Veloce come il pensiero, si dice(va) spesso. Ma i mercati finanziari mettono in discussione anche questo vecchio detto, che un tempo sembrava sintetizzare il massimo della velocità possibile per un essere umano (per la sua mente).
Il corpo è infatti un grave, un peso, una macchina più o meno efficiente ma in ogni caso di limitata velocità (anche Bolt, in fondo, più di 40 km orari non può fare). E i margini di miglioramento – individuale, non di specie – tendono all’infinitesimale.
Il pensiero invece va, o meglio andava, libero come l’aria. La sua velocità è (ed era, non è cambiata, dipendendo dalla fisiologia) pari a quelle delle sinapsi neuronali, molto – ma non infintamente – superiore a quella con cui uno stimolo cerebrale si trasmette al sistema nervoso e quindi all’apparato muscolare. Il pensiero semplifica, riduce i tempi della verifica empirica conservando la serie dei risultati ed estrapolandone le ricorrenze; il pensiero, producendo teoria, riesce addirittura a prevedere – limitatamente, ma sempre più efficacemente – gli eventi. Li sopravanza, in qualche modo. Li anticipa. Una bella semplificazione.
Ed anche una bella velocità, certamente, ma questa sì parecchio inferiore a quella dell’elettricità: 20 chilometri al secondo, metro più metro meno.
E questa è la velocità di trasmissione degli ordini di acquisto o vendita dei titoli sui mercati finanziari.
Seconda semplificazione (non una complicazione, il suo contrario). Come vengono prese le decisioni?
Anche il cervello può rivelarsi una “macchina lenta” quando c’è da reagire in tempo reale, quando una frazione di secondo può segnare la differenza tra successo e sconfitta, tra guadagno e perdita. Pensare significa soppesare gli elementi, vagliare quelli fondamentali, selezionare i punti rilevanti e connetterli in uno schema logico, in un’immagine o mappa virtuale entro la quale – decidendo – stabiliamo la direzione di marcia.
Questo modo di funzionare del cervello umano, sui mercati finanziari, è una perdita di tempo. Ovvero una tecnica per inanellare sconfitte, perdite, svalutazioni.
Meglio non pensare, dunque. Anzi. Meglio automatizzare il pensiero, renderlo veloce come l’elettricità (questa è uguale dovunque, quindi è uguale anche per tutti i competitor sul mercato). L’informatica è nata per questo. La qualità dei programmi di acquisto e vendita automatica – sui mercati – fa la differenza e la concorrenza. Ci sono le strategie di lungo periodo (mesi o settimane, non anni) elaborate ai piani alti dei consigli di amministrazione, Queste si traducono in programmi di gestione appositi, gli umani si limitano per un verso a sorvegliare che tutto funzioni sempre a puntino oppure a procacciare clienti; ovvero altre “macchine lente” dello stesso genere, facilmente ingannabili con discorsi arcani e algoritmi indecifrabili persino ai matematici di un ramo differente.
Questo articolo de IlSole24Ore, che qui sotto vi proponiamo, descrive in modo abbastanza preciso cosa accade quando “il sistema delle macchine” copre effettivamente quasi tutto il campo di gioco.
È questo il mondo in cui viviamo (di cui siamo periferia e “risorsa alimentare”). Democrazia, progresso, partecipazione, diritti umani, ideali… sono solo parole che appaiono come lampi – al momento giusto, certo – sugli schermi.
Questo è il modo in cui la crisi viene “gestita”. Ovvero moltiplicata e resa, alla fine, esplosiva.
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Uomini contro macchine in borsa: ecco come nel trading i robot amplificano i crolli dei mercati. Creando rischi sistemici. Come nel flash crash del 2010
di Enrico Marro
Uomini contro macchine, o addirittura macchine contro macchine. C’è stato il colossale flash crash del 6 maggio 2010, quando assieme agli altri indici statunitensi il Dow Jones crollò di circa mille punti (oltre il 9%) in pochi minuti tra gli sguardi pietrificati degli operatori, per poi rimbalzare verticalmente recuperando le perdite in poche manciate di minuti. Ma c’è anche il recente Twitter flash crash di tre anni dopo, per la precisione del 23 aprile 2013: un tweet pirata partito dall’account dell’Associated Press con la finta notizia di due esplosioni alla Casa Bianca e del ferimento di Obama fa perdere istantaneamente al Dow Jones l’1%, anche in questo caso recuperando subito con un movimento a “V”.
Sono solo i due casi più eclatanti del potere dei robot
Vale a dire di quei sistemi di high frequency trading che hanno profondamente mutato la struttura del mercato negli ultimi anni. Introducendo rischi nuovi e inediti, come hanno sottolineato una ricca serie di studi anglosassoni citati nell’eccellente Discussion Paper “Il trading ad alta frequenza. Caratteristiche, effetti, questioni di policy” pubblicato di recente dalla Consob. Non si tratta solo rischi per la qualità del mercato, ma anche di rischi sistemici.
I rischi sistemici
Secondo lo studio della Consob, i sistemi di HFT possono verificare fenomeni di profonda e rapida destabilizzazione di uno o più mercati. Per innescarli basta un problema a un singolo trader algoritmico: ad esempio un danno operativo (come un guasto dell’hardware) che a sua volta, influenzando le strategie degli altri high frequency traders, può avere ripercussioni sull’intero mercato fino a interessare anche altri mercati, data l’intensa operatività cross market di tali operatori. Un esempio: il 1° agosto 2012 Knight Capital, uno dei più grossi operatori HFT sul mercato statunitense, ha perso 440 milioni di dollari (pari a circa quattro volte il proprio utile netto dell’anno precedente) in soli 45 minuti di negoziazione per un errore nell’algoritmo di trading utilizzato.
Crolli sempre più veloci e intensi
Ma la diffusione del trading ad alta frequenza può portare ad amplificare le pressioni ribassiste fino a generare situazioni di estremo caos negli scambi. Come nel citato flash crash del 6 maggio 2010, quando i “robot” hanno amplificato la caduta degli indici pur non essendone stati la causa scatenante. A dare il via alle danze è infatti stato un grosso ordine di vendita. In base alla ricostruzione degli eventi fatta dalla Sec (Securities and Exchange Commission, la Consob americana), gli ordini in vendita delle macchine hanno successivamente innescato altri ordini in vendita di altri “robot” creando un fenomeno di “patata bollente” (hot potato trading) per cui le controparti degli scambi erano entrambe HFT che continuavano a vendere. Amplificando le spirali ribassiste.
L’instabilità portata dalle macchine
Che i sistemi di high frequency trading destabilizzino i mercati è convinto tra gli altri Giuseppe Basile, ingegnere informatico con 10 anni di esperienza come consulente IT in mezza Europa e project manager presso Accenture. Basile (che è anche analista tecnico certificato Siat e trader) al recente ITF di Rimini ha dedicato una relazione proprio all’impatto degli HFT sulle dinamiche di Borsa. «Si tratta di posizioni acquisite e rimosse molto velocemente, spesso centinaia o migliaia di volte al giorno – spiega – con un alto numero di ordini cancellato in confronto ai trade eseguiti». Per scatenare i robot basta poco: cambiamenti nel volume o nella volatilitá, oppure news di mercato, o ancora ritardi nella distribuzione dei dati di riferimento (prezzi, volumi o altro). «Alcuni sistemi includono dei componenti di ascolto delle notizie che scremano i titoli delle news e agiscono su di esse, comprando o vendondo sulla base di dove i prezzi si trovano in relazione al valore “corretto” stimato», continua Basile. E le cose, in futuro, sono probabilmente destinate a peggiorare: «le prossime generazioni di programmi saranno adattativi, imparareranno dalle proprie esperienze – sottolinea – e sarà difficile cercare di predire o controllare le dinamiche di un mercato popolato da un mix di trader sistemici e umani».
La liquidità diventa fantasma
Circola peraltro il mito che almeno una virtù i sistemi di HFT ce l’abbiano, cioé quella di rendere i mercati più liquidi. Ma è appunto un mito, una leggenda che non trova conferma nell’esperienza operativa. Al contrario, spiega la Consob sulla scorta degli studi anglossassoni in materia, in condizioni di particolare turbolenza gli HFT possono
assorbire liquidità con effetti particolarmente destabilizzanti per i mercati. Nell’ambiente quella offerta dagli HFT è infatti chiamata ghost liquidity, per indicare una liquidità solo “apparente” poiché tende a scomparire in un batter d’occhio, spesso in condizioni di mercato particolarmente turbolente e quindi proprio nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno.
Anche in Europa i robot sono dappertutto
Particolarmente diffusi sui mercati d’oltreoceano, i sistemi di HFT sono ormai molto diffusi anche nel Vecchio Continente. Nei principali Paesi europei la quota di scambi riconducibili ai robot è cresciuta costantemente negli ultimi anni e attualmente oscilla tra circa il 10 e il 40%. Piazza Affari purtroppo non è un’eccezione. Secondo un report AFM relativo ai primi cinque mesi del 2010, un ordine su cinque che passa sul circuito di Borsa Italiana proviene da una macchina, non da un umano. Ma siamo solo all’inizio. E l’instabilità portata dai robot sui mercati potrebbe aumentare, spiega Basile, con flash crash ancora peggiori di quello del maggio 2010.
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