“L’ascia e il serpente. L’ETA e il nazionalismo basco dopo la lotta armata”, Adriano Cirulli, Datanews, 163 pp, 16 euro
Non sono molti in Italia i testi pubblicati finora sulle origini, la storia e le caratteristiche del secolare conflitto “basco”. I saggi sull’argomento sono una manciata, mentre in altri paesi abbondano. E ciò spiega l’ignoranza – oltre al pregiudizio – che contraddistingue il punto di vista di molti esperti italiani al momento di analizzare quanto accade in quel pezzo d’Europa a cavallo dei Pirenei.
A colmare il vuoto un saggio di Adriano Cirulli, ‘L’ascia e il serpente’. Che ha numerosi pregi. Ad esempio quello di raccontare, in modo succinto ma efficace, le antiche origini della questione nazionale basca, di spiegare il perché l’ETA sia nata da una costola del nazionalismo conservatore ma repubblicano e si sia evoluta verso posizioni socialiste rivoluzionarie. E soprattutto perché l’organizzazione sia sopravvissuta per decenni ad un processo di democratizzazione della Spagna assai incompleto e lacunoso.
Un altro elemento che sfugge ai più e che invece Cirulli affronta con precisione riguarda la natura del movimento indipendentista basco. Che è progressista, moderno, antirazzista e internazionalista. Esattamente il contrario di quanto la vulgata comune, a sinistra, sentenzia in genere sull’argomento, sospettosa a priori nei confronti di qualsiasi rivendicazione di sovranità, immemore dell’enorme valore che le lotte per l’autodeterminazione ha avuto nei contesti coloniali del ‘terzo mondo’ ma anche nelle lotte di liberazione dal fascismo e dal nazismo in Europa.
Il libro di Cirulli invece smonta il conflitto basco sulla base di diverse chiavi di lettura: storica, sociologica, politologica. Mettendone in evidenza continuità e discontinuità, capacità di adattamento e nuove sfide della sinistra indipendentista. La principale delle quali deriva dalla scelta, adottata dopo anni di dibattito anche aspro tra le varie anime del movimento di liberazione, di chiedere all’organizzazione armata l’abbandono dell’esercizio della violenza in nome dell’apertura di un processo politico di accumulazione di forze che costringa lo stato spagnolo a riconoscere il diritto all’autodeterminazione del popolo basco.
La decisione da parte dell’ETA di mettere fine all’uso delle armi rappresenta – insiste giustamente il libro – un momento chiave dopo decenni di pratica della lotta armata, intrapresa negli anni ’60 più per necessità – controbattere la cieca repressione franchista – che in nome di una scelta strategica.
Ma la fine del confronto armato non segna, chiarisce il testo, la fine del conflitto di cui è protagonista la vasta area sociale che si riconosce nella sinistra indipendentista, impegnata ora nella difficile sfida di riorganizzare i propri strumenti e le proprie strategie di lotta, oltre che la propria scala valoriale. Tenendo conto del fatto che a una smobilitazione dell’organizzazione armata, garantita dalla scelta politica irreversibile dell’area sociale indipendentista e dalla supervisione di numerosi garanti di calibro internazionale, non è finora corrisposta alcuna convincente ed equivalente mossa da parte delle classi dirigenti spagnole.
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lickshots
rispetto e amore x il popolo basco.–i libro e molto valido–
ciao R