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Il tallone di ferro delle multinazionali sui pomodorini. Condannati due agricoltori indipendenti

Sui pomodorini che arricchiscono i nostri contorni ma che ormai troviamo sui banchi tutto l’anno, si è consumata una ennesima battaglia di civiltà e giudiziaria che però, e non certo casualmente, ha visto prevalere ancora una volta gli interessi delle multinazionali dei semi e dei monopoli dei brevetti.

La vicenda è stata ricostruita da Terrelibere.org e merita di essere conosciuta ma non solo. Leggete con attenzione.

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Alcuni rametti germogliati del pomodoro possono formare radici e dare vita a una nuova pianta. Senza usare semi. Questa procedura si chiama talea e può costare otto mesi di carcere.

È quanto accaduto ai legali rappresentati della “Sicil Vivai”, un’azienda vivaistica della provincia di Ragusa. Il 28 gennaio 2022 il Tribunale del capoluogo ha emesso una dura condanna in primo grado: otto mesi di detenzione, ventimila euro di multa, centomila di danni.

Si tratta della seconda sentenza di questo tipo in Italia. Nella stessa zona, nel novembre 2019, un agricoltore era stato condannato per aver ripiantato semi brevettati da una multinazionale svizzera.

Le due sentenze arrivano dopo una crociata decennale delle lobby con sede a Bruxelles. L’obiettivo è farsi pagare ogni volta che qualcuno ripianta un seme coperto da copyright. In base al principio: “un seme, una pianta”

Anche questo processo è iniziato con una denuncia presentata dall’AIB (Anti-Infringement Bureau for Intellectual Property Rights in Plant Material), un’associazione internazionale di diritto belga il cui obiettivo è combattere l’attività illegale nel settore delle sementi. AIB raggruppa i maggiori produttori di sementi al mondo e alcuni giganti della chimica. Tra i membri ci sono aziende come Basf e Bayer.

Come funziona l’indagine? AIB, nei suoi uffici di Bruxelles, ha ricevuto una segnalazione, girata alle autorità del territorio. La Procura della Repubblica di Ragusa predisponeva l’analisi del DNA sulle piante sospette. La Guardia di Finanza è entrata nelle serre. Le piantine risultavano protette da copyright e non esisteva una corrispondente fattura di acquisto dei semi. È quindi scattato il processo, con l’accusa di “fabbricazione e il commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale”.

La sicurezza del vice-presidente

«La sentenza mostra la dedizione delle autorità italiane nel perseguire questi gravi reati», commenta soddisfatto Liam Gimon, amministratore delegato di AIB.

Gimon è un vero specialista della contraffazione. Inizia nel 1996 tra San Diego e Los Angeles occupandosi di carte di credito e farmaci. Poi una interessante parentesi nei servizi segreti come specialista della sicurezza del vice presidente Dick Cheney, braccio destro di George W. Bush. In questa veste verifica, tra gli altri, i viaggi in Uzbekistan, Cina, Russia.

Il resto della carriera lo passa all’Interpol con la missione di far rispettare i brevetti del cibo. Da pensionato, gli offrono la direzione di AIB. Un’ottima occasione per elencare i buoni risultati conseguiti, con la fronte corrucciata e l’aria di chi ha la ragione dalla sua parte. E i mezzi per imporla.

Se la sede di AIB è nei palazzi di vetro e cemento della capitale belga, le serre dominano il paesaggio a tre colori del ragusano: il rosso del terreno, il bianco della plastica, l’azzurro del mare reso celebre dalle nuotate del commissario Montalbano.

Ma cosa pensano i produttori a Vittoria? Uno dei maggiori vivaisti della zona ammette che la talea significa concorrenza sleale. Se da un seme fai tre piante, hai più margine di guadagno rispetto agli altri.

«Non voglio difendere la multinazionale che è quella che mi schiaccia», chiarisce. «Ma negli anni non siamo stati capaci di cambiare le regole. La nostra colpa è che non ci siamo organizzati. Siamo dispersi in mille rivoli, dovremmo essere un corpo unico».

Al momento la talea non sembra una pratica particolarmente diffusa sia per il timore di condanne sia per il rischio di diffondere virus delle piante. Rischio che viene limitato dai semi delle multinazionali.

Resistenza intermedia ai nematodi

«Vorrei un pomodoro con HR al Tylcv e IR ai nematodi». Non è certo la richiesta che facciamo quotidianamente al bancone dell’ortofrutta. Ma è quella che possono fare gli agricoltori alle multinazionali.

HR e IR sono le sigle che indicano rispettivamente resistenza alta e intermedia. Tylcv è il virus dell’accartocciamento fogliare giallo del pomodoro. I nematodi sono invece vermi sottili e cilindrici.

I cataloghi delle multinazionali parlano chiaro. Con i nostri semi risolvete una serie di problemi. Le malattie delle piante. I parassiti. I difetti fisici come la spaccatura, un taglio della buccia che bloccherebbe subito l’acquisto di un qualunque buyer della grande distribuzione. Fino al problema centrale, la durata. Questi pomodori sono trasportati da un capo all’altro dell’Europa e non devono marcire per nessun motivo.

Laetitia, Creativo, Genio, Audacia, Cecillio. Sono alcuni nomi di semi brevettati

Se abbiamo comprato pomodorini negli ultimi tempi, molto probabilmente si trattava di un ciliegino “Creativo” brevettato in Francia da una multinazionale con sede in 30 paesi. È il “modello” che va in questo momento. Non per caso.

Funziona così: le multinazionali del seme sono un oligopolio di pochi marchi. Il reparto “ricerca e sviluppo” seleziona le tipologie in base alla resistenza ai parassiti, al grado zuccherino, alla forma e al colore. Brevetta il seme con tanto di nome: Laetitia, Creativo, Genio, Audacia, Cecillio… Quindi avvia la prima operazione di marketing con la grande distribuzione, anche questo un oligopolio di pochi centri logistici che si suddividono i marchi dei supermercati. Sono “stakeholders” interessanti anche i maggiori commercianti del mercato ortofrutticolo di Vittoria. In pratica tutti quelli che possono imporre una tipologia.

Il consumatore, a questo punto si adegua. Ciò che trova nel bancone del supermercato è un modello imposto a monte. Anche vivaisti e agricoltori si adeguano. Perché non possono andare contro la “volontà” del consumatore. Nel frattempo si perdono ecotipi e varietà locali.

Fondamentalmente il ricatto delle multinazionali è legato all’inutilità di ripiantare il seme: la nuova pianta avrà caratteristiche diverse, sarà meno resistente a parassiti e pesticidi. Ma sopratutto il pomodoro non avrà le caratteristiche chimiche e visive “desiderate” da supermercati e consumatori.  O, per meglio dire, imposte a colpi di marketing e di sentenze.

da Terrelibere.org

 

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