Questa autobiografia oltre che un avvincente romanzo di un lungo frammento della vita di un’eroina dell’affrancamento dal colonialismo dell’Irlanda, si può tranquillamente leggere come un saggio politico sulla lotta dei popoli per l’indipendenza e l’autodeterminazione. L’autrice irlandese infatti, lungi dall’attingere rigorosamente alla sua sfera privata, compone un inno alla necessaria lotta armata contro l’occupante britannico, lotta della quale ne ha fatto la ragione della sua lunga vita e della vita del figlio Sean MacBride, insignito poi nel 1974 del Premio Nobel per la pace. Con l’Irlanda nel cuore la nostra gira mezza Europa alla ricerca di sostegno alla causa perché, come lei stessa confessa «non avevo alcuno motivo di combattere se non per la terra che Dio ci aveva donato oppure, se si è un irlandese o un indiano o un egiziano, combattere in qualsiasi luogo contro l’Impero Britannico» perché « non è possibile che l’Impero Britannico esista e si perpetui senza la carestia in Irlanda, l’oppio in Cina, le torture in India, la povertà in Inghilterra, malessere e disordini in Europa e ruberie ovunque».
La figura di Maud MacBride ha la possibilità di elevarsi a simbolo perché, come scrive Antonella de Nicola nella postfazione, « le sono state accanto varie figure, da quella paterna, che ha indubbiamente modellato il carattere della ribelle e decisa Maud, a quella di Willie Rooney, John O’ Leary, degli amici feniani, di Millevoye prima e di MacBride poi, infine del figlio Seán. Eppure fu solo una la presenza maschile costante nella vita della Gonne, e fu quella, per l’appunto, di William Butler Yeats: Yeats il poeta, il drammaturgo, il visionario che attraverso le chiavi offerte dai simboli accedeva al corpo, spesso negato, di Maud. La loro fu un’unione mistica, nel significato più ampio del termine: si unirono più volte in quel pressoché indecifrabile “mystical marriage”, un matrimonio di anime, di congiunzione di spiriti che sovente varcavano la soglia che normalmente separa il mondo dei vivi da quello dei morti, laddove quest’ultimo non è terreno di angosce e paure, bensì di sguardi che guidano e di mani che proteggono».
Interessanti, infine, risultano gli squarci di vita vittoriana raccontati dettagliatamente dall’autrice, come il bisognino del cane Tiny che mobilita l’intera servitù: «Tiny non era stato educato come si deve: quando combinava qualche guaio, il che accadeva spesso, si scatenava un serio affare di famiglia. Bisognava suonare la campanella – cosa che divenne il mio lavoro – il valletto rispondeva e zia Augusta gli raccontava l’episodio con parole piene di contrizione. Dopodiché il valletto lo avrebbe riferito al suo superiore, il maggiordomo, il quale a sua volta avrebbe riportato la questione alla prima cameriera, che poi avrebbe delegato la responsabilità di gestire concretamente una tale seccatura alla cameriera in seconda, la quale finalmente si sarebbe presentata con paletta, spugna e secchio d’acqua».
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa