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Roma. Aspettando il 10 agosto, un’assemblea al Teatro Valle sotto sgombero

Sabato 2 agosto 2014 si è tenuta l’assemblea promossa dal teatro Valle di Roma per affrontare e discutere su quali iniziative mettere in atto a fronte delle ultime prese di posizione da parte comune che ha chiesto la restituzione dei locali del teatro Valle. Di quest’assemblea, riportiamo alcuni interventi presi dalla rete nella quale, il Valle , in streaming, ha portato a conoscenza del dibattito in corso quanti hanno avuto la possibilità di collegarsi tramite internet. (più sotto riportiamo alcuni degli stessi interventi fatti da parte di partecipanti all’assemblea)

E’ il caso di fare comunque un breve riassunto delle fasi che hanno preceduto questa giornata.

Prima di tutto occorre mettere in risalto la forte pressione nella quale il Valle è stato costretto a prendere una decisione molto importante per la sua esperienza, avendo il Comune deciso di incaricare l’assessore alla cultura di stabilire un contatto tra la “Fondazione Teatro Valle Bene Comune” (denominazione scelta per ottenere quel formale riconoscimento, legale e di gestione, che gli occupanti stanno chiedendo), con il Teatro di Roma.

Gli aspetti che hanno circondato la vicenda non sono mai stati chiariti completamente da parte delle istituzioni – le quali ad un tavolo ottenuto dai Centri Sociali con il vicesindaco ed assessore al patrimonio Luigi Nieri – confessarono come il “caso Valle” fosse divenuto un oggetto di interesse nazionale, e che tutte le pressioni che il Comune ha subito provenivano da parte di vari Ministeri. E’ bene ricordare, infatti, che uno dei primi atti ufficiali di Renzi come Presidente del Consiglio è stato di attaccare questo spazio in modo diretto e intimidatorio delegando ad assessori e gabinetti vari il desiderio di alcune sovrastrutture governative di inglobare, assimilare, normalizzare e quindi annichilire, uno spazio che ha avuto un riconoscimento ben più ampio di quello aspettato o prevedibile.

Infatti, nell’assemblea al Teatro Valle del 29 luglio 2014, con alcune realtà sociali, politiche, artistiche e intellettuali, con un pericolo imminente di sgombero, che soffocava la lucidità di analisi, e quindi della potenzialità di avere una coscienza nei cardini della storia; una domanda sorgeva tra le spinose questioni: … perderà il teatro Valle nei meandri della burocrazia e del profitto la sua natura?

Questi ragazzi, che conosciamo personalmente e in grado di portare sulle spalle un pianoforte, riusciranno a sopportare il peso di una cassaforte nella quale si tenterà di inserire la “pratica” del teatro Valle?

Il tema della Fondazione (con la sua specifica forma di legalità anche giuridica) è il volano, l’espediente o il cavallo di Troia contro cui le istituzioni intendono muoversi sciogliendolo nell’acido, annullandone così i possibili risultati ed effetti positivi, oltre che legalitari, provenienti da questa procedura, con l’obiettivo di ridurre il tutto a questioni di legalità o illegalità occultandone così, di fatto, i risultati che in questi 3 anni l’esperienza del Valle è stata capace di manifestare.

Gli occupanti del Valle hanno già risposto definendo come pacifica e non-violenta la loro iniziativa di lotta, dimostrando dunque che l’unica, vera violenza, è quella che arma uno Stato che ora più che mai, vuol dimostrare “normalizzandolo” che in questo paese non c’è nessuna possibilità di spazio per una qualsiasi forma di dissenso.

Se per caso, la Fondazione Teatro Valle Bene Comune fosse riconosciuta nei suoi aspetti più completi (perché c’è da dire, i punti della fondazione sono molto ben costruiti) ciò potrebbe rappresentare un valido precedente e niente vieta, alle prossime occupazioni, di avvalersi di una simile procedura, e creare quindi un precedente storico e legalitario di logica e legittima riappropriazione di spazi.

Una nuova forma istituzionale di cultura e conseguente pratica non legata a doppio filo con speculazioni edilizie e profitti commerciali.

Gli spazi sociali, che in questo periodo stanno gridando, rivendicando la loro legittimità a esistere, potranno così avere tra le mani uno strumento di lotta che va molto aldilà di tutte le loro attese; questo però potrà accadere solo se il Valle riuscirà a farsi bandiera, o portavoce, anche di altri temi (dall’abbattimento della Siae; all’espropriazione del privato; al rifiuto della procedura del “cambiamento d’uso” – la fine dell’ex cinema Metropolitan lo conferma – utile a legittimare l’avvio di attività commerciali di profitto e natura diversa).

Molti pensano che la lotta e il successo del Teatro Valle sia immanente e che quindi può prodursi solo nello stesso spazio che essi occupano. Non c’è una reale risposta, in questo caso crediamo che sia come un cane che si morde la coda. Se è vero che stiamo parlando di un luogo sacro per ogni amante e studioso di teatro, è anche vero che lasciare uno spazio come il Valle sempre aperto al pubblico, con spettacoli a sottoscrizione gratuita, con corsi di formazione e iniziative sul territorio, sia un passo importante nel cambiare il modo di vedere e utilizzare gli spazi di tutte le città.

Dall’altra parte, se questa lotta rimane sterile e chiusa tra le porte del teatro, la “cultura” – frustrata parola di cui si riempiono anche bocche ipocrite – non sarà mai un titolo di cui il Valle si potrà vantare.

Gramsci descrivendo le opere di Pirandello (critiche che aveva fatto proprio su spettacoli visti al Teatro Valle) fa risaltare l’autore siciliano per la sua importanza sociale (quindi culturale) piuttosto che artistica.

Potremmo rivoltare questa scissione nel caso del Valle: se esso, in questo processo di normalizzazione con il Teatro di Roma, non riuscirà a creare il precedente da esportare, rimarrà una battaglia artistica, e non culturale e politica, definendo ancor di più la già fin troppo abusata ambiguità del tema “bene comune”.

Il vero problema di questa sostituzione linguistica – da “comunismo” a “bene comune” – porta all’emarginazione un’estesa iniziativa di lotta, una battaglia politica, una deriva estremista che proprio in questi anni implode perché le correnti si sedimentano e non raggiungono mai l’apice del loro essere.

Abbiamo già visto all’opera qualcuna di queste sostituzioni. Quando Berlinguer spostò, con apparente coscienza, il campo di lavoro politico da “lotta di classe” a “questione morale”, mise alle strette tutti quegli aspetti e militanti considerati “estremisti”, che non poterono far altro che gridare con violenza le loro stesse ragioni non sentendosi, di fatto, più rappresentati da nessuno. La questione che sta alle radici stesse del concetto di “bene comune” s’inviluppa nei problemi psicologici di quel che caratterizza lo Stato. Un albero, di una pubblica via, è un bene comune, ma questo non è curato da tutti: il cittadino non arriverà mai a definire il bene comune importante quanto il bene privato (Aristotele).

Nel campo artistico però, il Valle sta dimostrando qualcosa di molto interessante: il movimento di avanguardia che sta nascendo all’interno della sua struttura può mantenersi solo se manterrà il suo stato di alterità artistica “illegale”!

Questo movimento artistico sta dimostrando che se vuole uscire da un sistema, considerato dai diversi esponenti del mondo stesso dello spettacolo, troppo indirizzato sul suo sfruttamento e profitto con una feroce competitività tra gli stessi interessati, deve ricreare dunque fuori dall’industria “spettacolo”, una potenza che riesca a trascinare energie che sembravano sopite nelle architetture della burocrazia istituzionale.

L’arte rifiuta, per via della sua natura crudele, uno stato di normalizzazione.

“In questa vita non è difficile morire” rispondeva Majakovskij all’ormai defunto Esenin “vivere è di gran lunga più difficile”: far morire l’esperienza del Valle in un vortice di attacchi mediatici vuol dire banalizzare quello che in questi tre anni è stato ottenuto!

E’ forse chiedere troppo per questa esperienza teatrale, che vuole solo sopravvivere, di caricarsi di un peso storico e portare un po’ di luce in questi oscuri periodi dove l’arte e la cultura muoiono sotto i colpi martellanti della produttività e delle economie?

Il caso Valle merita qualcosa di più, oltre che uno sparuto elogio per lo splendido lavoro svolto in questi anni, qualcosa che va oltre lo sterile e virtuale sostegno: una partecipazione, attiva, per rendersi finalmente conto che il Bene Comune è un concetto che appartiene alla cittadinanza.

Come utile conclusione segnaliamo questo scritto che Silvia Gallerano (un’attrice acclamata a livello mondiale), ha postato nel sito facebook del teatro Valle, (https://www.facebook.com/teatrovalleoccupato?fref=nf) nel quale si coglie molto l’aspetto e la passione che continua ad animare e ad essere presente nei “ragazzi del Valle”: “Questa bellezza, tutte queste facce di oggi si scontrano con la chiusura e la grettezza delle istituzioni. Noi abbiamo dovuto ottenere in maniera rocambolesca questo tempo in cui creare questa bellezza. E questo tempo è prezioso. Dobbiamo essere realisti però. Vorrei che ci immaginassimo concretamente come possiamo ottenerlo. Venite in tanti non ci lasciate soli, perché se rimaniamo soli poi, ci ritroviamo a volare bassi e fare battaglie di retroguardia”.

Dell’incontro del 2 agosto al teatro Valle riportiamo qui alcuni interventi fatti nel corso dell’assemblea stessa, ripresi dalla rete nella quale il Valle ha messo in “streaming” la riunione, nei quali vengono poste riflessioni e domande utili per comprendere quale potrà essere il seguito al quale saranno interessati i membri attuali della gestione comune delle attività teatrali. Al momento non si conosce ancora quale sarà il comportamento che sarà messo in campo nella giornata del 10 agosto, data che è stata indicata (?) per la restituzione dei locali ora occupati.

Siamo pazzi! Arrendetevi! Siamo un teatro pieno il 2 agosto alle 19,30 per discutere del futuro del Teatro Valle.

Di fatto stasera si sta tenendo la prima Assemblea della Fondazione Teatro Valle Bene Comune e sta decidendo due punti:

1. Che la Fondazione sia riconosciuta.

2. Che ci sia una forma di autogoverno.

Inizia la discussione sui principi di governo del Teatro Valle.

Come garantire l’autonomia e l’autogoverno?

Entriamo nel merito.

1. I lavori. Non si tratta di fidarsi o non fidarsi ma che tutto questo processo sia trasparente. Abbiamo la disponibilità di personalità di altissimo livello scientifico che possono fare da garanti.

2. Spazi. Ci propongono spazi alternativi per le nostre attività artistiche. Non ci interessa.

3. Fase di transizione del modello partecipato. Modello partecipato che deve partire dall’esperienza di questi tre anni.

4. Modello economico basato sull’autogoverno.

5. Legalità/illegalità. Lo strumento della Fondazione è stato un modello per uscire dalla cosiddetta “illegalità”

Alcuni interventi

#1

– “Ci deve essere scritto che la gestione del teatro Valle è affidata alla Fondazione e anche le risorse”.

– “Partire da un altro modello di gestione che è la condivisione dei beni comuni che deve essere un modello che si sostituisca all’attuale modello”.

– “Avanzamento anche a livello amministrativo, quindi la SIAE per esempio o il problema del minimo di repliche, etc.

– A monte c’è una domanda: loro sono disposti a riconoscere la Fondazione? Se questo non avviene, ma c’è solo una promessa, allora tutto questo non ha valore”.

– “Riconoscimento della Fondazione è fondamentale. A me sembra che questa cosa sia uscita con forza da questa assemblea. Per esempio spostare dee legale è una possibilità”.

– “Per ragionare su questi punti: Che validità diamo al processo costituente di questi tre anni? Immaginare che venga conosciuta la validità politica dello Statuto della fondazione”.

#2

– “Quindi Teatro di Roma prende la gestione del Teatro Valle poi con una Convenzione da alla fondazione la programmazione? La garanzia è che persone che siano l’espressione della Fondazione entrino nel CDA del teatro di Roma”.

– “Stando allo Statuto sarebbe prevista l’adesione del Teatro di Roma alla Fondazione. E’ un’ipotesi di scuola, ma farebbe sì che tutto il lavoro sui Beni Comuni non venga schiacciato sul pubblico. Non vorrei che risultasse ai fanatici del pubblico statale come una provocazione”.

– “In 3 anni la gente qui ha studiato, questo è il laboratorio europeo più avanzato: ci dovrebbe essere una specie di laboratorio di studio in cui questa esperienza diventi seminale. L’altra questione è più delicata: Chi è che fa la direzione artistica? Bisogna evitare che ci sia manuale Cencelli della programmazione (50% teatro borghese, 30% scritture sceniche, 10% ragazzi, 10% carnevale, etc.) e questo secondo me hanno in mente le istituzioni”.

#3

– “E’ ovvio che sarebbe bellissimo entrare nel CDA

La questione che esce fuori molto forte è che noi nella Convenzione che noi firmiamo dobbiamo proporre una forma di autogoverno. E questo si esprime con l’assemblea (la Comune) e il Consiglio dei 12 ternario. La proposta che noi possiamo fare è che entra una del Teatro di Roma nel Consiglio. Mettiamo a disposizione il dispositivo del Consiglio anche per gli altri.

Perché quell’organo permette tutti i principi e i valori che portiamo avanti”.

– “Che cosa stiamo chiedendo? Di inventare una terza cosa tra Fondazione o Teatro di Roma oppure proponiamo la Fondazione?”.

– “Problema della sede e titolarità dello spazio. Un primo elemento per cambiare Statuto sono i 5600 soci. Abbiamo risolto che – nell’attesa della disponibilità – mettiamo la sede in una altro posto”.

– “Se è la Fondazione, in che maniera altri soggetti possono partecipare”.

– “Capire se è la Fondazione, lo strumento”.

– “Così – se Teatro di Roma entra nella Fondazione si può evitare la Convenzione. Potrebbe essere una controproposta”.

#4

– “Chiediamogli di entrare, versare i 10 euro e riconoscere la sede del Teatro Valle come sede della Fondazione Teatro Bene Comune”.

– “C’è molta immaginazione ma nel primo incontro c’è stata una grossa chiusura. Bisogna capire insieme realisticamente che tipo di strumenti abbiamo a disposizione. La Fondazione così com’è può firmare una Convenzione? E che tipo di valore ha? Riconoscimento politico a parole c’è stato. Di là delle dichiarazioni sui giornali noi abbiamo bisogno del riconoscimento giuridico. Bisogna convincere il Comune o il Prefetto? E cosa è in potere fare al Comune? Perché se chiediamo al Comune qualcosa che non può fare non capiamo se politicamente hanno la volontà di riconoscere la Fondazione?”

– “Nell’art. 2 la sede è indicata qui. Ma il comune ha affidato il Valle all’associazione Teatri di Roma. Insisterei sulle modalità d’uso. La battaglia politica è dire a noi non basta la destinazione pubblica ma un modo d’uso pubblico. Noi come comunità ci facciamo garanti che questo posto sia aperto. Con diritto amministrativo pubblico si può riconoscere uso pubblico. La Fondazione si fa garante – mentre fa battaglia per farsi riconoscere -e può costituire nucleo di comitato operativo di associazione di lavoratori che amministra il Valle. E così manteniamo il principio dell’autonomia della decisione. La battaglia è l’ingerenza dell’amministrazione, dei partiti in decisione che non gli competono, tipo le scelte artistiche”.

#5

– “Volontà politica è capire chi governa Roma. Se questa controparte con cui noi stiamo parlando (Teatri di Roma, Assessorato, Comune). se questi possono chiedere a Pecoraro, il prefetto, di riconoscere la Fondazione. Questa è la traduzione della volontà politica. Bisogna porre la questione su questo punto. Questa diventa una battaglia per la città”.

– “Mi domandavo se, per essere presenti martedì con un soggetto che può firmare qualcosa si potrebbe cambiare la sede della Fondazione?”

– Sia spostare la sede per raggiungere più facilmente il riconoscimento, sia chiedere al comune la disponibilità di questo spazio è la stessa cosa. Nel momento in cui prefetto ha rifiutato la personalità giuridica è che il patrimonio che la Fondazione aveva messo in campo non era nella sua disponibilità. Se il comune mette a disposizione il bene con una Convenzione – il Valle – allora il riconoscimento è praticamente automatico”.

Dunque? “Siamo venuti già menati”, era scritto su un fantastico cartello che qualcuno che, a mo’ di casco protettivo, sulla testa si era calato uno scolapasta di plastica legato con lo spago in ricordo e in memoria di quanto fu visto nella manifestazione di Roma del 24 novembre 2012.

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