Menu

Peppino Impastato usato per uno spot, l’ira della famiglia

Nel sistema capitalista e di mercato, “la pubblicità è l’anima del commercio”. Ma spesso la strumentalizzazione di sentimenti ed eventi da parte di multinazionali o imprese locali con il solo scopo di vendere di più i propri prodotti produce un effetto devastante. Potremmo dire, parafrasando, che la pubblicità spesso “ruba l’anima al progresso”, almeno a quello sociale e culturale.

La competizione tra le marche – simili a volte in tutto e per tutto – non è sul prezzo, o sulle prestazioni, ma sempre più su immagini e suggestioni che qualche geniale pubblicitario è capace di associare ad un prodotto. Che, tra l’altro, finisce per costare di più all’ignaro consumatore grazie proprio ai costi pubblicitari. Ma il capitalismo funziona così, macina tutto, l’importante è convincere e vendere. Così importante che si possono adoperare anche miti e simboli di chi il capitalismo lo ha denunciato e combattuto. Basti vedere quante foto del ‘Che’ campeggiano in tutto il pianeta sulle reclame dei più disparati prodotti. Che c’entra la Mercedes con Che Guevara? Nulla. Ma il Che è stato trasformato nel tempo in un’icona svuotata di senso e significato, adatta quindi a tutti e a tutto e come tale utile a suscitare interesse ed identificazione trasversali e quindi a vendere. Tanto basta.

Devono aver pensato qualcosa di simile alcuni pubblicitari incaricati di ideare una campagna che facesse vendere gli occhiali della Glassing, finora semisconosciuta azienda lombarda. Che se ne è uscita con uno spot che teoricamente rende omaggio al militante comunista e al giornalista Peppino Impastato assassinato dalla mafia il 9 maggio del 1978. Che c’entra Impastato con gli occhiali? Nulla. E quindi, in un’operazione che solo apparentemente sembra sofisticata, nello spot si usa strumentalmente un’invettiva che Peppino avrebbe indirizzato ai palazzinari e al degrado delle metropoli e dei quartieri.
Un attore recita alcune delle parole che l’attivista assassinato avrebbe pronunciato dall’alto di Monte Pecoraro, osservando l’aeroporto di Punta Raisi: “se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.
Parole forti, dense, ma che associate ad una marca di occhiali e strumentalizzate al solo fine di vendere suonano come una intollerabile provocazione. Quando infatti l’attore finisce di declamare la frase dell’attivista antimafia ecco comparire lo slogan e il marchio della Glassing: “Non è importante quello che vedi, ma come lo vedi”. 
Non stupisce che la famiglia di Peppino e chi ne ha continuato in questi duri anni la battaglia non abbiano preso bene la solo apparentemente nobile operazione della Glassing. La famiglia Impastato ha già dato mandato all’avvocato Vincenzo Gervasi di chiedere il blocco dello spot pubblicitario.
“Quel video è offensivo” ha denunciato Giovanni Impastato, il fratello del militante comunista ucciso da Cosa nostra, “Peppino non può essere utilizzato per una pubblicità, come testimonial che invita ad acquistare qualcosa. Lui era contro il consumismo”.
Oltretutto, ha scritto in una nota circolata in questi giorni Salvo Vitale, amico e compagno di Peppino Impastato, quelle parole il militante antimafia non le avrebbe mai pronunciate. Scrive Vitale:

“Voglio precisare che la frase che, nel film “I cento Passi”,  Peppino dice a Salvo, cioè a me, dall’alto di Monte Pecoraro, osservando l’aeroporto di Punta Raisi, è una felice invenzione dell’autore , anzi degli autori della sceneggiatura, ovvero Claudio Fava, Monica Zappelli e M.T.Giordana. Non è una poesia di Peppino e non mi risulta che lui abbia mai detto o scritto questa frase, che comunque, oserei dire, non è lontana dal suo modo di pensare, nel senso che, lo snaturamento di qualcosa, il deturpamento di una bellezza naturale fatto dagli uomini, alla fine finisce per diventare “normale”, quasi una componente naturale del paesaggio, specie per chi non ha mai visto e vissuto immagini e momenti precedenti. Ovvero che si finisce con il convivere con la bruttezza, così come con la mafia.(…) Tutto questo comporta automaticamente che è deprecabile l’uso del nome di Peppino Impastato e di tutto quello che ha qualche rapporto con lui, per fini commerciali che nulla hanno a che fare con il suo pensiero. Se potessi suggerire qualcosa a chi ci legge, sarebbe quella di disertare questa marca di occhiali che, comunque, a mio parere, già non ha nulla di bello”.

E’ il caso di aggiungere altro?

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *