Nell’immaginario collettivo occidentale, la figura di Gandhi racchiude molte cose: la lotta contro il colonialismo inglese, il vegetarianesimo, lo spirito religioso, ma soprattutto la pratica pacifista e non-violenta come mezzo per risolvere i conflitti. “Mahatma. Storia di un intoccabile”, auto-edizione dei ricercatori Marco Tangocci e Lorenzo Piattelli, spariglia le carte in tavola e ribalta il mito.
Perché di un mito si tratta: la personalità di Gandhi e le sue azioni politiche ci sono state narrate essenzialmente dalla sua autobiografia, successivamente ricalcata e rielaborata dagli scrittori occidentali. Non ne è stata mai intaccata la leggenda, eppure i fatti erano noti, i suoi scritti e le sue idee su certi argomenti altrettanto. Gli autori hanno ricostrito l’epoca storica indiana che va dagli anni Venti alla metà degli anni Cinquanta basandosi sui documenti dell’epoca; l’unico personaggio di fantasia è il protagonista, la voce degli scrittori; attraverso le sue vicende tesse la trama degli eventi più importanti e avvicina gli attori di quel periodo.
Dimentichiamo le atmosfere forsteriane di “Passaggio in India”, la presunta contrapposizione tra la civiltà razionale britannica e quella ingenua e sentimentale indiana.
Se all’inzio della narrazione viene mostrato il mondo separato in cui vivono gli inglesi in India, aree bellissime in cui l’ingresso è vietato “ai cani e agli indiani”, ben presto questo universo incontaminato è toccato dalle proteste del Movimento Indo-Musulmano contro i dominatori britannici. Si tratta di manifestazioni con pochissima consapevolezza politica, e dalle molte anime.
In India non era in gioco solo l’imperialismo straniero: sul tavolo c’era la questione dei Musulmani, le molte facce del Partito del Congresso di Nehru e Gandhi, i territori dei Principi indiani, il Partito Comunista e, non secondaria, la questione degli Intoccabili.
Il romanzo si concentra soprattutto su questo aspetto e contrappone le posizioni di Gandhi e Ambedkar, figura politica quasi sconosciuta al lettore occidentale, che invece agì da protagonista nei trent’anni presi in esame nel libro.
L’India, prima e durante la dominazione britannica aveva un sistema politico fortemente intrecciato a quello religioso induista. Il Paese si componeva di quattro caste basate su un testo religioso, il Codice di Manu. La casta dominante era quella dei brahamani che governava lo stato, mentre quella inferiore era costituita dai servitori, i sudra. Oltre le caste, c’erano gli Intoccabili, i fuoricasta, coloro che vennero generati dalla polvere che copriva i piedi del dio. Costoro, pur essendo 70 milioni di persone, non avevano diritti sociali, religiosi e civili; non potevano neppure bere dagli stessi pozzi degli altri indiani ed erano costretti a svolgere mestieri degradanti e a portare segni distintivi.
Le caste induiste non hanno un corrispettivo in Occidente; non sono direttamente paragonabili alle classi sociali, non essendo basate unicamente su presupposti economici. In India chi nasceva all’interno di una casta non poteva in alcun modo migliorare la sua posizione sociale.
Ambedkar era un intoccabile, ma per alcune vicende personali riesce a studiare e a vivere un periodo all’estero.
Rientrato in patria riesce ad organizzare un movimento di protesta dei fuoricasta. Individui con meno diritti degli animali domestici, e che tali sarebbero restati se fosse dipeso da Gandhi. Costui voleva sì l’indipendenza indiana ma senza una reale redistribuzione del potere che doveva saldamente restare nelle mani del Partito del Congresso. In realtà nel tempo, molti nodi verranno al pettine anche nel suo partito e le posizioni di soggetti come Nehru si allontaneranno da quelle del Mahatma, più reazionario e conservatore. Pochi sanno delle simpatie di Gandhi per Mussolini, dell’elogio del ritorno alla terra e all’autarchia alimentare, come mezzo per impedire ogni evoluzione sociale. Sugli ebrei spenderà parole al limite della follia, dichiarando in un primo momento la loro colpevolezza e poi invitandoli ad accettare la propria sorte e ad immolarsi per il bene comune. Li paragona ai poveri Intoccabili d’India, in questo non essendo molto lontano dal vero; la condizione degli ebrei sotto Hitler sembra davvero ricalcata su quella dei fuoricasta indiani.
Ambedkar riusce ad acquisire una tale credibilità politica da essere invitato alle Conferenze di Londra sulla questione indiana. Con il suo lavoro e i suoi articoli, ottiene elettorati separati per gli Intoccabili, nodo centrale per liberarsi dal gioco delle caste induiste su cui era basato lo Stato. Sarà Gandhi a impedire questo importante passo avanti, iniziando uno sciopero della fame contro il provvedimento; mettendo in atto un vero e proprio ricatto, utilizza una pratica non-violenta per imporre uno status quo tutt’altro che pacifico.
Il romanzo si concentra sulle questioni interne dell’India e sulle posizioni gandhiane riguardo alle caste. Molto altro ci sarebbe da dire sulle dichiarazioni antifemministe e razziste del Mahatma. Un personaggio opaco, capace di sostenere tutto e il contrario di tutto, sulla base dell’interlocutore che aveva di fronte.
Ambedkar otterrà l’abolizione dell’intoccabilità solo nel 1950. Gandhi, per tutta la vita acerrimo nemico del provvedimento, era morto due anni prima.
In Occidente è stata scritta e tramandata una storia diversa.
La lotta non-violenta e la pratica dello sciopero della fame gandhiane sono state assunte come sintesi di una personalità tutt’altro che limpida; il metodo ha oscurato gli atti politici concreti.
Il romanzo ha il merito di aprire qualche riflessione in proposito e spinge ad interrogarsi sui molteplici perché di una storia distorta o in buona parte omessa.
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