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Depardieu, l’arte dell’egoismo

Non fuggiva Olmo Dalcò dalle retate fasciste se non dopo aver riempito di merda lo squadrista Attila che i padroni Berlinghieri s’erano ficcati nell’aia. Né tampoco scappava Cyrano pronto a subìre e celare per amore anche l’agguato che gli costerà la vita. Tutti ricordiamo due ciclopiche interpretazioni che restano nella storia del cinema, oltre che nella personale carriera di Gérard Depardieu ben prima della sua crescita ponderale utile, al più, per somigliare a Obelix. Il bracciante padano e lo spadaccino d’Aquitania, idealisti entrambi, erano romantici e popolari quanto lo furono certe vicende del Novecento italiano fra le due guerre e il modello letterario che fruttò a Rostand l’ingresso nell’Académie française. E da quegli inguaribili idealisti che noi stessi siamo, restavamo affezionati ai panni vestiti dal grande attore e ci piaceva sperare che anche il suo spirito soggettivo ne fosse segnato. Ne conoscevamo le umane debolezze, del resto chi è senza peccato? Non solo quelle del bon vivant, anche le contraddizioni e gli eccessi, pur da amour fou che avevano caratterizzato un’altra sua magistrale interpretazione nella truffautiana “La femme d’à côté”. O le guasconate da “Amici miei” con cui si divertiva a burlare, oppure l’ameno cazzeggio, le scazzottate coi paparazzi fino a farla letteralmente fuori dal vaso in aereo… Un po’ meno gli si poteva perdonare essersi speso per un parvenu dell’affarismo politico, diventato il Presidente del più bieco presidenzialismo della République: il guerrafondaio e meschino Sarkozy. Ma tant’era.

Gli orientamenti politici sono liberi e ciascuno sostiene il Presidente che si merita. Ora però la fuga di Depardieu supera ogni buon gusto. Finire fra le braccia del neo zar Vladimir Putin per non pagare le pur salatissime imposte fiscali previste dal governo Hollande, che domanda ai ricconi di spendersi e spendere più d’altri cittadini per sostenere la Francia, va quasi a negare quel che per anni l’attore ha interpretato. Altro che fustigatore dei costumi corrotti e persecutore di potenti e lestofanti, nonostante la mole Gérard si fa piccino piccino, cercando protezione nella diarchia del classismo dei nuovi padroni d’una Santa Madre Russia tornata ad affamare il popolo e difendere chi lo sfrutta per i suoi interessi. Rispondendo al primo ministro del proprio Paese (o ex Paese) Dépardieu sosteneva di voler finire in Belgio, gomito a gomito con altri miliardari che non amano i contributi fiscali. Poi l’assist del Presidente-fucilatore che l’accoglie fra i nouveaux riches tanto in voga a Mosca. Libero di farlo Monsieur Gérard ma d’ora in avanti difficilmente potrà recitare così: “Orsù che dovrei fare? Cercarmi un protettore, eleggermi un signore, e dell’ellera a guisa, che dell’olmo tutore, accarezza il gran tronco e ne lecca la scorza, arrampicarmi invece di salir per forza? No, grazie! Dedicare com’usa ogni ghiottone dei versi ai finanzieri? Fare l’arte del buffone pur di vedere alfine le labbra d’un potente atteggiarsi a un sorriso benigno e promettente? No, grazie!”. Qualsiasi maschera classica abbia finora usato il grand’attore, non riesce a celare un cuore più vicino al portafoglio che all’arte. In fondo anche un’esistenza ricca può essere, se non altruista, minimamente virtuosa.

cyrano de bergerac gerard depardieu jean paul rappeneau 014 jpg bbkp

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1 Commento


  • claudia

    è più facile che un cammello entri nella cruna dell’ago,che un ricco nel regno dei cieli.

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