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La Cop29 non fa felice nessuno, tantomeno il pianeta

Si è chiusa tra mille difficoltà la Cop29 di Baku, dopo che era stata persino prorogata di un giorno, per evitare di non raggiungere un accordo. L’unica volta era successo nel 2000, e che avvenisse oggi che i nodi della crisi ambientale sono all’ordine del giorno sarebbe stato un completo fallimento.

L’intesa siglata alla conferenza, però, non accontenta nessuno, e soprattutto non sembra in grado di rispondere alle esigenze che gli esperti sottolineano da tempo rispetto alla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. In Occidente si sentono tante belle parole in merito, ma servono i soldi.

Quasi 200 paesi hanno trovato un accordo sui nuovi obiettivi di finanza climatica, ovvero gli aiuti da dare ai paesi in via di sviluppo, maggiormente colpiti dai cambiamenti climatici. Un gruppo di esperti indipendenti incaricato dalle Nazioni Unite di stimare la cifra necessaria l’ha fissata a 1.300 miliardi di dollari ogni anno.

Ovviamente, il nodo è quanto devono mettere i paesi storicamente maggiormente responsabili delle emissioni, per compensare i danni e aiutare nella transizione ecologica quelli in via di sviluppo. Il precedente obiettivo di 100 miliardi l’anno sarebbe scaduto nel 2025, e ora è i paesi ricchi hanno accordato 300 miliardi l’anno per il 2035.

Si tratta di contributi, ma anche di prestiti a basso interesse: difficile trovare occasioni in cui le potenze occidentali si prendono le loro responsabilità gratis. Il migliaio di miliardi mancante dovrà essere trovato tramite benefattori, e soprattutto investimenti privati e tasse di cui il gettito non è ad oggi prevedibile.

Leggiamo alcuni commenti dai paesi che saranno interessati da questi trasferimenti. Lo Zambia ha fatto sapere che è “estremamente deluso dal risultato“, mentre Chadni Raina, delegata indiana, ha detto che “il documento conclusivo non è nient’altro che un’illusione ottica“.

Lo stesso segretario generale dell’ONU Guterres ha detto che “sperava in un risultato più ambizioso“. Il CAN, che riunisce oltre 1.900 associazioni di oltre 130 paesi impegnate nel combattere il cambiamento climatico ha parlato addirittura di “tradimento“, ma non sembra un’esagerazione.

Infatti, Mohamed Adow, direttore del think tank Power Shift Africa, ha rilasciato questa dichiarazione al Guardian: “questo summit è stato un disastro per il mondo in via di sviluppo. È un fallimento per la popolazione e per il pianeta da parte dei paesi ricchi che sostengono di prendere sul serio il cambiamento climatico“.

Non sembra ci possa essere opinione più contraria a quelle che hanno invece esposto Bruxelles e Washington. “La Cop29 sarà ricordata come l’inizio di una nuova era per la finanza climatica“, ha detto il commissario europeo per l’Azione per il clima, Wopke Hoekstra.

Per Biden “il mondo ha raggiunto un accordo su un altro risultato storico“. E ci ha tenuto a sottolineare che accelerare sulla transizione a un’economia verde dei paesi in via di sviluppo significa aprire “nuovi mercati per veicoli elettrici, batterie e altri prodotti di fabbricazione americana“.

Ma nel settore è la Cina a guidare il mercato e l’innovazione, e anzi dazi e guerra commerciale stanno mettendo in pericolo il contributo del Dragone, unico capace di dare una spinta reale all’abbandono delle fonti fossili. Su cui, alla Cop29, non è stato fatto alcun passo in avanti in realtà.

Anzi, dopo nove anni di trattative, sono state infine concordate le regole del mercato dei crediti di carbonio. Si tratta, in poche parole, di “vendere” le emissioni ad altri attori, così da apparire in regola con gli obiettivi prefissati, pur continuando a inquinare come prima.

Già denunciate in passato, queste transazioni erano previste già negli Accordi di Parigi del 2015, e solo ora vengono normate. Ma del resto, solo nelle parole delle cancellerie occidentali gli obiettivi di Parigi sono ancora raggiungibili.

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