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Il “caso Fiat” riapre la partita sulla rappresentanza

La Fiat ha dato ieri disposizioni interne che rendono possibile la nomina dei delegati della Fiom nei propri stabilimenti. Non è un gesto di resipiscenza da parte di Marchionne, ma semplicemente l’effetto concreto della sentenza della Corte Costituzionale che ha riconosciuta l’incostituzionalità di quella parte dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori che vincolava il “riconoscimento” di un sindacato – e quindi la sua agibilità all’interno dei posti di lavoro – alla firma sotto gli accordi aziendali e ai contratti.

 

Una delle tante stronzate fatte dalla Cgil – e dal Pci e suoi successori – che avevano pensato bene di immaginare una norma ad goc per far fuori, circa 20 anni fa, i nascenti sindacati di base. Immaginavano. I furbi, che per loro non ci sarebbe mai stato problema di riconoscimento reciproco tra sindacato e azienda. E invece la “svolta” di Sergio Marchionne, con l’imposizione del “modello Pomigliano a tutto l’universo Fiat presente in Italia, fa puntato a far fuori anche la Fiom; ovvero i metalmeccanici della Cgil, riottosi e a volte apertamente conflittuali, ma pur senpre “pronti a obbedir tacendo” pur di restare dentro la casa madre.

 

La decisione della Consulta ha messo la Fiat in una posizione insostenibile, costringendola infine ad accettare la presenza di delegati Fiom nelle Rsa (uscendo da Confindustria e disconoscendo il contratto nazionale di categoria, il Lingotto ha annullato anche il sistema delle Rsu elette direttamente dai dipendenti). Ma ha subito rilanciato: o si fa una legge sulla rappresentanza sindacale che dia certezza legale alle aziende, oppure è pronta a lasciare lItalia. “Un intervento legislativo è ineludibile”, segnala il Lingotto, sottolineando che “la certezza del diritto in una materia così delicata come quella della rappresentanza sindacale e dell’esigibilità dei contratti è una condicio sine qua non per la continuità stessa dell’impegno industriale di Fiat in Italia”.

 

Non è comunque del tutto convinta di doverlo davvero fare, interpretando a suo modo la sentenza. “Peraltro questa fissa, come ovvio, un principio di carattere generale; la titolarità dei diritti di cui all’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori alle organizzazioni sindacali che abbiano partecipato alle trattative per la sottoscrizione dei contratti applicati in azienda; la cui riferibilità alla Fiom nella concreta situazione Fiat è più che dubbia”.

 

Un ricatto vero e proprio e una messa in discussione persino della Corte Costituzionale. Perché è ovvio che alla Fiat non andrà bene nessuna “legge sulla rappresentanza” che non accolga la sua pretesa di discriminare i sindacati “non complici”. Può del resto contare su Cgil-Cisl-Uil che sono ampiamente disponibile a darle ragione (vedi il documento “unitario” con Confindustria siglato ieri a Genova) e su un governo che è pronot a superare a destra anche le richieste delle imprese.

 

La Fiom ha cantanto giustamente vittoria, sostenendo che “rientra in fabbrica dalla porta principale”. Ma ha cercato anche di non farsi spiazzare dal rilancio di Marchionne.

 

Che in questo Paese ci sia bisogno di una legge sulla rappresentanza, la Fiom lo sostiene da tempo. Infatti, tre anni fa abbiamo raccolto le firme e presentato in Parlamento una legge di iniziativa popolare su questo tema”, ha detto subito Maurizio Landini.

 

Il segretario del Fismic (sindacato fondato direttamente dalla Fiat, ai tempi di Valletta, allora chiamato Sida), Roberto Di Maulo, non ha trovato di meglio che attaccare il governo: “ci troviamo fronte all’inettitudine del governo Letta che, pur investito formalmente della questione, non fa nulla e al silenzio delle grandi centrali sindacali nazionali. E questo non può essere scaricato sulle spalle dei lavoratori di Mirafiori, di Cassino e più in generale di tutti i lavoratori italiani. Il governo Letta si sta assumendo una gravissima responsabilità: si balocca con questioni sovrastrutturali, ma non risolve nessun problema del Paese”.

 

Che in Italia ci sia un problema serio di legge sulla rappresentanza sindacale lo dicono da anni anche i sindacati di base, a cominciare dall’Usb, promotrice a sua volta di una proposta di legge di iniziativa popolare. Il problema è dunque “quale legge” potrebbe venir fuori dati gli attuali rapporti di forza politico-parlamentari, che certo non testimoniano a favore dei lavoratori; una che attribuisce ai lavoratori il potere di scegliersi liberamente i propri delegati e sindacati, oltre che di approvare o bocciare gli accordi (sembra difficile), una che consente alle aziende di scegliersi o inventarsi i “sindacati” con cui contrattare o un pastrocchio immondo che dà sostanzialmente tutto il potere alle aziende ma con molte formule confuse che sembrano anche delle “aperture”?

 

E problemi ci sono anche in casa Cgil. Lo stesso Landini, tornando sul tema oggi, ha sottolineato che la Fiom è favorevole a una legge sulla rappresentanza, ma ritiene che non sia accettabile il mero recepimento dell’accordo interconfederale con la Confindustria. Sembra un cauto cambiamento di posizione rispetto a quanto detto a caldo, in occasione dell’accordo firmato il 31 maggio.E anche un nuovo smarcamento rispetto alla linea perseguita finora dal segretario generale della confederazione, la ex craxiana Susana Camusso. Del resto la Cgil dovrebbe tenere il suo congresso nella prossima primavera (se non si andrà alle elezioni anticipate), e non è un mistero che Landini possa contrapporsi come candidato alternativo.

“Che serve una legge sulla rappresentanza – ha affermato – noi lo diciamo da tre anni, ma non si può fare solo per fare un favore alla Fiat. Il fatto che questo accordo funzioni è tutto da dimostrare: proprio nella nostra categoria Fim e Uilm stanno facendo di tutto per non farlo applicare sulle elezioni delle Rsu ma anche sugli accordi. Una legge sulla rappresentanza non può semplicemente rispondere a un accordo tra privati, ma deve rispondere ai principi previsti dalla Costituzione sulle libertà sindacali. Inoltre c’è bisogno che il Governo cancelli l’articolo 8 che ha introdotto in Italia la possibilità di fare accordi tra privati in deroga alle leggi del nostro Paese, cosa che non esiste in nessun Paese europeo”.

 

Materia complicata, come si vede, e dal futuro oscuro. Perché anche Landini ha mostrato spesso di esser pronto a sacrificare posizioni di principio al “calcolo politico” interno alla Cgil.

 

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