Calvino cambiava spesso stile di scrittura nei suoi diversi romanzi, ma se c’è una cosa che accomuna gran parte dei libri dell’autore è la sua capacità di tirar fuori il lato poetico ed emotivo di fatti apparentemente privi di valore, come appunto un comunissimo seggio elettorale. Il protagonista, Amerigo Ormea, è uno scrutatore che vota Pci, crede fermamente nel suo ruolo di scrutatore e s’interroga di continuo su questa o quella questione politica. Amerigo osserva con piacere, ad esempio, che il seggio elettorale vede impegnarsi, insieme, persone di differente credo politico allo scopo di svolgere un servizio utile all’intera comunità. Per mezzo del libro, Calvino esprime delle critiche personali a quello che la democrazia rischiava di diventare (correva l’anno 1963). Coi ricordi del protagonista ricorda le promesse di eguaglianza portate dalla Liberazione e dalla neonata democrazia. Amerigo «ricordava l’aspetto della gente d’allora, che pareva tutta quasi egualmente povera, e interessata alle questioni universali più che alle private», però «quell’epoca era ormai finita, e piano piano a invadere il campo era tornata l’ombra grigia dello Stato burocratico, uguale prima durante e dopo il fascismo, la vecchia separazione tra amministratori e amministrati». Insomma Amerigo Ormea è uno a cui la democrazia piace ma allo stesso tempo elabora continue critiche al sistema democratico, critiche lecite, di chi non si accontenta, e vorrebbe migliorare la società verso un ideale perfetto di libertà ed eguaglianza.
Amerigo è un lunatico, sempre pronto a fantasticare. Per esempio pensa a come sarebbe l’atmosfera del seggio elettorale se quello fosse l’unico luogo abitato sulla Terra. Oppure, nel veder votare una signora senza gambe, gli viene da pensare: «chi potrebbe parlare di minorati, di idioti, di deformi, in un mondo interamente deforme?». Ritorna spesso il concetto di menomazione, di cosa è normale e cosa no, di quanto anche chi ha un cervello e un corpo funzionanti sia in realtà un menomato rispetto a un certo ideale di essere. Siamo tutti talmente lontani dalla perfezione che rispetto ad essa le differenze tra menomati e sani si riducono praticamente a zero. Se dovessimo riassumere in poche parole i pensieri di Amerigo Ormea direi che sono soprattutto pensieri esistenziali. Dopotutto Amerigo è un lunatico di tutto rispetto. «Ecco» pensa a un tratto, «uno esce un momento a fumare una sigaretta e gli prende una crisi religiosa». Insomma, la mente se ne va per i fatti suoi, i pensieri fanno i loro porci comodi e se ne sbattono di tutto, persino di chi li ospita nella propria testa. Che poi, pensandoci, è un po’ così per chiunque: non possiamo obbligare la mente a non pensare. Ma affermare che Calvino in “La giornata d’uno scrutatore” fa solo discorsi esistenziali è semplificativo. I temi sono infatti i più disparati, tra i quali il tema dell’amore (in questo caso l’amore tra Amerigo e Lia), spesso sempre presente nei libri dello scrittore, magari a volte solo in tracce ma comunque presente. Può sembrare superficiale che nel libro siano trattati i temi più disparati (sociali, religiosi, romantici eccetera) invece è estremamente realistico se pensiamo che siamo nella testa di una persona e per giunta ci stiamo dentro nell’arco di un’intera giornata. Quante ne pensiamo durante le ventiquattro ore? Eh? Domanda retorica. E non finisce qui. Lo scrutatore nella cui testa ci siamo intrufolati è uno di quelli che sanno ricavare metafore della vita da qualsiasi situazione, uno che trae insegnamento ed esperienza dai luoghi più impensabili; per lui ogni luogo è un’università, lo scandaglia in lungo e in largo fino a trovare in esso un diploma di vita.
Sul perché la storia debba svolgersi in un seggio elettorale si può speculare all’infinito. Uno dei motivi è che il luogo ospitante il seggio, vale a dire l’ospedale cattolico «Cottolengo» di Torino, è stato visitato dallo stesso Calvino il 7 giugno 1953, quando il noto scrittore era lì in veste di candidato del Pci, anche se solo per far numero nella lista, disse. Un ospedale particolare, il «Cottolengo», che secondo le descrizioni del libro ospitava prevalentemente menomati fisici e mentali, dei quali si prendevano cura le suore sin dall’infanzia. In un’intervista al «Corriere della sera» del 1963 Calvino disse che rimase scioccato dal fatto che venissero portati a votare alcuni pazienti dell’ospedale che però erano del tutto incapaci di intendere e di volere, e dovette aspettare che la rabbia sfumasse prima di scrivere il libro. Nella stessa intervista disse che impiegò dieci anni per completare il romanzo in quanto, per fare in modo che lo scrutatore arrivasse alla fine della giornata diverso da come era al mattino, era dovuto in qualche modo cambiare egli stesso.
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