L’ambiente è un problema, dunque è una buona occasione per fare profitti. Con straordinaria ipocrisia, il governo tedesco ha annunciato un piano da 100 miliardi di euro in 10 anni (54 nei primi 4) proprio nel giorno delle manifestazioni mondiali per la difesa del clima.
Analizzare il contenuto di questo piano permette quindi di capire come il capitale multinazionale europeo – che ha il cuore e il cervello in Germania – intende affrontare la sfida della transizione ecologica ed energetica.
Prima nota: quei 100 miliardi non vengono né dalla spesa pubblica né, tanto meno, dagli investimenti privati. E dire che sia lo Stato, sia le imprese basate in Germania, dispongono di risorse sovrabbondanti, che nessun altro paese europeo può vantare. Per rastrellare quei miliardi verranno aumentate le tasse su tutte le emissioni e i prodotti inquinanti, ufficialmente per scoraggiarne l’utilizzo.. Ad esempio, verrà aumentata l’Iva sui biglietti aerei e il prezzo dei carburanti per autotrazione (3 centesimi al litro subito, 10 il prossimo anno). Il che comporta un fortissimo aumento dei costi per chi si deve spostare autonomamente per lavoro.
In compenso, verranno ridotte le tariffe ferroviarie e aumentate le detrazioni fiscali per i pendolari (in Germania si possono già oggi detrarre 30 centesimi al chilometro; diventeranno 35. In Italia, come sappiamo tutti, zero).
Proprio il sistema ferroviario è destinatario del grosso degli investimenti previsti (86 miliardi, divisi tra Stato federale e Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche). Ma qui lo spirito ecologico c’entra molto poco. L’infrastruttura ferroviaria, pur estesissima, è da anni piuttosto fatiscente, carente di manutenzione e dunque inadatta ad assorbire i flussi commerciali previsti in crescita sui terminali della “Via della Seta”, dalla Russia e in generale dai mercati eurasiatici. Potenziare la rotaia era dunque un obbligo che solo l’ipocrisia può spacciare per “transizione ecologica”.
Sotto la vernice green batte un cuore finanziario e vetero-industriale molto solido. Il “piano” presenta infatti risvolti assolutamente chiari, leggere per credere: «il governo federale tedesco pianifica l’emissione in futuro di green-bond nel contesto di una ‘Sustainable finance-strategie’ per favorire un mercato finanziario sostenibile».
Qui, com’è evidente, Berlino punta apertamente a costruire una piazza finanziaria “specializzata” in cui si straparla di “ambiente sostenibile” ma per verde si sottintende il colore dei soldi: «Lo scopo dello sviluppo di una strategia di finanza sostenibile è di trasformare la Germania in una sede leader nella finanza sostenibile, di promuovere la discussione e lo scambio di opinioni sulla finanza sostenibile al livello nazionale, europeo e globale e portare un contributo a un dialogo strutturato con gli stake-holder interessati».
Il resto del piano è tutto un sovra-tassare emissioni di CO2 nella speranza che i consumi – produttivi o popolari – si modifichino quanto basta per raggiungere gli obiettivi di riduzione fissati, a malapena compensati da “incentivi” comunque insufficienti (come per stimolare l’acquisto di auto elettriche, un altro settore in cui l’industria tedesca è rimasta straordinariamente indietro, occupata com’era a truffare sulle centraline del diesel).
Impegni diretti di Stato e imprese: zero.
E’ la filosofia ordoliberista applicata alla transizione ecologica ed energetica: la devono pagare cittadini e consumatori, mentre le imprese ci devono poter guadagnare come e più di prima.
Se è questa la risposta del paese “più sensibile” alle questioni ambientali, possiamo immaginare come funzionerà nel resto dell’Unione Europea, e soprattutto nei paesi le cui finanze pubbliche sono messe molto peggio che a Berlino.
Di questo dovrebbero cominciare a ragionare le centinaia di migliaia di giovani che da ieri, in tutto il mondo, stanno dando vita alla Week for future. Perché mobilitarsi è indispensabile, ma ogni lotta vera (per il clima come per il salario o il welfare) si fa contro qualcuno.
“Il sistema” è un’articolazione concretissima di poteri, interessi, facce, proprietà. Conoscerli è il primo passo per poterli combattere, invece che farsi da loro usare per ridisegnare i modelli di business. Come, per esempio, sta avvenendo ai lavoratori statunitensi di Amazon…
“Chiedere” di risolvere i problemi ambientali a chi li ha creati per arricchirsi è ovviamente un’ingenuità che si può superare conoscendo meglio il modello di sviluppo in cui siamo tutti costretti a vivere. Crogiolarsi nella speranza che questi criminali possano davvero “fare qualcosa” di positivo sarebbe invece folle.
Come dimostra il “piano” tedesco, al massimo possono immaginare qualche correzione che non cambia la struttura dell’accumulazione capitalistica; e se quella correzione comporta dei costi, farceli pagare a noi…
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