Comuni (per il quindici per cento) e dalla Regione (per l’ottantacinque per cento).
Parlando con i coltivatori o gli operatori commerciali lucani ti dicono che con queste imposte (le royalties, ndr), con l’acqua che si invia in Puglia e con l’agricoltura della regione, i cittadini della Basilicata dovrebbero essere tutti ricchi. In realtà non è affatto così. Il tasso di disoccupazione in Basilicata è del 15% e, tra i giovani, sale quasi al 60%. Il reddito pro capite è di poco più di tredicimila euro. Più del sette per cento dei lucani guadagna meno di 650 euro al mese e il dodici per cento tra i 650 e gli 800 euro al mese.
La politica locale poi è completamente subalterna agli interessi delle multinazionali petrolifere. La classe dirigente locale – divisa tra i clan “politici” dei Pittella e dei Bubbico, i primi di derivazione Psi, i secondi di derivazione Dc – è stata pienamente cooptata nel governo Renzi. L’Ex governatore Vito De Filippo è sottosegretario alla Sanità. L’altro ex governatore Filippo Bubbico, predecessore di De Filippo e Pittella, è viceministro all’Interno. Roberto Speranza è capogruppo del Pd alla Camera. E intanto le multinazionali petrolifere si stanno di fatto comprando l’intera regione, per trivellarla a tutto gas monitorando i 479 pozzi censiti e carotati (271 in provincia di Matera e 208 in provincia di Potenza) in cambio di un po’ di soldi, molto pochi, alle comunità.
Il decreto Sblocca Italia è stato fatto su misura a questi interessi ma non hanno fatto i conti con l’ecoresistenza popolare, quella che da una settimana sta manifestando contro la Regione. Prima o poi anche i mass media embedded e la classe politica saranno costretti ad accorgersi di quello che sta accadendo in una delle regioni più belle del nostro paese.
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