“La Grecia deve votare ‘no’ e il governo greco deve essere pronto, se necessario, a lasciare l’euro”. E’ quanto scrive Paul Krugman in un commento sul New York Times in cui argomenta che le ragioni che lo spingono a sostenere il no – in una situazione in cui la “Grecia appare aver raggiunto il punto di non ritorno, con le banche chiuse e il controllo sui capitali” – sono di natura economica e, soprattutto, politica.
Dalla troika “alla Grecia è stata presentata un’offerta prendere o lasciare effettivamente non distinguibile dalle politiche degli ultimi cinque anni”, scrive l’economista statunitense, Premio Nobel 2008, che nel suo articolo ribadisce la sua nota opposizione alle politiche di austerity considerate le vere responsabili della mancata ripresa della Grecia nonostante – anzi, proprio a causa degli enormi sacrifici sostenuti dalla popolazione.
Per Krugman quella dei creditori internazionali era una mossa calcolata per “distruggere la ragione d’essere politica” di Tsipras e toglierlo dal governo “cosa che molti probabilmente succederà se i greci dovessero votare sì al referendum”.
“Per capire perché dico così dovete rendervi conto che la maggior parte — non tutto, ma la maggior parte — di ciò che avete sentito dire sulla dissolutezza e l’irresponsabilità fiscale dei greci è falso. Sì, il governo greco ha speso al di sopra dei propri mezzi alla fine degli anni 2000. Ma fino ad allora aveva ripetutamente tagliato le spese e alzato le tasse. L’occupazione nel settore pubblico è stata ridotta di oltre il 25%, e le pensioni (che in effetti erano troppo generose) sono state tagliate fortemente. Se ci aggiungete tutte le misure di austerità, ciò sarebbe dovuto essere più che sufficiente per annullare l’iniziale deficit e trasformarlo in un grosso surplus.
Dunque perché questo non è accaduto? Perché l’economia greca è crollata, in larga parte a causa di quelle stesse misure di austerità, trascinandosi dietro il gettito fiscale.
E questo crollo, a sua volta, ha avuto molto a che fare con l’euro, che ha intrappolato la Grecia in una camicia di forza economica. Le storie sull’austerità che funziona, nelle quali i paesi limitano il deficit senza portare a una depressione, di solito implicano forti svalutazioni della moneta per rendere le esportazioni più competitive. Ciò è quanto è accaduto, per esempio, al Canada negli anni ’90, e in misura importante anche all’Islanda più recentemente. Ma la Grecia, non avendo la propria moneta, non ha avuto questa opzione”.
Vi sono tre ragioni – spiega l’economista – che dovrebbero spingere i greci a votare un secco ‘no’: “la prima, noi sappiamo che politiche di austerity ancora più dure sono un vicolo cieco: dopo cinque anni la Grecia sta peggio di prima. La seconda – argomenta ancora – il temuto caos del Grexit sta già succedendo”.
“Infine, accettare l’ultimato della Troika rappresenterebbe l’abbandono definitivo di qualsiasi pretesa di indipendenza da parte della Grecia. Non fatevi ingannare da chi dice che i funzionari della Troika sono solamente dei tecnici che spiegano agli ignoranti greci cosa deve essere fatto – avverte Krugman – Questi supposti “tecnici” sono in realtà dei visionari che trascurano tutto ciò che sappiamo di macroeconomia, e che si sono dimostrati in errore ad ogni pie’ sospinto. Non si tratta di fare analisi, si tratta del potere — il potere che i creditori hanno di staccare la spina all’economia greca, potere che persiste fino a che si continua a ritenere che l’uscita dall’euro sia un’eventualità impensabile.
È venuto il tempo di mettere fine a questa impensabilità. In caso contrario la Grecia si troverà di fronte a un’infinita austerità, e a una depressione senza segnali di ripresa.”
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa