Questo breve intervento ha come retroterra un contributo complessivo sul sistema-mondo, la crisi e la pandemia scritto nel maggio scorso. Per chi volesse leggere vedi https://www.giorgioriolo.it/saggio_covid-19
Proprio un anno fa inviavo un messaggio con il quale riportavo il rapporto annuale 2019 del Global Footprint Network (GFN, Rete mondiale sull’impronta ecologica).
Questo benemerito organismo di vari ricercatori e attivisti sparsi nel mondo, a partire dall’analisi di vari parametri e di vari calcoli scientifici, misura quanta terra occorrerebbe per reggere “l’impronta”, il “peso” sul pianeta terra e quindi l’impronta a causa di consumi, di uso e abuso di risorse naturali, di deforestazioni, di emissioni di gas serra ecc. delle varie popolazioni e dei vari paesi del mondo.
Nel suddetto messaggio dicevo che «il prossimo 29 luglio 2019 è il cosiddetto Overshoot Day, il Giorno del Superamento-Supersfruttamento. Vale a dire, il superamento della possibilità del pianeta terra di rigenerare-ripristinare l’equilibrio delle risorse a causa del consumo-emissione di CO2-inquinamento ecc. su scala mondiale.
Questa misura è calcolata ogni anno dal Global Footprint Network. Nel 1970 il giorno era il 31 dicembre. Il saldo allora era a somma zero. Oggi per 5 mesi e qualche giorno deprediamo letteralmente la terra. Da sommare alle depredazioni degli anni precedenti. L’accumulazione del capitale e l’accumulazione della violenza ambientale, sul vivente.
Naturalmente, con la gerarchia mondiale di questo furto. Gli Usa (328 milioni di abitanti) avrebbero bisogno di 5 pianeti a questo ritmo dell’impronta ecologica dei suoi abitanti. La Cina 2,2 pianeti (ma 1 miliardo e 420 milioni di abitanti) e l’India 0,7 (ma 1 miliardo e 370 milioni di abitanti) e via scalando nella popolazione mondiale delle periferie del mondo.
Inoltre è annunciato per il prossimo agosto 2019 il nuovo rapporto dello Ipcc (gruppo di lavoro intergovernativo di scienziati del clima sul cambiamento climatico, legato all’Onu). Ma basta lo Special Report del 2018 per allarmarci. Siamo già dentro a processi irreversibili».
Questo avveniva l’anno scorso. Ovviamente il GFN, al pari di tanti organismi sparsi nel mondo, indica costantemente in ogni suo rapporto quali misure virtuose adottare, governi, popolazioni, singoli individui, affinché questa micidiale continua retrodatazione della reggibilità ambientale si fermi e si possa invertire la tendenza. Si possa tornare progressivamente in equilibrio tra attività umane, molte di esse predatorie nei confronti dell’ambiente e del pianeta, e natura.
II.
Per il 2020 la novità è veramente grande. Per la prima volta da quando si fanno questi rilevamenti c’è un repentina controtendenza. Per il 2020 lo Overshoot Day è fissato per il 22 agosto. Tre settimane dopo il giorno del 2019.
Naturalmente la ragione è presto detta. La grave crisi economica, la chiusura totale o parziale delle attività economiche e umane, a causa della crisi epidemiologica ha determinato questa improvvisa inversione. Inversione non per disegno strategico, per pianificazione, collettiva, degli stati in primo luogo, e individuale. Non per virtuose misure per frenare la rovinosa azione sulla natura e sull’ambiente. Bensì a causa del grave disastro economico e sociale che la crisi epidemiologica ha potentemente aggravato. A causa di una catastrofica dinamica in atto nel mondo.
Allora l’attenzione si sposta non tanto sul nostro ristretto giardino di casa, bensì su scala globale. Anche se la nostra realtà è così malmessa tuttavia, con morti e feriti, disoccupati in continuo aumento, aumento della povertà, ineguaglianze sempre più grandi. Sempre con l’avvertenza che è quasi impossibile avere dati attendibili, tuttavia alcune cifre servono da orientamento per capire cosa sta avvenendo.
Secondo la Ilo (International Labour Organization), l’organizzazione dell’Onu sul lavoro e sulla giustizia sociale, nel periodo della pandemia fino a oggi, su scala mondiale si sono persi 305 milioni di posti di lavoro. Cifra provvisoria, sempre perché i dati sono spesso inaffidabili e poiché il peggio deve ancora venire sul fronte del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori.
Inoltre rammentiamo che per circa la metà degli occupati, sempre su scala mondiale, il salario non è adeguato. Working poors si dice. Con la solita avvertenza che stiamo parlando di lavoratori nel settore formale del mercato del lavoro. Oggi nel mondo, nei centri sviluppati, ma soprattutto nelle periferie, il cosiddetto Terzo Mondo, circa 2 miliardi di lavoratori/lavoratrici operano nell’economia informale. 6 lavoratrici e lavoratori su 10 sono in questa condizione e quindi senza diritti, senza protezioni.
Il ministro del Tesoro del Ghana Ofori-Atta ha usato la terribile espressione, che ben conosciamo oggi, “I can’t breathe” – non riesco a respirare – a indicare non solo i neri sottoposti al razzismo congenito, non solo negli Usa, ma in questo contesto, al contempo di crisi economica, di crisi ambientale e climatica e di crisi epidemiologica, a indicare la minaccia di soffocamento per le economie e per le popolazioni del Sud Globale. La minaccia per circa 1,6 miliardi di persone di cadere nella povertà strutturale, senza remissione.
III.
Come considerazione finale. Bill Fletcher Jr, studioso, sindacalista, attivista nero, ha scritto un saggio per il numero di luglio-agosto 2020 della Monthly Review dedicato al “capitalismo razziale”. Semplicemente Bill, che una decina d’anni fa invitai a un’iniziativa del Punto Rosso, ricorda ai sindacati americani che la classe operaia non è solo “la classe operaia della popolazione legittima”. Aggiungiamo noi. Neri, migranti (attuali e del passato), donne. Le classi subalterne debbono essere allargate alla nozione di “oppressi”. Ancora una volta, gli oppressi a causa di capitalismo, colonialismo, imperialismo, razzismo, sessismo e via scivolando.
Non solo la nozione di “classe”, sociologicamente e lavorativamente determinata, ma anche il sistema delle caste (casta), la discriminazione razziale (razza), la discriminazione di genere (donne), la discriminazione culturale in senso lato. E il mondo del disagio, delle diseguaglianze, del malessere, della subalternità materiale, sociale, culturale ecc. si allarga a dismisura nel mondo. Il Covid-19 aggravando ulteriormente.
Leonardo Boff e la Teologia della Liberazione hanno sempre usato l’espressione biblica di “grido degli oppressi”. Annoverando tra questi ultimi, la natura e l’ambiente. Sempre per tenere assieme giustizia sociale e giustizia ambientale. E per non separare ciò che nel capitalismo non è separabile. Per noi, e per la nostra sinistra e per i nostri sindacati, il cammino della coscienza è ancora lungo e tortuoso.
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