La firma però era una cosiddetta «sigla aperta» del terrorismo nero: Nuclei armati rivoluzionari. Tutti avevano la possibilità di usarla, non solo i «fondatori» divenuti nomi noti dell’ eversione neofascista, colpevoli di omicidi che si sono tradotti in molti ergastoli.
Ma per l’ agguato che provocò la morte di Valerio Verbano, militante comunista appena diciannovenne assassinato il 22 febbraio 1980, non ci sono condannati. Non c’ è verità giudiziaria, e neanche storica. Lo ammazzarono in casa, in via Monte Bianco al quartiere Monte Sacro, zona di confine nella geografia politica romana di quegli anni scanditi da assalti, agguati e revolverate. I sicari arrivarono prima di lui, immobilizzarono i genitori e si misero in attesa.
Quando Valerio entrò ci fu una colluttazione, poi gli spari: gli aggressori scapparono mentre la loro vittima cominciava a morire sul divano del salotto. Valerio Verbano frequentava gli ambienti dell’ Autonomia, nel 1979 era stato arrestato e s’ era fatto qualche mese di carcere, uscito era rimasto un po’ in disparte pur continuando la sua attività di documentazione sull’ estrema destra in città.
Prima dell’ arresto aveva partecipato a una rissa con alcuni fascisti, nella quale aveva perso i documenti d’ identità: si pensò che la sua morte fosse una vendetta e uno dei sospettati andò dai genitori di Valerio per dire che non c’ entrava. Gli credettero. Quel fascista, Nanni De Angelis, morì qualche mese più tardi in carcere, dov’ era finito per altre vicende; si disse suicidio, mai i suoi «camerati» non hanno mai smesso di nutrire dubbi. Le lunghe e ripetute indagini sull’ omicidio Verbano non sono mai arrivate a nulla di concreto. Eppure quella rivendicazione indicava abbastanza chiaramente l’ area in cui cercare.
Ora un libro di Valerio Lazzaretti, archivista e ricercatore che ha collaborato alla realizzazione di documentari tv, cerca di accendere nuove luci. S’ intitola «Valerio Verbano, ucciso da chi, come, perché» (edizione Odradek, 454, euro 25) e contiene una rilettura completa di tutti gli atti raccolti da polizia e magistratura. Valorizzando indizi e coincidenze che portano ad ambienti e nomi da approfondire per tentare di arrivare alla verità. Nonostante siano trascorsi più di trent’ anni.
Ma c’ è di più, nel nuovo libro su Valerio Verbano. C’ è il racconto che ancora oggi sembra incredibile – perfino a chi ha attraversato le stesse strade e le stesse tensioni di quella stagione di politica e di violenza – di molti altri omicidi, ferimenti, pestaggi (quasi tutti rimasti ufficialmente senza colpevoli) e avvertimenti vari. E attraverso le cronache minuziose affiora la mappa di una Roma divisa in «riserve» rosse e nere, zone franche, bar e scuole segnate da colorazioni precise, sedi di partiti e gruppi in cui si producevano più azioni che idee. E si respira l’ assurda leggerezza che accompagnava il sangue versato.
Un anno prima di Valerio, vicino a un bar nel quartiere Talenti, morì un altro ragazzo di 19 anni, Stefano Cecchetti, ucciso dai proiettili calibro 7.65 e 9 lungo esplosi da una macchina in corsa. Il raid fu rivendicato dai «Compagni organizzati per il comunismo», che volevano colpire «un centro di aggregazione fascista sul territorio». Ma Cecchetti non era un fascista, e nemmeno un militante politico. Abitava da quelle parti, e s’ era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, vicino a un luogo di ritrovo dei «neri». Lotta continua notò che «di tanto in tanto portava le scarpe a punta», secondo il look dell’ estrema destra. In alcune radio dell’ estrema sinistra si accese un dibattito sulla legittimità di quegli spari, Valerio Verbano prese la parola per dire che lui non era d’ accordo. Nel volantino che firmò il suo omicidio, i suoi assassini lo accusarono di essere il mandante della morte di Cecchetti. Un’ assurda bugia che rende ancor più inquietante il delitto e il clima in cui è maturato.
Nel libro di Lazzaretti ci sono elementi che in teoria potrebbero essere utili alla riapertura delle indagini. L’ omicidio di un ragazzo di nemmeno vent’ anni – e non solo quello di Valerio, ovviamente, ma anche tutti gli altri rimasti impuniti – meriterebbe questo sforzo. Difficile che accada, e ancora più difficile che l’ eventuale nuova inchiesta possa raggiungere un risultato diverso dalle archiviazioni accumulate finora. Anche perché, nel frattempo, i reperti sui quali sarebbero oggi possibili accertamenti tecnici prima impossibili (un passamontagna, uno zucchetto e altri oggetti abbandonati dagli assassini) sono stati distrutti. Altro tassello di una storia apparentemente incredibile. Invece, purtroppo, è tutta vera.
www.odradek.it
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa