Il fenomeno fascio-leghista, la sedimentazione delle destre reazionarie nel cuore di un continente in crisi e la riscoperta vitalità nazifascista ai suoi confini, sono questioni di rilevanza storica che non possiamo trascurare. Per questo intorno al 25 aprirle la nostra campagna nazionale insiste nel rilanciare iniziative pubbliche di riflessione sul ruolo dei fascisti nella storia del nostro paese e momenti di denuncia che attraversino le strade delle nostre città.
Qui proponiamo la recensione ragionata di una delle più note fatiche targate Stormy Six.
Primavera 1975. Sono passati pochi mesi dal golpe fascista di Pinochet in Cile; l’eco delle bombe stragiste di Milano e di Brescia non ha ancora smesso di risuonare, il sangue che hanno versato è ancora fresco. A marzo gli Stormy Six, uno dei gruppi più interessanti della scena rock italiana, registrano il loro quarto album, Un biglietto del tram, pubblicato dall’etichetta indipendente L’Orchestra. Questo loro disco, a differenza dei precedenti, s’impernia su un tema fortemente politico, quello della Resistenza: si può dire, anzi, che Un biglietto del tram sia una vera epopea del fenomeno resistenziale a trent’anni dalla sua fine storica. Un’epopea che segna fin da subito l’immaginario dei movimenti, sia per la qualità tecnica delle musiche, sia per i testi, in grado di evocare figure e momenti “mitici” – nel senso migliore del termine – dell’antifascismo resistenziale senza rinunciare all’esattezza storica.
Quello che segue vuole essere un modesto tributo a quest’opera e ai suoi artefici, in un momento in cui, ad opinione di chi scrive, c’è bisogno di riscoprire certe narrazioni, certi modi di mobilitare le coscienze e le volontà contro la pacificazione del conflitto, operata oggi dai propugnatori della cosiddetta “memoria condivisa”.
Il tema narrativo, tramite il brano di apertura, si apre sulle fasi finali dell’invasione tedesca dell’URSS. Il 2 febbraio 1943 la VI armata tedesca guidata dal generale Friedrich von Paulus viene sconfitta dalle forze sovietiche nella battaglia di Stalingrado. Quest’evento segna irrimediabilmente il corso della seconda guerra mondiale: è la prima clamorosa disfatta militare dell’esercito del Terzo Reich, che fa crollare il mito dell’invincibilità di Hitler e del nazismo; mentre gli indicibili sforzi e le sofferenze della classe operaia sovietica e dell’Armata Rossa fanno sì che l’antifascismo internazionale conosca un momento di rinascita. Tutta l’Europa occupata ritrova la speranza:
«e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile,
vola un berretto, un uomo ride e prepara il suo fucile
Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa
D’ora in poi trovera’ Stalingrado in ogni citta’.»
(“Stalingrado”, prima traccia)
La guerra per le strade della città russa è la profezia di tutte le guerriglie – e del loro esito vittorioso – che i partigiani europei affronteranno: per questo, alla notizia rimpallata dalle radio clandestine, si festeggia, e «sette operai» – probabile richiamo ai fratelli Cervi – «brindano a Lenin».
L’eco di Stalingrado arriva quindi in Italia, insieme ai dolorosi bollettini di guerra dal fronte russo: la ritirata dell’ARMIR nel gelo invernale miete centinaia di vittime tra i soldati italiani. Il paese è piegato dalla miseria e dalla fame; nelle fabbriche gli operai lavorano a ritmi massacranti per sostenere la produzione bellica, e spesso vengono pagati in assegni o perfino in acconti sul salario, il che rende ancora più difficile il sostentamento delle famiglie operaie, già messe in difficoltà dalla scarsità di generi alimentari nelle botteghe [1]. Alla Fiat di Mirafiori i militanti del PCI decidono di attuare uno sciopero il 5 marzo alle ore 10, al suono della sirena di prova del segnale d’allarme per i bombardamenti. La dirigenza Fiat, al corrente di questo piano, fa in modo che la sirena non suoni:
«Cento operai in ogni officina
aspettano il suono della sirena
rimbomba la fabbrica di macchine e motori
più forte il silenzio di mille lavoratori.»
(“La Fabbrica”, seconda traccia)
Ciononostante gli operai «depongono gli arnesi» ed entrano in sciopero rivendicando l’indennità di sfollamento e di carovita (192 ore di straordinario), ma anche la fine della guerra e del regime mussoliniano. La forza pubblica non osa entrare nello stabilimento. La notizia si sparge a macchia d’olio, scioperano centinaia di operai in numerose officine torinesi. Nei giorni seguenti entreranno in agitazione a Milano anche operai della Breda, della Pirelli, della Falck e dell’Ercole Marelli, insieme ad altre officine milanesi. L’azione di massa del marzo 1943 prende alla sprovvista gli organi di polizia e il fascismo, ma gli stessi dirigenti dei partiti antifascisti sono sorpresi della forza del movimento, per quanto sia ancora lontana una vera organizzazione in grado di rovesciare i rapporti di forza.
Un biglietto del tram si fa quindi, dai primi brani del disco, racconto storico degli eventi che danno la spinta iniziale all’organizzazione delle forze antifasciste. Ma nei pezzi successivi, la narrazione storica si mescola ad altre suggestioni. In “Arrivano gli Americani”, presente e passato si intrecciano per far emergere ironicamente le conseguenze politiche e culturali dell’occupazione statunitense («Nella campagna bruciata arrivano suoni lontani:/abbaiano i cani, risponde soltanto un juke-box»; «Adesso la piazza e’ deserta, ma una finestra si e’ aperta,/e una signora non vuole cambiare il suo Dash»). Quindi, i brani che si susseguono presentano un movimento di recupero della memoria collettiva – riguardante l’8 settembre e l’Eccidio di Vinca (“Nuvole a Vinca”) – e un ritorno all’oggi: lo si ritrova soprattutto nei pezzi riguardanti la morte di partigiani. Così è nel brano dedicato a Gianfranco Mattei [2], scienziato e docente di chimica antifascista che mise a disposizione le proprie conoscenze per fabbricare esplosivi per le azioni dei GAP romani («Gianfranco Mattei,/la tua cattedra è rimasta là:/Gianfranco Mattei,/la lezione non si perderà»).
L’operazione narrativa utilizzata deriva quindi, evidentemente, da un modo di considerare la storia, quella ovviamente che non trova spazio nel “discorso del padrone”, come documento – da intendersi, nella sua radice etimologica, come “ciò che è volto a insegnare qualcosa”. Un biglietto del tram raccoglie documenti per il presente, disseppellisce racconti dal fondo sedimentato della memoria. Si tratta di racconti che fanno attrito sull’immagine dell’Italia anni Settanta, governata dalla DC e segnata dalla repressione del movimento operaio. Per questo motivo il presente si popola di spettri:
«Trent’anni son passati, da quel giorno che i fascisti
ci si son messi in cento ad ammazzarlo
E cento volte l’hanno ucciso, ma tu lo puoi vedere:
gira per la citta’, Dante di Nanni.
L’ho visto una mattina sulla metropolitana
E sanguinava forte, e sorrideva.
Su molte facce intorno c’era il dubbio e la stanchezza
Ma non su quella di Dante di Nanni»
(“Dante di Nanni”, sesta traccia)
In questo sta l’importanza dell’opera degli Stormy Six, che assume persino un valore simbolico più incisivo oggi di quarant’anni fa: far sì che tracce di un passato inutilizzabile dall’ideologia dominante entrino in conflitto con l’odierna pacificazione ideologica nella narrazione istituzionale sulla Resistenza. Un ritorno del rimosso che guasta la celebrazione ossificata e rituale dell’antifascismo partigiano degli ultimi anni, di cui la “memoria condivisa” rappresenta la versione più reazionaria e denigratoria. Di fronte ai nefasti effetti del Giorno del Ricordo, trasformatosi in vero e proprio “medaglificio fascista” per torturatori e massacratori fascisti [3], e alle ambizioni della nuova Lega di Salvini di proporsi quale partito reazionario di massa, recuperare un’idea del movimento partigiano che sia più conflittuale possibile è oggi indispensabile. Ed è indispensabile che tale idea sia inservibile per la propaganda del Partito Democratico, principale propugnatore della “memoria condivisa”, sostenitore di un’Unione Europea che non condanna più il nazismo [4], e del governo del presidente ucraino Poroshenko, al potere grazie ad un esercito largamente composto da milizie neonaziste come il battaglione Azov.
Alla luce di tutto questo, è necessario lavorare affinché giornate come il 25 aprile tornino ad essere momenti di conflitto, di rivendicazione sociale contro i danni dell’austerity, di solidarietà antirazzista con le realtà migranti. Far ritornare il rimosso, aprire le porte alla storia per disarmare il revisionismo reazionario: questo è il senso che diamo oggi a Un biglietto del tram, che dopo quarant’anni conserva ancora un’inquietante attualità, quando simboli dello sfruttamento di Expo 2015 come “l’albero della vita” – la cui installazione è stata proposta dall’assessore Bisconti di Milano in Piazzale Loreto – pretenderebbero di «cancellare un momento storico controverso con un inno alla vita». Bisconti ha poi rettificato: «quando ho usato il termine controverso riferendomi al momento storico, non intendevo usare un aggettivo con connotazione negativa. La mia frase non deve essere letta come irrispettosa verso il senso della storia che la Costituzione ha sancito. Anzi… Quella piazza oggi è ricordata per un epilogo molto feroce che fa perdere il ricordo di quello che fu il martirio di 15 giovani partigiani. Io credo che un albero che inneggia alla vita possa invece portare una riflessione su quel momento storico». È però più che giusta l’obiezione mossa dal collettivo Militant riguardo al porre su un unico piano simbolico l’eccidio dei partigiani e quello di Mussolini, Petacci e degli altri gerarchi, che si inscrive pienamente nella retorica post-antifascista [5]. I fantasmi dei combattenti fucilati in quella piazza ritornano proprio nell’ultimo brano del disco degli Stormy Six, e pare di sentire ancora oggi la loro richiesta di giustizia:
«Povero Fogagnolo, che non era un attore del cinema:
si presenta, ti da’ un’occasione,
mormora il suo cognome e nome
da elenco delle vittime.
E mi ha fatto un regalo:
un biglietto del tram
per tornare in piazzale Loreto.
Esposito ai giardini sta leggendo gli annunci economici,
e lo vedi su mille panchine,
o in coda a file senza fine
chiede giustizia, e subito.
A Poletti hanno dato
sette lettere sopra una lapide,
e la gente che passa e le vede
fa un po’ i suoi conti, e poi si chiede
“Non e’ una spesa inutile?”
“Non bastava un biglietto,
un biglietto del tram
per tornare in piazzale Loreto?”»
(“Un biglietto del tram”, nona traccia)
—
[1] P. Spriano, Storia del Partito Comunista italiano, Torino, Einaudi, vol.6 “La fine del fascismo. Dalla riscossa operaia alla lotta armata”, pp.168-196.
[2] http://www.anpi.it/donne-e-uomini/gianfranco-mattei/
[3] http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=20954
[4] https://contropiano.org/editioriali/item/27692-l-europa-non-rinnega-piu-il-nazismo
[5] http://www.militant-blog.org/?p=11824
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