La Cop30 di Belém, in Brasile, la prima a svolgersi dopo che il pianeta ha registrato una temperatura media globale più alta di 1,5 gradi rispetto all’epoca pre-industriale (nel 2024), la Cop che è stata definita da più parti come il momento della verità, si è infine conclusa ieri, 22 novembre. Il risultato è ben al di sotto delle aspettative di molti, e ben al di sotto di quel che sarebbe necessario.
Ci si era messo persino un incendio a rendere più complessa la ricerca di un accordo dei rappresentanti dei circa 200 paesi presenti alla foce del Rio delle Amazzoni. Il summit doveva chiudersi il 21 novembre, ma era stata poi prolungata perché, questa volta, sembrava possibile che si chiudesse senza raggiungere una tabella di marcia comune.
Alla fine, il Global Mutirão, termine di origine indigena che indica lo sforzo collettivo verso un obiettivo comune, è stato approvato. Ma la tabella di marcia che manca, ed era fondamentale, è quella sull’abbandono delle fonti fossili. La bozza uscita l’ultimo giorno della Cop, priva di queste indicazioni, era proprio quella che aveva fatto sollevare dubbi sulla possibilità di raggiungere un’intesa, e invece alla fine è stato dato il via libera a cancellare ogni riferimento esplicito a carbone, gas e pretrolio, seppur ovviamente in un quadro più ampio.
Oltre 80 paesi sviluppati e in via di sviluppo avevano chiesto che a Belém fosse indicato un percorso scadenzato per la transizione dalle fonti fossili verso quelle sostenibili, in modo tale che tutti i governi fossero chiamati ad adottare un proprio calendario, autonomo ma concreto, per raggiungere l’obiettivo. Lo stesso Lula aveva sostenuto questo appello.
Ma alla fine, anche il presidente brasiliano, dal Sud Africa, dove sta partecipando al G20, ha dovuto accettare cercando di trarne il meglio: “la scienza ha prevalso, il multilateralismo ha vinto“. Se sul primo tema, ovvero sulla conferma della crisi ambientale, non c’è dubbio, che il multilateralismo abbia vinto deve fare i conti con cosa significa vittoria. Si è trattato più di una concertazione, tenendo inoltre presente che gli USA, il paese con la maggior quantità di emissioni pro-capite, non erano presenti.
La Cop28 a Dubai aveva raggiunto l’accordo sulla necessità di eliminare i combustibili fossili e raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050, ma non indicò il come e i tempi. La Cop29 di Baku fallì nel dare definizine a questi nodi, e l’intesa sugli aiuti dovuti dai paesi più ricchi verso lo sforzo della transizione non raggiunse le cifre necessarie: 300 miliardi di dollari l’anno invece dei 1.300 calcolati da un gruppo di esperti indipendenti incaricati dall’ONU.
A questa Cop, coi paesi produttori di petrolio di traverso, è stato impossibile fare avanzamenti sul lato del percorso per abbandonare i fossili, e lo stesso vale per la deforestazione, sulla quale sono stati semplicemente confermati gli impegni parziali precedenti. Ad ogni modo, sono stati fatti passi avanti sullo spazio di confronto riguardante il taglio delle emissioni.
Sono stati avviati nuovi processi per accelerare la transizione energetica: il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5 offriranno una serie di strumenti ai paesi per aiutarli nel definire il proprio percorso di abbandono dei fossili, come stabilito alla Cop28 di Dubai. Il presidente della Cop, André Corrêa do Lago, ha inoltre promesso di continuare a lavorare nelle prossime settimane su possibili piani per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e per fermare la deforestazione.
Uno dei pochi successi raggiunti in Brasile è stato l’accordo per triplicare i finanziamenti indirizzati ai paesi maggiormente a rischio sugli effetti della crisi climatica, i cosiddetti fondi per l’adattamento. Dei 300 miliardi dei paesi ricchi stanziati a Baku, 120 andranno a questi stati più vulnerabili, ma questo target sarà raggiunto entro il 2035, e non entro il 2030 come era stato richiesto dai beneficiari.
Il Commissario Europeo per il Clima, Wopke Hoekstra, ha affermato che le ambizioni europee erano maggiori, ma anche che l’accordo va sostenuto perché “almeno va nella giusta direzione“. Bisogna sottolineare che Bruxelles punta da tempo ad affermarsi come avanguardia dell’economia verde, anche se questo primato, per installazioni e tecnologie, va alla Cina.
Germania, Francia e Regno Unito avevano addirittura minacciato il veto quando era uscita la bozza senza la roadmap per l’abbandono dei fossili. Ma la realtà è che la UE ha approfittato dell’essere ancora rappresentata da 27 paesi per apparire come paladina dell’ambiente e per intestarsi lo sforzo per l’approvazione del documento finale, mentre alcuni dei suoi membri hanno remato contro impegni radicali.
Infatti, l’Italia si è posta evidentemente in contrasto con passi netti contro i combustibili fossili. Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha dichiarato: “in un momento geopolitico quale quello attuale, dove è finita un’epoca e gli interessi e gli equilibri politici mondiali e quindi automaticamente le alleanze sono molto diverse rispetto al passato, devo dire che era l’unica soluzione fattibile, quindi deve essere vista positivamente, con soddisfazione“.
Il ministro ha aggiunto, riguardo alla tabella di marcia per la fuoriuscita dai fossili: “non è parte del documento della Cop30 perché in metà dei paesi sinceramente non condividevano questa posizione“. In realtà, la stessa UE ha fatto fatica a trovare un’intesa sulla riduzione delle emissioni, e pezzi importanti della propria industria, a partire dall’automotive, si sono ribellate all’abbandono dei motori endotermici e anche ai più recenti impegni. In questo modo, Bruxelles ha cercato di trarre il massimo dalla Cop rispondendo anche alle preoccupazioni della sua industria.
Per quanto riguarda il Dragone, infine, il testo finale ha introdotto il riferimento al commercio internazione che era stato richiesto da Pechino, e con esso “riafferma che le misure per combattere il cambiamento climatico, incluse quelle multilaterali, non dovrebbero costituire uno strumento arbitrario o ingiustificabile di discriminazione o una restrizione al commercio internazionale mascherata“.
Alcuni accordi sono stati presi anche per ciò che riguarda le barriere commerciali correlate al cambiamento climatico. Ciò conferma certo che il multilateralismo ha ancora molto da offrire sul lato della governance globale. Ma anche che la guerra commerciale promossa dagli Stati Uniti è arrivata nel pieno della Cop, nonostante gli States fossero assenti a Belém.
Nonostante le parole di Lula, non si può ignorare come ormai forum come quello della Cop vedano il proprio peso degradarsi, rispetto a uno scenario mondiale frammentato tra aree con interessi contrastanti e non componibili.
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