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E se anche le farfalle nel loro piccolo s’incazzano?

Il ciclo vitale del lavoratore subisce le stesse mutazioni della vita degli insetti, si passa in stadi diversi e sempre più spesso quello che si presenta come il più bello è quello che dura di meno. I lavoratori come farfalle.”

(Giorgio Cremaschi, I lavoratori come farfalle, Jaca Book)

Dal superamento della paura alla costruzione del soggetto: se si dovesse dare estrema sintesi alla presentazione bolognese dell’ultimo libro di Giorgio Cremaschi, “Lavoratori come farfalle”, questa breve frase sarebbe probabilmente la più calzante.

Paura diffusa nel mondo del lavoro, frantumato dalla scomposizione e dall’attacco del capitale, verso una precarizzazione assoluta e una desindacalizzazione, ricerca di un soggetto unificante che torni a dare forza conflittuale e organizzata alla diverse realtà del mondo del lavoro e dei soggetti sociali.

Organizzato da ROSS@ Bologna alle Scuderie di Piazza Verdi, il cuore della zona universitaria, l’incontro ha visto una buona partecipazione. C’è interesse nell’aria, in questo momento politico in cui il renzismo domina la scena, spazzando via il giochino della concertazione tanto cara agli stati maggiori di CGIL, CISL e UIL.

E si rischiano confusioni, spacciando la “resistenza” di Landini per il nuovo punto di riferimento della sinistra italiana, quella che di fronte al neoliberismo non si arrende, quella orfana degli antichi retaggi del grande partito, in pieno marasma dopo la sberla renziana e quella da sempre altro e oltre i limiti angusti dell’orizzonte capitalista e delle compatibilità imposte.

Alla presentazione, coordinata dallo scrittore Marco Martucci, insieme a Cremaschi due personaggi di grande rilievo nella cultura antagonista, Valerio Evangelisti e nel sindacalismo di base, Massimo Betti di USB.

Il dibattito è sostanzialmente ruotato attorno alla necessità di rispondere alla devastazione neoliberale dei rapporti capitale e lavoro, superando l’inerzia di un sindacato collaborazionista e concertativo messo ai margini dal renzismo. A confronto percorsi diversi del sindacalismo conflittuale: quello dell’USB e quello interno alla CGIL, con una presa d’atto: che è necessario trovare una ricomposizione di tutta le realtà del conflitto sindacale, ma anche sociale.

Paura di perdere il posto, accettazione supina di qualsiasi condizione di lavoro e salariale imposta, questa è la realtà per milioni di lavoratori verso la precarizzazione totale dei rapporti di lavoro con l’imminente jobs act: il colpo di grazia dopo il primo stravolgimento dell’art 18 col governo Monti. Con una CGIL che oggi finge di fare la voce grossa perché messa ai margini dal governo Renzi, alla ricerca, non di un’alternativa politico-sociale alla devastazione neoliberista di cui è stata complice, ma di un nuovo quadro concertativo nelle relazioni sindacali.

Su questo nuovo scenario, è emersa per i relatori l’urgenza di ritrovare un’iniziativa sindacale e sociale che rimetta al centro il punto di vista e gli interessi di classe, tornare a parlare di classe, dopo che la lotta di classe per decenni l’hanno fatta il capitale e i suoi governi, diviene punto centrale per la sinistra anticapitalista. La grande manifestazione di sabato 25 ottobre fa emergere potenzialità che vanno ben oltre i limiti posti dalla CGIL. Una vasta presenza e protagonismo operaio che non è il frutto dell’iniziativa sindacale CGIL, ma di una ricerca spontanea di unità e prospettiva in una situazione in cui è assente una vera rappresentanza degli interessi generali della classe lavoratrice che sia punto di riferimento riconosciuto e autorevole.

Altra questione toccata, l’egemonia della Troika Europea nelle scelte politiche neoliberali e nell’imposizione degli ultimi governi al paese. Il renzismo, al di là di Renzi, si presenta come un passaggio fondamentale che le tecnocrazie dell’UE e i governi che le rappresentano, un processo autoritario che investe sia il mondo del lavoro e sindacale che il sistema costituzionale ed elettorale italiano.

A fronte di questo attacco, punto in comune importante dei tre relatori, sul terreno della ricomposizione, è la necessità del soggetto politico. La grande esperienza del 18 e 19 Ottobre dello scorso anno, pur con tutti i suoi limiti, rappresenta un inizio, anche se occasione persa.

In definitiva, è emerso dagli interventi che il libro è un dito puntato contro complicità sedimentate col “capitalismo più brutale”, ma anche contro i limiti di una sinistra antagonista politica e sociale, incapace di essere propositiva nella ricomposizione di un fronte sindacale e sociale di opposizione, indisponibile nella sua pervicace autoreferenzialità a costruire il soggetto di classe e di alternativa che ci vuole oggi.

Il pregio dell’opera di Cremaschi è quello di avere posto le basi, a partire da una disamina del percorso sindacale in decenni di storia del movimento operaio, per ripartire da quello che si è e che si può fare. La questione che dai ricatti padronali, dalla gabbia dei trattati europei, da questa deriva neoliberale che riduce il lavoro a mera variabile della competitività, senza anima, dignità, autodeterminazione, si esce solo se si risolve la questione del soggetto politico, se si rompe con la paura. E ritrovare un’identità comune, il filo rosso che collega e unifica soggettività diverse in tanto, ma simili nello sfruttamento è l’inizio.

Se le farfalle s’incazzano, il loro battito di ali all’unisono può provocare scenari nuovi nei posti di lavoro e nelle piazze, anche in luoghi molto distanti, a Bruxelles, anche nelle sedi dei poteri forti.

 

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