Si è chiusa venerdì 23 maggio a Piacenza la prima edizione del Nuclear Power Expo, la kermesse dedicata alla supply chain del nucleare che, in contemporanea ad altre due fiere-mercato dedicate alla “riconversione energetica” e alla “sicurezza informatica”, l’Hydrogen-expo e il Cybsec-expo, ha accolto circa 200 ospiti del mondo dell’imprenditoria legato al comparto energetico.
L’evento, primo nel suo genere, si propone come punto di riferimento nazionale nei prossimi anni per il rilancio dell’energia nucleare in Italia – ospitato in un territorio ancora segnato dell’eredità tossica della centrale di Caorso – offre importanti spunti di riflessione rispetto alla troppo poco discussa questione del ritorno del nucleare in Italia e alle modalità con cui governo e privati stanno lavorando a questo obiettivo.
La puntuale contestazione di Ecoresistenze nel giorno di apertura della kermesse, in questo senso, ha sollevato alcune delle principali problematiche legate all’evento, e ha avuto il merito di rompere l’assordante muro di silenzio intorno alla questione del ritorno al nucleare.
Presentandosi alla fiera piacentina con uno striscione con su scritto “Nuclear Power Expo: dove il profitto vale più di ambiente, pace e democrazia”, che rilanciava sulla manifestazione nazionale del 21 giugno, i militanti sono intervenuti condannando le aziende venute a “spartirsi il bottino del ritorno al nucleare” così come le forze politiche al governo e all’opposizione “che da destra a sinistra fanno a gara per spartirsi fette di mercato di una tecnologia ecocida e legata a doppio filo con la guerra”, lo ha ribadito uno degli attivisti intervenuto al megafono davanti allo spazio fiere.
Come ha rilevato Ecoresistenze, il problema è di carattere democratico, ambientale, economico e pone al centro la questione che oggi si impone con più urgenza: la pace. Ma andiamo per ordine.
Organizzata da Mediapoint & Exhibitions, la manifestazione ha ricevuto il patrocinio di istituzioni come il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, la Regione Emilia-Romagna e la Regione Liguria, ENEA e Sogin, quest’ultima responsabile del (mancato) smantellamento delle centrali nucleari italiane dismesse.
In linea con la volontà politica di governo e regione, ma organizzata e partecipata esclusivamente da privati (è stato Roberto Adinolfi, presidente di Ansaldo Nucleare, ad aprire il primo convegno), l’expo rappresenta un doppio ribaltamento dei valori democratici.
Da una parte l’evento, configurandosi come una vetrina promozionale per l’industria nucleare, ha anticipato la conclusione dell’iter parlamentare della legge per il rilancio del nucleare, anteponendo di fatto gli obiettivi dei privati a quelli della politica.
Dall’altra, lo stesso avviamento di un iter parlamentare che ignora i ben due referendum che prima nel 1987 e poi nel 2011 hanno detto no al nucleare, smaschera il dispotismo di questo governo, così come l’inconsistenza delle sue opposizioni, incluse quelle “verdi”, che spesso e volentieri si nascondono dietro a un dito, con posizioni il più possibile ambigue e “palindrorme”, utili solo a tenere il piede in due scarpe: presentarsi come opposizione e svolgere il ruolo di forza pro-establishment UE.
Le problematiche legate alla questione ambientale e alla crisi climatiche, che stavano timidamente a cornice del dibattito, sono state affrontate solo indirettamente e in virtù della promozione delle nuove tecnologie energetiche proposte dalle industrie presenti.
Il direttore di Mediapoint, Fabio Potestà, ha parlato di un “nuovo Rinascimento energetico”, sostenendo la necessità di un mix energetico di nucleare e rinnovabili per la sicurezza energetica del paese.

Negli ultimi anni, una campagna mediatica aggressivamente favorevole al nucleare ha cercato di far dimenticare che, per ben due volte, l’opinione pubblica italiana si è espressa chiaramente contro l’energia atomica. Il dibattito è stato ridotto a una narrazione unilaterale, dando l’impressione di un consenso ampio e trasversale e di uno scontro che si vuole delineare come generazionale.
In un contributo pubblicato a gennaio a fronte dell’annuncio del disegno sul nucleare da parte di Fratin, Ecoresistenze analizzava bene l’“escalation” di eventi che, a partire dal post-covid e la precipitazione bellica in Ucraina, ha riportato in auge il nucleare:
“Ricordiamo come già nel 2021, nel corso delle discussioni al Parlamento europeo sugli atti delegati al Green Deal, il nucleare da fissione era stato presentato insieme al gas come fonte “di transizione”. (…) Nel frattempo in Italia, dopo l’ultima bocciatura della fissione al referendum berlusconiano si ricompattava il fronte politico del sì, sotto la guida del Ministro alla Transizione Ecologica Cingolani, “tecnico” del Governo Draghi, sostenuto trasversalmente nell’arco parlamentare. Sotto quella legislatura è diventata pressante a tutti i livelli la propaganda per il ritorno al nucleare, dalle dichiarazioni istituzionali, alle campagne giornalistiche e social, alle iniziative “divulgative” messe in campo da una serie di attori privati del settore che hanno tutto l’interesse ad ampliare all’Italia il mercato per le loro tecnologie.” (FERMIAMO IL GOVERNO DEL RITORNO AL NUCLEARE! – Cambiare Rotta).
Dal 2021 a oggi, l’escalation bellica e le nuove priorità strategiche dell’Unione Europea hanno spinto in secondo piano perfino quegli obiettivi di transizione ecologica di facciata che erano stati al centro di piani come il Green New Deal, e si è arrivati a individuare come unica soluzione il ‘patto col diavolo’: il nucleare, oggi rilanciato paradossalmente come simbolo della nuova frontiera ambientalista.
È questo il quadro europeo in cui ha preso forma il nuovo disegno di legge sul nucleare, approvato dal governo Meloni a fine febbraio 2025. Il piano prevede l’adozione di nuove tecnologie nucleari, come i reattori modulari di piccola taglia (SMR), e la possibile istituzione di un’Autorità indipendente per la sicurezza nucleare, e rinuncia definitivamente al progetto di un deposito nazionale.
Vecchie centrali come quella di Caorso, ancora al centro del dibattito, continueranno a servire da siti diffusi sul territorio nazionale per ospitare i depositi di scorie.
Il leader di Azione, Carlo Calenda, ha addirittura proposto la riattivazione dell’impianto di Caorso, definendolo un “gioiello di efficienza” e sottolineando l’opportunità di ridurre la dipendenza energetica dall’estero.
Risulta calzante a questo punto un breve riepilogo dei motivi per cui il nucleare, neanche nelle sue recentissime e modernissime declinazioni, non è, e non sarà mai, la soluzione al problema energetico e climatico, le cui cause scatenanti vanno ricercate a monte, ovvero nei meccanismi stessi del modello (iper)produttivo capitalista.
Innanzitutto, il noto problema delle scorie. L’Italia, nonostante non produca più energia nucleare dal 1990, si trova ancora a dover smaltire circa 115.000 m³ di eredità tossica e non dispone di un deposito unico di stoccaggio.
Questa è la situazione dopo 26 anni di attività di Sogin, la società statale per lo smantellamento delle centrali nucleari e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, la cui storia è costellata da scandali (dal 1999, anno in cui è stata fondata, ha rubato in bolletta dalle tasche della popolazione e delle fasce popolari, il totale di 4,3 miliardi di euro).
Attualmente, questi rifiuti sono stoccati in 32 siti temporanei distribuiti in 14 regioni italiane. Alcuni di questi siti sono legati a impianti nucleari dismessi, come quelli di Caorso e Trino, mentre altri sono associati a strutture di ricerca o a ospedali.
Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda le oltre 235 tonnellate di scorie nucleari italiane attualmente stoccate in Francia e nel Regno Unito. L’Italia ha l’obbligo di farle rientrare entro il 2025. Tuttavia, la mancanza di un deposito nazionale adeguato pone seri interrogativi su dove e come queste scorie potranno essere gestite una volta rientrate.
Possiamo visualizzare, a questo punto, il grado di follia nell’immaginare un ritorno al nucleare in Italia in queste condizioni, dal momento in cui, per di più, il progetto di un deposito nazionale si è riconosciuto essere improponibile per il momento: l’autorizzazione unica per la costruzione del deposito potrebbe essere ottenuta nel 2029, con la messa in esercizio prevista entro il 2039.
Ignorando questo nodo centrale, la narrazione pro-nuclearista si concentra esclusivamente sull’elemento innovazione, proponendo una retorica che, in sostanza, si traduce così: chi ha votato contro il nucleare nei referendum non conosceva ancora i reattori di nuova generazione. Ma cosa sono questi fantomatici reattori di nuova generazione?
Il recente decreto sul ritorno dell’Italia al nucleare è volutamente ambiguo: si parla genericamente di “nucleare sostenibile”, mettendo insieme tecnologie molto diverse come la fusione, gli SMR (Small Modular Reactors) e gli AMR, creando confusione. Questa vaghezza serve a evitare lo scontro diretto con il referendum del 2011.
In realtà, come indicano le dichiarazioni della joint venture Nuclitalia (Leonardo, Ansaldo Nucleare ed ENEL), la tecnologia considerata è quella degli SMR ad acqua leggera.
Questi reattori, però, non rappresentano un’innovazione radicale: sono solo una versione ridotta delle centrali nucleari tradizionali e rientrano pienamente nella tipologia rigettata dal referendum del 2011. Per eguagliare la potenza di una centrale da 1–2 GW servirebbe infatti un gran numero di SMR da poche decine o centinaia di MW.
In più, questa tecnologia è ancora sperimentale: non esistono modelli operativi nel mondo occidentale (solo in Russia e Cina), e non è chiaro quanta energia produrrebbero né quante scorie.
Quel che si sa è che questi reattori sono pensati per soddisfare il fabbisogno di aziende energivore (come quelle che gestiscono data center e IA) e dovrebbero essere piccoli, economici da produrre in serie, a ciclo vitale breve e facili da sostituire. Si tratta, di fatto, di un nucleare “usa e getta”, che diventa economicamente sostenibile solo con un alto volume di vendite e ricambi rapidi.
Ma gli SMR comportano numerosi problemi: sono meno efficienti dei grandi reattori tradizionali, richiedono combustibile più arricchito (più costoso e difficile da gestire). Inoltre, anche i materiali stessi dei reattori diventano radioattivi e devono essere smaltiti in depositi geologici, aggravando il problema delle scorie.
Insomma, gli SMR sono sì diversi dal vecchio nucleare, ma in peggio. E appare difficile credere che questa scelta sia legata a una strategia di sovranità energetica: sembra piuttosto un’operazione per creare profitti a vantaggio di aziende italiane e dei “campioni europei”, lasciando ai cittadini il costo economico e ambientale della costruzione, gestione e dismissione di questi impianti per decenni – se non secoli – a venire.
Tra gli altri falsi miti sul nucleare da sfatare, la questione del nucleare a emissioni zero, per cui, senza scendere nei dettagli, rimandiamo alla lettura del contributo del chimico e compagno Angelo Baracca “I paraocchi del nuclearismo: cosa c’è oltre la centrale”, recuperabile a questo link: nucleare1.pdf. In breve, bisogna considerare i processi a monte (estrazione dell’uranio) e a valle (scorie) del processo di produzione di energia nucleare, che producono emissioni di CO2, sapendo che qualsiasi tipo avanzamento tecnologico in materia non può eludere questi due momenti.
Infine, la questione dell’uranio, e quindi della finitezza delle materie prime e della sua distribuzione ineguale sul globo, che rende il minerale ulteriore elemento di frizione geopolitica e competizione globale.
E così arriviamo all’ultimo punto: la guerra.
Il discorso sulla “sicurezza energetica” all’interno del quale si legittima il colpo di mano del governo nel rilancio del nucleare, si pone in continuità con la politica di “differenziazione” e “sovranità” energetica promossa dall’Unione Europea negli ultimi anni, con piani come il RePowerEu. Si tratta della risposta, in materia energetica, al contesto di guerra e competizione tra capitali, nel contesto di frammentazione del mercato mondiale e crisi dell’Occidente.
In questo senso, l’equazione tra il carattere intrinsecamente dual-use del nucleare e l’urgenza di armarsi del governo, è facile da risolvere. Un filo rosso tra rilancio del nucleare in Italia e industria bellica è rappresentato dalla figura di Cingolani, ex ministro dell’Ambiente e della Transizione ecologica, e diventato Amministratore Delegato di Leonardo SPA.
In questo caso, in occasione del Nuclear Power Expo, nessun sotterfugio da parte degli attori privati: almeno loro, come unico merito, hanno il coraggio di dire fuori dai denti ciò che in politica viene ancora ammantato da retorica green e promesse sulla transizione. Giovedì, infatti, l’Expo piacentino ha ospitato un dibattito tecnico dal titolo emblematico: “Prodotti dual-use del settore nucleare” (link all’evento: 7d5323ad-93f9-47c1-9141-358dad88ce0c.pdf).
In sintesi, la Nuclear Power Expo ha chiarito che il cosiddetto “ritorno all’atomo” è tutt’altro che un’operazione neutrale o ecologica. Dietro la facciata rassicurante della “transizione energetica” si intravede piuttosto una corsa all’accaparramento di nuovi segmenti di mercato, dove la tecnologia nucleare resta legata a doppio filo con logiche industriali e militari.
La manifestazione del 21 giugno per la pace assume così un’importanza decisiva anche per tutte quelle forze ambientaliste e sociali che ancora si battono contro un ritorno nucleare travestito da sostenibilità. Condividiamo e invitiamo a diffondere l’appello promosso da Ecoresistenze, Crocevia e dall’Associazione Rurale Italiana, che rilanciano la necessità di una mobilitazione dal basso che tenga insieme lotta ecologista, giustizia sociale e disarmo, invitando le organizzazioni ambientaliste a aderire alla piazza del 21 e a costruire una “partecipazione ambientalista organizzata”. La UE dichiara guerra all’ambiente, scendiamo in piazza per la pace, il pianeta e i diritti – Contropiano.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa

Filippo
“ In questo senso, l’equazione tra il carattere intrinsecamente dual-use del nucleare e l’urgenza di armarsi del governo, è facile da risolvere”
cosa state insinuando esattamente? L’idea che il nucleare civile si può usare per produrre ordigni nucleari? Credete davvero a queste cospirazioni di così basso livello? Siete peggio dei Novax, andatevi ad informarmi a dovere sulla fisica nucleare invece che rigurgitare storielle sentite dagli amici del bar
Redazione Roma
Secondo lei il nucleare a fini militari da dove nasce se non da materiali prodotti dalle centrali nucleari a scopo civile? Mica lo producono in laboratori separati, in questi li fanno solo diventare bombe
Berny
Quindi se siete contrari al nucleare evitate di nominare Berlinguer che ne era acceso sostenitore. Per vs informazione il nucleare è la tecnologia più controllata del Pianeta: se uno Stato volesse convertire il suo nucleare civile in nucleare militare dovrebbe 1) operare un arricchimento del U235 al livello Weapon Grade (maggiore del 60% rispetto al 5% dei reattori civili), oppure 2)produrre isotopi dispari del Plutonio che ad oggi si possono ottenere solo con reattori specifici (di ricerca o a basso burnup). In pratica, con il livello di controllo della IAEA lo saprebbe immediatamente tutto il mondo. Senza contare che si possono produrre tranquillamente “bombe sporche”, senza nemmeno disporre delle attrezzature di cui sopra. Parlate di nucleare dei padroni senza nemmeno riflettere che la Russia Sovietica spingeva al massimo su questa tecnologia, proprio perché è difficile se non impossibile privatizzarla del tutto (puoi costruire o essere proprietario di un impianto, ma la gestione rimarrà sempre sotto il controllo e la supervisione Statale), e allo stesso tempo obbedite ai veri padroni, che controllano il mercato dei combustibili fossili.