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Napoli Est: possibile laboratorio di una vera transizione socio-ecologica

In occasione delle giornate del G20 Ambiente che si svolgeranno a Napoli abbiamo chiesto al compagno Aldo Pappalepore – attivista di Potere al Popolo – un contributo circa la situazione di avanzata manomissione ambientale che si registra nell’area/Est della città di Napoli.

Un contributo utile alla discussione anche in vista del Corteo di Giovedì 22 luglio, con concentramento alle ore 16 a Piazza Dante, e degli appuntamenti di confronto ed approfondimento organizzati da Potere al Popolo e da Cambiare Rotta, a Napoli, nei giorni 23 e 24 luglio.

Redazione Contropiano – Napoli

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Premessa

Da tempo sono sotto gli occhi di tutti lo scioglimento dei ghiacciai, il moltiplicarsi di eventi catastrofici quali frane ed alluvioni, la frequenza di eventi meteorologici imprevisti e devastanti, la sommersione marina e la desertificazione di intere aree geografiche, così come sono a tutti note le gravi patologie causate dagli sversamenti illeciti dei rifiuti tossici, dall’avvelenamento delle falde acquifere e delle sorgenti, da una insalubre alimentazione dovuta a cibi “chimici” e ad allevamenti intensivi, dalla pratica delle monocolture ad opera dell’agroindustria, dalla tossicità dell’aria che respiriamo.

Forte è cioè il collegamento tra i vari inquinamenti ambientali ed i cambiamenti climatici sia per gli effetti negativi che producono alla salute umana sia per le cause che li generano.

Sia le emissioni di CO2, e di altre sostanze inquinanti dovute alla combustione di carburanti fossili, sia le attività industriali, il trasporto, la produzione di elettricità e di calor ed altre attività antropiche come agroindustria ed allevamenti intensivi, deforestazione, consumo di suolo, gestione impropria dei rifiuti solidi, influiscono sia nei confronti degli inquinamenti ambientali che nei confronti dell’effetto serra.

È necessario quindi un approccio trasversale, senza illudersi che agire in un solo settore possa essere sufficiente. 

Occorre ridurre da subito, come da tempo la Commissione Scientifica dell’ONU invita tutti gli Stati a fare, il consumo energetico e le emissioni di CO2.

Vanno profondamente modificati i modi di produrre e di consumare fermando la dipendenza dai fossili, riducendo il consumo di energia, modificando i sistemi di trasporto, mettendo fine al consumo di suolo, ridando importanza al diritto al territorio (città e campagna), riducendo drasticamente la produzione di rifiuti e riprogettando i suoi sistemi di smaltimento.

Gli elementi fondamentali dell’ambiente naturale come l’aria, l’acqua, la terra e l’energia sono beni comuni che appartengono a tutti e di cui nessuno, soggetto singolo o collettivo, organizzazione o stato, può ritenersi proprietario.

L’appropriazione furtiva di questi beni di tutti per il profitto di pochi, così come avviene negli inquinamenti e nell’estrattivismo dei processi produttivi, rappresenta una indebita privatizzazione gratuita operata da multinazionali, banche, imprese a danno delle donne e degli uomini che sono i naturali fruitori di quei beni; insomma a livello sistemico viene perpetuato uno sfruttamento dei lavoratori (occupati, disoccupati, precari, neet, etc.) da parte del padronato e del suo sistema economico.

La questione ambientale colpisce tutti ma solo alcuni, che certamente non si ritrovano tra le masse popolari, sono quelli che l’hanno determinata per i loro interessi ed attraverso l’appropriazione furtiva di beni comuni naturali.

La devastazione ambientale così come la devastazione climatica si pongono quindi come questioni sociali (di classe) sia perché derivano da una originaria appropriazione indebita dei beni comuni naturali e sia perché vengono generate per i propri interessi da chi gestisce i poteri economici, da un sistema economico finalizzato al profitto e non al benessere delle persone.

A ciò si aggiunge poi che i primi ad essere colpiti dalla devastazione ambientale sono sempre gli ultimi, i ceti meno abbienti delle società industriali del Nord e gli abitanti del Sud del mondo, anche perché i vari governanti economici e politici scaricano non soltanto le conseguenze ma anche i costi della crisi ambientale su di essi.

Dentro a questa consapevolezza sulla natura di classe della questione ambientale viene a cadere anche la vecchia (ma ancora presente) contrapposizione tra lavoro ed ambiente laddove si individua il sistema economico capitalistico come il responsabile delle loro rispettive devastazioni ( sfruttamento, disoccupazione, inquinamento, biocidio).

Ambiente e Lavoro confliggono nell’attuale modello di sviluppo, nei modi di produzione capitalistica in cui l’organizzazione, gli strumenti ed i prodotti della produzione (tecnologie, macchinari per la produzione) sono modellati in base al profitto e non alle esigenze delle persone, alla salvaguardia dell’ambiente.

E’ necessario puntare a un sistema economico socialmente ed ambientalmente sostenibile nonché basato sulle persone e non sul profitto, in cui l’economia lineare dei combustibili fossili e dell’estrattivismo venga soppiantata dall’economia circolare delle fonti rinnovabili e del riciclo della materia, un sistema economico cioè alternativo a quello attuale nella consapevolezza che all’interno del sistema capitalistico, dominato dalle leggi del profitto e dei mercati, non c’è il rispetto dei diritti dell’uomo e della natura e persino il futuro del nostro pianeta viene compromesso.

A tal fine occorre lottare oggi e domani per i diritti sociali e per il clima, contro lo sfruttamento e l’inquinamento ambientale che ci impoverisce e ci ammala ogni giorno di più soprattutto nelle aree di forte disagio sociale ed ambientale, come Napoli Est, dove la povertà sociale si accompagna ad un inquinamento diffuso (anidride carbonica, ossidi di carbonio, benzene, materiali tossici e polveri supersottili prodotti dagli scarichi/depositi di carburanti fossili, dalla centrale elettrica, dalle aree inquinate delle ex-raffinerie, della ex-manifattura tabacchi, dei fondali marini e dello scarico/carico di container).

Occorre però sostanziare le nostre rivendicazioni con proposte alternative sostenibili (socialmente, ambientalmente ed economicamente) e con i relativi percorsi mobilitativi che puntino alla riqualificazione sociale ed ambientale del territorio.

La Transizione Ecologica e Sociale dell’Economia e cioè la riconversione dell’agricoltura, delle imprese, degli impianti, dell’energia, della mobilità, dell’architettura delle città, etc. è il percorso da perseguire per fermare l’impoverimento sociale ed il cambiamento climatico, creare lavori e produzioni eco-socio-sostenibili, migliorare il mondo lavorativo e l’ambiente, unificare le spinte e le lotte per il lavoro e per l’ambiente.

Ci sta insomma tanto da fare nel Paese ed in particolare in una area fortemente colpita da degrado socio-ambientale e da crisi occupazionale come quella di Napoli Est. Ed allora necessita unificare le lotte per l’ambiente e per il lavoro attraverso l’obiettivo condiviso e convergente della Transizione Ecologica e Sociale.

Bisogna allora individuare una strategia atta a contrastare insieme le diseguaglianze sociali e le devastazioni ambientali e quindi sia ad opporsi a quelle misure del Governo, della Regione Campania e del Comune di Napoli che causano danni alle popolazioni, all’ambiente ed alla salute dei territori sia a mobilitarsi per scelte politiche ed economiche coerenti con la Transizione Ecologica e Sociale.

Dal disastro non voluto del 1985 al disastro programmato e realizzato di oggi

Il disastro ambientale di Napoli Est iniziò il 21 dicembre 1985 con l’esplosione di 25 dei 41 serbatoi costieri dell’Agip che causò 5 morti, 165 feriti, 2594 senzatetto, 100 miliardi delle vecchie lire di danni, e conseguenze sulla salute delle persone.

Enorme è stato ed è l’inquinamento derivante da quella esplosione e dalla presenza delle raffinerie (fino al 1983), del Terminal Petroli e dei depositi ancora attivi di idrocarburi ed oli combustibili, della centrale elettrica di Vigliena.

Nel 1998 il Parlamento individuava l’intera area orientale di Napoli come Sito d’Interesse Nazionale (SIN), tra i più inquinati d’Italia. Poco prima il Consiglio Comunale di Napoli varava una variante del Piano Regolatore per l’area orientale che prevedeva l’eliminazione del Terminal Petroli, la dislocazione dei depositi di combustibili, la chiusura della centrale elettrica di Vigliena, la bonifica di oltre 100 mila metri quadrati e la realizzazione di
 attrezzature ed infrastrutture per il turismo ed il tempo libero al fine di sostenere la riqualificazione 
di quei territori.

Ma dal 2000 in poi le Istituzioni Pubbliche e le Aziende Private svuotano il piano di riqualificazione di Napoli Est:

la Tirreno Power costruisce a Vigliena una nuova centrale 
a turbogas;

gli impianti petroliferi (terminal e depositi) con i relativi gasdotti permangono;

il traffico dei prodotti petroliferi aumenta;

decine di migliaia di metri cubi di acque oleose vengono smaltiti illecitamente dalla Kuwait inquinando ulteriormente i terreni e le falde acquifere del territorio;

i pochi tratti di spiaggia non occupati da
 insediamenti industriali vecchi e nuovi sono attraversati da canali di scolo che inquinano il mare e impuzzolentiscono l’aria;

pur di incrementare con migliaia di container il traffico commerciale nel porto di Napoli imprese ed istituzioni, nonostante il parere negativo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, decidono di realizzare il Nuovo Terminal di Levante attraverso una cassa di colmata in cui vengono immessi i sedimenti altamente inquinati del Porto di Napoli.

Napoli Est attende una bonifica da oltre 20 anni; ad oggi, però, ci si è fermati alle conferenze di servizio ed al finanziamento di studi di fattibilità ambientali, con la maxi-bonifica che resta un affare incompiuto. Le uniche prospettive concrete sul tappeto sono peggiorative dell’attuale disastrosa situazione:

  • la realizzazione di un Impianto di Compostaggio Anaerobico, e quindi inquinante, di 60mila tonnellate l’anno progettato dalla Regione ed avente per stazione appaltante la Città Metropolitana di Napoli

  • il completamento del mega porto commerciale che incrementerà le attività del Porto di Napoli del 350% e determinerà un grave impatto (inquinamento acustico, del mare e dell’aria, nuovi spazi per la movimentazione delle merci) lungo un considerevole tratto di costa che si snoda da via Marina dei Gigli fino allo Sperone

  • la eventuale attuazione di un progetto della Edison e della Kuwait per la realizzazione di un nuovo deposito costiero di Gas Naturale Liquido che, qualora fosse approvato, si aggiungerebbe ai tanti depositi già esistenti di carburanti

  • la realizzazione nel porto di Napoli e nell’area industriale logistica di Napoli Est della ZES, su cui già nei mesi scorsi c’è stato un incontro di merito tra il Presidente dell’Adsp ed i segretari dei sindacati confederali

La politica e l’imprenditoria cittadine e nazionali, dopo l’esplosione del 1985 ed il conseguente disastro ambientale e sociale di Napoli Est, hanno praticamente fatto si che tutti i sottoprodotti e gli effetti collaterali nocivi dello sviluppo produttivistico di Napoli e della Campania venissero concentrati in quel territorio.

Da questa opzione “strategica” della nostra classe dirigente è derivato che in questa area orientale di Napoli si siano concentrate le più forti contraddizioni e fallimenti dell’attuale modello di sviluppo: inquinamenti, cambiamenti climatici, estinzione della specie umana a fronte della estrazione di energia dai fossili, inquinamento, invasività, consumo di suolo, linea di costa “sequestrata” a fronte di un incremento continuo del commercio nell’ottica della crescita infinita, gestione tossica dei rifiuti a fronte di produzioni non sostenibili, disoccupazione, riduzione dei salari e delle salvaguardie ambientali a fronte di un progetto di sviluppo capitalistico di un territorio.

Per invertire il progressivo attuale degrado sociale ed ambientale di Napoli Est occorre un Piano di Riconversione Ecologica e Sociale che avvii da subito la bonifica del sito e la revoca dei progetti insostenibili in essere e che proceda gradualmente ad una possibile riconversione delle attività e degli impianti non sostenibili ma non sostituibili “tutti e subito”.

L’ala orientale del porto di Napoli per esempio si presenta come uno scalo strategico per la movimentazione, lo stoccaggio e la distribuzione del GPL nell’Italia centro meridionale e in parte anche del Nord Italia e questo certo non aiuta nel richiedere una immediata chiusura o dislocazione dei vari depositi.

Così come la Centrale Elettrica di Vigliena non può essere chiusa senza che ci sia qualcos’altro che ne assuma la funzione.

Pertanto occorre proporre e mobilitarsi per un Piano che da subito:

  • blocchi la realizzazione del previsto Impianto di Compostaggio Anaerobico per realizzare invece al suo posto un piccolo (10 mila tn/annue) impianto aerobico collocato lontano da abitazioni ed in prossimità della tangenziale

  • blocchi la realizzazione di un nuovo deposito costiero di Gas Naturale Liquido proposto da Edison e Kuwait

  • blocchi la realizzazione del Nuovo Terminal di Levante e quindi impedisca il consumo di suolo, il sequestro della linea di costa, l’inquinamento ed il traffico conseguenti

  • realizzi una bonifica degli oltre 800 ettari di area inquinata (ex Kuwait – ex manifattura tabacchi) e del litorale con una preventiva individuazione degli inquinanti ed una programmazione degli interventi specifici da effettuare

  • destini finanziamenti europei (PNRR) e nazionali ad investimenti pubblici a Napoli Est finalizzati alla ristrutturazione (anche energetica con pannelli fotovoltaici) della ex-Corradini ed all’apertura/sostegno di aziende manifatturiere ad alta tecnologia (prodotti farmaceutici, elettronica delle comunicazioni, ricerca sulla produzione di idrogeno verde e di tecnologie ambientali per l’industria, etc.)

  • attui un contrasto alla disoccupazione con l’applicazione della clausola sociale per tutti gli appalti pubblici; incentivi la creazione di cooperative sociali per una valorizzazione del territorio, una qualificazione dei siti di interesse storico, il ripristino della spiaggia pubblica ed una fruizione ecologica e strutturata della fascia costiera; finanzi un piano di riqualificazione degli alloggi popolari di edilizia pubblica con una sanatoria per gli occupanti che vogliono essere legalizzati

  • finanzi interventi straordinari per la lotta alla dispersione scolastica ed all’abbandono giovanile con l’apertura di asili nido, l’estensione del tempo pieno nell’obbligo, il sostegno e l’apertura di laboratori didattici, spazi di aggregazione giovanile, etc.

Ma ovviamente la Transizione socio-ecologica richiede ben altro e le proposte per attuarla gradualmente devono ovviamente guardare ad un’area di intervento più ampia di un quartiere. Mi riferisco in particolare alla Transizione Energetica che occupa un ruolo preminente per la difesa dell’ambiente in generale e sicuramente per Napoli Est.

Per questa transizione occorre avviare un percorso in grado di sostituire ai combustibili fossili ed al gas naturale le fonti fotovoltaiche ed eoliche per la produzione di energia elettrica e per quella dell’idrogeno** “verde” attraverso l’elettrolisi dell’acqua.

Se lungo le dorsali dei gasdotti che portano il gas naturale da Napoli Est a tutto il Sud Italia ed a parte anche del Centro e del Nord Italia si realizzano, a partire da San Giovanni, piccoli e diffusi Impianti PEM** (Elettrolisi con Membrana a scambio Protonico) alimentati dall’energia elettrica prodotta dai parchi eolici e solari (esistenti e/o da realizzare) o prelevati dalla rete, si può gradualmente immettere nei gasdotti e trasportare dalle fonti (impianti PEM) alle destinazioni (autotrasporto, riscaldamento ed industria) l’idrogeno verde al posto del gas naturale.

Così come la Centrale Elettrica di Vigliena a gas naturale potrà essere facilmente convertita in una Centrale ad Idrogeno Verde (affiancata da un impianto PEM) quando parallelamente si svilupperà sul territorio una installazione adeguata e diffusa di piccoli impianti di energia rinnovabile.

Questi ultimi per esempio potrebbero essere installati sia sui tetti degli edifici comunali e dei tanti capannoni esistenti (senza causare cioè altro consumo di suolo) che soprattutto sui padiglioni della Ex-Corradini che va ristrutturata sia in quanto megastruttura di archeologia industriale sia per un recupero del rapporto tra la popolazione ed il mare.

Il recupero della Ex-Corradini rientrerebbe poi nella realizzazione di
attrezzature ed infrastrutture per il turismo ed il tempo libero, per il settore della formazione
universitaria, etc. al fine di sostenere la riqualificazione
di un’area ad elevata potenzialità turistica. E’ inutile evidenziare come il suddetto piano di riconversione, insieme alla riqualificazione del quartiere, comporterebbe migliaia di nuovi posti di lavoro e quindi una ripresa economica e sociale del territorio.

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