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Fuga radioattiva dalla centrale nucleare di Tricastin

Filtrano oggi anche in Italia le prime notizie relative ad una fuga di acque contaminate da trizio, avvenuta alla centrale nucleare di Tricastin verso metà dicembre.

La società Électricité de France ha infatti segnalato il 15 dicembre all’Autorità per la Sicurezza Nucleare francese la “rilevazione di trizio nell’acqua sotterranea contenuta nella cinta geotecnica situata sotto la centrale”.

Questa segnalazione ha portato alla rivelazione, tre giorni dopo, di un’alta radioattività in quelle acque (28.900 Bq/l); il livello si attesta oggi a 11.000 Bq/l e le autorità stimano rimarrà alta per qualche mese, quando una quantità già di 10 volte inferiore impone l’intervento dell’ASN.

Queste acque sarebbero quindi per ora trattenute da unta cinta di cemento di 12 metri di profondità e 60 cm di spessore, motivo per cui l’ASN ritiene la situazione sia “sotto controllo”.

I continui stop-and-go che in questi mesi hanno caratterizzato il nucleare francese (con lo spegnimento di 4 reattori per manutenzione, ed un ammontare di ben 12 malfunzionamenti in 2 anni nella sola centrale di Tricastin) fanno riflettere innanzitutto sulla scelta del Paese di prolungare il periodo di operatività delle proprie centrali, la maggior parte delle quali sono state costruite ormai più di 40 anni fa.

D’altra parte, dopo aver per decenni contato sulla ‘stabilità’ di questa fonte e perorato la causa nuclearista in tutta Europa, non è stato facile essere messi davanti alla miopia di certe scelte politiche.

Innanzitutto il fatto che il ricorso al nucleare ha impedito lo sviluppo di alternative energetiche che supplissero alla mancanza di elettricità nel momento in cui i reattori si sarebbero dovuti smantellare; il fatto che questo smantellamento possa rivelarsi (più della costruzione) un pozzo senza fondo di risorse e causa di emissioni di gas serra ed inquinamento per tutto il territorio circostante; il fatto che non c’è una soluzione definitiva per lo stoccaggio dei residui di fissione che resteranno per migliaia di anni radioattivi.

Nel momento in cui il ‘modello energetico francese’ torna a far sognare i politici in Italia ed i vertici europei, bisogna capire che la risposta al tracollo ambientale verso cui andiamo incontro non è il nucleare, ma è frenare gli appetiti insaziabili di un modo di produzione che ci ha condotti fino a questo punto e che spinge sempre più forte verso una competizione in cui l’Unione Europea vuole primeggiare anche sul piano energetico.

La risposta non arriverà da dentro questo sistema, ma dalla sua rottura.

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