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La siccità nel nordovest. C’entrano qualcosa i lavori per il TAV?

Oggi i quotidiani dedicano ampio spazio all’emergenza siccità che si sta abbattendo su tutta Italia. I dati presentati dall’ARPA Piemonte non lasciano spazio a troppe interpretazioni sulla crisi idrica che attraversa la regione: negli ultimi mesi c’è stato un deficit medio di precipitazione del 55%, il mese di maggio segna + 2.2 gradi rispetto alla norma e le previsioni per giugno sono di clima “secco e caldo”.

Il presidente di SMAT ha dichiarato a la Stampa che “siamo in una fase di elevata siccità che non ha riscontri nei dati degli ultimi cinquant’anni” mentre in alcuni paesi della cintura torinese, come Piossasco, sono comparse le autobotti per riempire i pozzi ormai vuoti. Mentre il “cambiamento climatico”, dopo aver devastato Africa, India e Sudamerica, fa la sua drammatica apparizione anche alle nostre latitudini, in Val di Susa assistiamo al proseguimento del progetto ecocida di raddoppio di una linea AV tra Torino e Lione che provocherà la fuoriuscita dalla falde montane di un quantità d’acqua equivalente al fabbisogno annuo di 600.000 persone.

Il calcolo è stato fatto nel febbraio scorso dal Comitato acqua pubblica di Torino e dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua a partire dai dati forniti dalla stessa azienda promotrice del TAV.

Il cunicolo geognostico scavato a La Maddalena di Chiomonte ha provocato, secondo TELT, 245 perdite idriche significative ancora attive alla fine dei lavori nel febbraio 2017 (lasciando quindi da parte le 78 perdite che si erano già esaurite nei 4 anni di scavi).

La portata complessiva di queste “venute d’acqua” è stata stimata a 102,6 litri al secondo pari a 3,2 milioni di metri cubi annui. Facendo un calcolo ampiamente per difetto quindi, per il solo scavo del tunnel esplorativo abbiamo assistito allo spreco di ciò che consuma il 40% dei valsusini in un anno.

A partire da questo dato si può fare una proiezione su cosa implicherà lo scavo del tunnel TAV, che non è un cunicolo esplorativo di 7 km ma il più lungo tunnel dell’arco alpino, a doppia canna e lungo 57 km.

Sempre rimanendo su una stima molto prudente, lo scavo implicherà la perdita secca dell’equivalente di consumo d’acqua annuo di 600.000 persone. Si tratta, in più, di acqua pregiata, proveniente da falde profonde, classificata ad uso idropotabile, depurata in maniera naturale dal lungo processo di “filtraggio” che subisce penetrando nelle rocce alpine.

Cosa aspettiamo a fermare questo delirio? Che finiscano le lacrime di coccodrillo dei giornali che con una mano promuovono la “transizione ecologica” mentre con l’altra spingono progetti come il TAV?

 

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    ANCHE PER LE MONTAGNE VALE LA MASSIMA:

    “DAGLI AMICI (da alcuni almeno) MI GUARDI IDDIO CHE DAI NEMICI MI GUARDO IO”

    Gianni Sartori

    Mentre le calure estive schiantano (e non solo metaforicamente) a decine anziani proletari e lavoratori stagionali (e mentre una larga fetta di piccola media e oltre borghesia si rifugia in quota “al fresco”), un’esponente della destra italica che, a suo dire, tra i monti di Cortina si sentirebbe “a casa sua” (sentimento, mi auguro, non ricambiato dagli indigeni e dalla fauna e flora locale) ha emesso il verdetto definitivo, la classica “parola fine” sull’ambigua e lamentosa questione “spopolamento delle montagne”. Concetto spesso impropriamente e retoricamente evocato, a scopo finanziamenti, oltre che da interessati amministratori, operatori turistici e speculatori d’alta quota, da una miriade di soidisant “scrittori di montagna” (esiste anche l’associazione, quasi una lobby, mi dicono) che dai Monti , spettacolarizzando e mercificando, trae sostentamento.

    In realtà si dovrebbe piuttosto parlare dei rischi di sovrappopolazione in un ambiente non “fragile”, ma sicuramente “delicato” (nel senso di complesso, variegato, ricco di interconnessioni a livello di habitat, specie, clima… ) e quindi a rischio. Soprattutto pensando che tutti (quasi tutti?) usano l’auto, il fuoristrada, il suv e altro e per il territorio, per gli ecosistemi le conseguenze sono comunque devastanti.

    Oltre naturalmente al proliferare di seconde case, alberghi, rifugi-alberghi, strade, impianti di risalita, piste da sci (con illuminazione notturna), il bob olimpico… e una generalizzata cementificazione-deforestazione.

    Giusto un anno fa assistevo allibito ad un brutale taglio boschivo, una folta assemblea di larici ridotta in trucioli, destinati poi a qualche impianto per la produzione di energia “bio” (bio ?!?).

    Ufficialmente, mi spiegava il proprietario del bosco “xe sta Vaia”. Peccato che il bosco, come potevo ampiamente testimoniare, da “Vaia” all’epoca non fosse stato nemmeno sfiorato. Diciamo che l’astuto montanaro veneto aveva colto l’occasione (“ghe gaveva ciapà rento”) per specularci su.

    Ma con l’odierna richiesta di un aeroporto per Cortina (perché arrivarci su strada sarebbe “un calvario”) si è letteralmente toccato il fondo.

    Del resto questa pare sia la tendenza generale . Per gli straricchi senza vergogna (non solo i classici capitalisti naturalmente, aggiungiamo calciatori, attori, cantanti, politici, camorristi, nani e ballerine…) volteggiare angelicamente sopra le masse accaldate e puzzolenti sui sentieri (o magari in coda sui tornanti) è una questione di principio. Solo qualche giorno fa davanti a un rifugio CAI sulle Pale di San Martino sono atterrati un paio di elicotteri (il gestore aveva fatto allontanare preventivamente gli escursionisti raccomandando di riprendersi magliette e canotte stese ad asciugare perché altrimenti sarebbero volate via) da cui scendevano, in ghingheri, due vispe comitive di turisti che qui avevano prenotato il pranzo. Dopo un lauto pasto e abbondanti libagioni erano ripartiti senza nemmeno sgranchisti le gambe e senza mischiarsi con le prosaiche masse appiedate. Rifugio CAI, sottolineo.

    Quanto alla recente “tragedia annunciata” della Marmolada (più che un “campanello” una sirena, l’ennesima, d’allarme) presumibilmente (siamo pur sempre nella Società dello spettacolo dove lo spettacolo si fa merce) alimenterà il turismo, almeno quello dei voyeurs (vedi sul Vajont, vedi, anche se in forma minore, Stava e Cermis…), ma forse non contribuirà abbastanza, non quanto dovrebbe, allo sgretolamento dell’antropocentrismo capitalista applicato al turismo e dei suoi inevitabili corollari (mercificazione, sfruttamento,spettacolarizzazione etc. vedi sopra).

    A titolo di parziale consolazione (e lo dico magari a mio svantaggio, in quanto escursionista che dalla pianura risale in treno e corriera e poi si sposta rigorosamente solo a piedi), almeno da ‘ste parti (Vette Feltrine e dintorni), vanno dilagando zecche et similia. Scoraggiando una eccessiva frequentazione di boschi, prati e brughiere.

    Gianni Sartori

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