Ci sono voluti settant’anni perché si rendesse onore a Johann Trollmann, pugile sinti della Germania nazista. Settant’anni di storie dimenticate o taciute.
La cronaca nel 2003 gli ha restituito la medaglia di campione dei medio-massimi di cui fu derubato nel 1933. Ma forse questa storia sarebbe rimasta tra le cronache sportive, o tramandata oralmente tra le narrazioni del popolo sinti.
Dario Fo ne ha fatto un romanzo; una storia speciale come solo lui poteva raccontare. “Razza di zingaro” edito da Chiarelettere, sembra un po’ una fiaba e un po’ una scena teatrale, punteggiato da bellissimi disegni dell’autore che tessono la trama del racconto. Quasi fossimo a teatro, la vicenda prende vita sulla pagina scritta dinanzi ai nostri occhi e ci sembra di vedere Johann “Rukeli” danzare sul ring e disorientare l’avversario con la magia del balletto delle sue gambe.
Eppure non è una fiaba; il campione-bambino non avrà il suo lieto fine, dopo aver affrontato i mostri. Le pagine seguono accuratamente la vicenda storica reale. Dario Fo fa parlare i personaggi con la consapevolezza storico-politica di un uomo del ventunesimo secolo che sa cos’è il nazismo. Probabilmente non poteva esserci per i contemporanei altrettanta lucidità, ma ciò non sminuisce la bellezza del romanzo, che ne acquista credibilità e spessore storico.
Trollmann è un bambino prodigio, è dotato di un dono che lo renderà famoso in tutta la Germania e amatissimo dai fans. Purtroppo però, per quelli come lui appartenenti al popolo zingaro, la fase politica non è delle migliori. In realtà non lo è stata mai: non lo era prima di Hitler, quando ai sinti veniva negata la nazionalità tedesca, non lo è oggi, e basta guardarsi intorno per capirlo.
Il giovane pugile non è omologabile per la cultura del potere dominante: i suoi miti sono la rivoluzionaria Rosa Luxemburg e Spartaco, il gladiatore simbolo della rivolta contro Roma.
Nonostante i successi sportivi, a Johann viene negata la partecipazione alle Olimpiadi e poi il titolo di campione tedesco. Per togliergli la medaglia, lo costringono a combattere al centro del ring, fermo, senza poter disorientare l’avversario col gioco di gambe che lo ha reso famoso, un antesignano di Muhammad Alì. Rukeli non ci sta e sbeffeggia la federazione nazista presentandosi sul ring coperto di farina e con i capelli biondi, come un perfetto rappresentante della razza ariana. L’incontro è già segnato così come l’esistenza del giovane Trollman. È costretto prima a nascondersi e poi a divorziare dalla moglie per proteggere la sua famiglia dalle persecuzioni.
Però i rom e i sinti, i senza patria, van bene come carne da cannone e nel 1939, insieme al protagonista ne vengono arruolati trentamila per combattere la guerra nazista.
L’epurazione è vicina: prima la sterilizzazione forzata e poi l’internamento. La storia di Rukeli (Albero) finisce come il lettore intuisce già dalla prima pagina: per quelli come lui, a quel tempo, è l’unico finale possibile.
Ma la seconda guerra mondiale, ci racconta anche della coraggiosa rivolta degli zingari nel 1944, nel campo di sterminio di Auschwitz.
Non molti nell’Europa di oggi commemorano quella rivolta e pochi conoscono la storia della persecuzione dei sinti e dei rom.
La vita di Johann Trollaman non appartiene al passato, non è una storia consolotoria, non ci mette in pace con noi stessi. Spinge a guardare meglio cosa accade nel nostro continente, a vedere le file di persone alle frontiere e i fili spinati dei campi profughi perché la parola scritta resta nella memoria più delle immagini a cui siamo assuefatti.
La scrittura di Dario Fo mette d’accordo la Storia, il racconto orale e la potenza scenica che hanno le vite vissute. Gli auguriamo altri novant’anni di storie così.
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