Intervistare Roger Waters può essere una corsa sfrenata. Se una domanda gli piace, è felice di pontificare a lungo, ma se lo annoi con domande trite e ritrite, svicola e (lui che è capace di risposte del tipo: “se non mangi la carne, non avrai il budino”) ti liquida in pochi, terribili secondi. L’occasione per un’altra chiacchierata con il co-fondatore dei Pink Floyd è l’imminente pubblicazione – il 20 novembre – di ‘Roger Waters The Wall’, documento in CD/BluRay del recente tour di ‘The Wall’, ma inevitabilmente la politica è entrata nella discussione. La telefonata con Waters è avvenuta pochi secondi dopo che Joe Biden ha annunciato il ritiro dalla corsa per le presidenziali; sapendo dell’interesse di Roger per la scena politica, siamo partiti da questo argomento.
Roger, hai sentito la notizia di Joe Biden? Ha detto che non si candiderà per la presidenza.
“Non capisco che cosa stai dicendo. Non ha senso.”
Stavo solo dicendo che Joe Biden non concorrerà per le elezioni presidenziali.
“E quindi?”
Sono sorpreso. Pensavo che si sarebbe candidato.
(tre secondi di pausa) “Grazie di avermi espresso il tuo pensiero.”
Va bene, allora. Parliamo di ‘The Wall’. Perché, secondo te, dopo 35 anni ancora riesce ad entrare nel cuore di così tanta gente?
“Dopo la morte del movimento di protesta, che era molto vivo tra i giovani nel corso degli anni Sessanta e Settanta, benché in qualche modo disperso nella rivoluzione della Silicon Valley, credo che adesso la gente sia pronta a confrontarsi su questioni filosofiche e politiche di ampio respiro e ‘The Wall’ ne è molto ricco. E molte di tali questioni hanno a che fare con la qualità della vita, con la vita e con la morte. Pertanto, credo che ‘The Wall’ ci consenta di focalizzare l’attenzione su una questione fondamentale, ovvero se vogliamo o non vogliamo vivere in società molto molto simili alla Germania Est prima della perestroika. Non ritorno agli anni Trenta perché dovrei entrare in problemi enormi, ma credo che la gente, pur percorrendo con i paraocchi le strade del capitalismo imperiale, cominci a capire che la legge viene erosa e che le forze armate stanno prendendo il sopravvento nel commercio e le corporazioni sui governi e che la gente non ha più voce in capitolo. In un certo senso, ‘The Wall’ pone la domanda: ‘Ti serve una voce? Se sì, devi assolutamente andare a cercarla perché nessuno te la porterà su un piatto d’argento’.”
Com’è cambiato per te il significato dell’album da quando lo hai scritto?
“Ho risposto un sacco di volte a questa domanda. All’inizio, aveva una narrazione molto più personale a proposito di un uomo tra i venti e i trent’anni che non riusciva a dare un senso a quanto gli accadeva e a spiegarsi perché si sentisse isolato rispetto agli altri ed incapace di aprirsi. Tale narrazione venne fuori dalla mia esperienza di giovanissimo musicista di successo che, sul palco di fronte al pubblico, avvertivo un’estrema lontananza e fu per quello che pensai alla trovata teatrale della costruzione fisica di un muro davanti al palco che esprimesse il mio senso di alienazione.
Adesso ‘The Wall’ parla di me che, però, non avverto più quel senso di alienazione rispetto al pubblico. Il rapporto con il mio pubblico durante gli anni in cui ‘The Wall’ ha girato il mondo è stato molto intimo, vicino e gratificante per me, per cui ‘The Wall’ è diventato una riflessione comune delle condizioni politiche in cui viviamo.”
Hai fatto circa 220 repliche dello spettacolo. Hai mai pensato che il tour potesse durare così tanto?
“Non avevamo idea di quanti spettacoli avremmo fatto. Era anzitutto una grossa scommessa mettere insieme uno show di talI dimensionI, ma la gente ha risposto, ha funzionato il passaparola e di conseguenza abbiamo continuato per tre anni.”
Sei tentato dal fare altre repliche di ‘The Wall’ in futuro o è finita per sempre?
“Se Israele lavora per l’uguaglianza e per la vera, concreta, genuina democrazia, senza apartheid e senza l’infezione del razzismo nella società, andrò lì a rifare ‘The Wall’. È tutto conservato e ciò che dovesse mancare lo ricostruiremmo.
Ho parlato con gli israeliani e con i palestinesi, ma soprattutto con gli israeliani, dal momento che hanno tutto il potere. Inoltre, se il muro illegale che circonda senza pietà i… sì, possiamo definirli tali… territori occupati, la Palestina… se quel muro dovesse cadere, andrò a fare ‘The Wall’. È una promessa che ho fatto un po’ di anni fa e che vale ancora.”
Speri che quel giorno possa venire nel futuro prossimo?
“È interessante che tu dica questo. L’altra sera ero a letto e cambiavo canale come si fa quando cerchi una partita di Champions League; all’improvviso mi fermai e pensai: ‘Bè, questo sembra interessante. Devo guardarlo.’ Era JLTV, che sta per Jewish Life Television. Quel che suscitò la mia attenzione e mi fece sorridere fu lo slogan dell’emittente: “JLTV, la rete prescelta”. O Dio, mi è venuto da ridere ad alta voce. Ma quanto è incredibilmente inappropriato?.
C’era una bella e giovane donna di un’organizzazione di cui avevo sentito parlare chiamata Stand With Us, a sostegno di Israele. Di Israele, non degli israeliani. Di Israele, per sostenere il governo di Israele e il paese chiamato Israele. Aveva due ospiti: una giovane donna bionda e un tizio che sembrava essere francese. Cominciarono a parlare di BDS (il movimento Boycott, Divestments and Sanctions) ed erano tutti e tre d’accordo sulla pericolosità delle iniziative di BDS, prive di radici nel paese ed organizzate all’estero. Dicevano che il denaro viene raccolto all’estero e che i sostenitori del movimento BDS nelle università americane sono soltanto dei fantocci al soldo di ricchi palestinesi che ne muovono i fili. Hanno continuato mostrando grandi muri che sono stati costruiti nei campus del sud della California e altrove. Sono belle strutture, copie dei muri di separazione, ricoperte di slogan politici, con persone coinvolte che ne raccontano la storia. I tre moderatori cercavano disperatamente di confutare la protesta di BDS contro l’occupazione perpetrata da Israele, contro il terrorismo e il razzismo. Ogni volta che aprivano bocca davano più credito a ciò che cercavano di screditare.
Ascoltavo a bocca aperta e pensavo: ‘È fantastico. In questo programma televisivo fanno il predicozzo in coro, mentre farebbero meglio a togliersi gli stivali, abbassarsi le calze, prendere un fucile, spararsi nei piedi anziché raccontare tutte queste sciocchezze.’
Quando descrivevano le azioni palestinesi, in realtà descrivevano se stessi, gli Hezbollah, il braccio del gabinetto del Primo Ministro che tutti sappiamo che comincia con Netanyahu a Tel Aviv. È molto ben organizzato, lo vedo dalla mia pagina Facebook. È una cosa estremamente organizzata, non tiene conto della storia, non guarda ai fatti e racconta la grande bugia secondo la quale “questa è la nostra terra, ci appartiene, ce l’ha data Dio e non c’è mai stato alcun popolo palestinese, hanno sempre cercato di ucciderci e abbiamo il diritto difenderci”, che è fondamentalmente la loro piattaforma ideologica.”
Quando parli di queste questioni, spesso la gente ti definisce anti-semita.
(sorride) “Ci provano. Sai, sto per fare un concerto con G.E. Smith, mio grande amico, in un piccolo teatro da 300 posti, a Sag Harbor, sabato prossimo. È tutto esaurito da mesi. Fa parte di una serie di spettacoli dove G.E. Smith invita un altro musicista. S’intitolano Portraits. L’altro giorno l’ho visto e gli ho detto: ‘Che cosa faremo, G.E.?’ ‘Non ti preoccupare, parleremo un poco, suoneremo un po’ e tutto andrà bene. Tu sai che cosa fare.’
Invece, mi è stato inviato un link ad un blog di anziane signore ebree, Dio le benedica, che hanno deciso di protestare. Hanno scritto lettere al teatro dicendo che non dovevano consentire di esibirmi. Il teatro, sono felice di dirlo, sostiene che sono un importante musicista che deve potersi esprimere o, almeno, suonare la propria musica o fare qualunque cosa. Giustamente.
Dunque, so che qualcuno potrebbe dire: ‘Bè, aspetta un momento. È bellissimo dire che hai libertà di parola, ma a proposito di Alan Parsons a Tel Aviv? Tu hai cercato di fermarlo.’ E potremmo discuterne per tutto il pomeriggio. E potrebbe non essere interessante perché è molto semplice. L’analogia è con i diritti civili negli stati del sud degli Stati Uniti e nel Sudafrica prima di Mandela. Tutti sappiamo quanto fu importante il boicottaggio culturale e sportivo per consentire alla società civile di esprimere l’orrore per il modo in cui il governo sudafricano a supremazia bianca opprimeva la popolazione di colore nel paese.
È lo stesso modo in cui la società globale, in generale, si pone rispetto ad Israele. Ma molta gente in America non lo sa perché la situazione non viene riportata allo stesso modo. Il problema non sono gli israeliani, non sono gli ebrei, non è il giudaismo. Non mi sognerei mai di attaccarli. Infatti, molti israeliani lottano con forza per il boicottaggio perché credono che sia lo strumento più efficace per cambiare la politica governativa. Potremmo avere questo tipo di dialogo, invece niente.”
Dunque, quando uno come Howard Stern…
“Ah!”
Quando afferma che tu vuoi che gli ebrei tornino nei campi di concentramento, che cosa provi?
“Sai, non vorrei sprecare neppure un alito di fiato per quel coglione e così faccio. È fiato sprecato. Andiamo avanti.”
Va bene. A che punto è il tuo prossimo album?
“Ah, è un’ottima, ottima domanda. Ho fatto un demo intero. Sto in sala con una chitarra, tutte le registrazioni demo, carta e penna e metto giù appunti e idee. Provo a trovare una forma, uno schizzo di come può essere il dipinto una volta finito. E il dispositivo che sto usando per fare questo è pensarlo come uno spettacolo da arena, perché penso di averne ancora per un altro. Sto cercando di capire come destreggiarmi tra i brani nuovi e i vecchi in un coeso show da arena nel quale potrei far sedere dei barboni. La domanda di fondo dell’album è: ‘Perché uccidiamo i bambini?’”
Dunque, è un concept album.
“Sì, perché cambiare adesso?”
Sono passati 22 anni dal tuo album rock. Penso che i fan sono pronti ad ascoltare dei brani nuovi.
“Giusto. Hanno ragione. E li avranno. È eccitante ma è anche una grande e difficile sfida. Una volta che hai iniziato, cominci a dire: ‘Bè, forse dovrei fare questa parte con le tastiere o forse quel tempo non è proprio giusto. Oppure aspetta, questa transizione da questa scena teatrale in quest’altra dev’essere un po’ più tirata.’ Sto facendo questo. Ma il difficile, in un progetto come questo, è fare il primo schizzo e dare forma al tutto, definendo le parti grigie e le parti bianche.”
Ti sei dato un termine entro il quale dare alla luce il progetto?
(sorride) “Non faccio l’indovino. Siamo in inverno, sto cercando di fare tante cose. Adesso si è chiuso il capitolo con i veterani (il concerto di raccolta fondi per MusiCorps, n.d.r.). Che è stato fantastico. L’abbiamo fatto venerdì scorso (il 16 ottobre scorso, n.d.r.) a Washington, ‘Music Heals’, davanti a 3.500 persone alla Constitution Hall. È stato incredibilmente commovente. Siamo stati aiutati da tanta gente. I ragazzi feriti con i quali ho lavorato sono grandi musicisti. Ho avuto Billy Corgan e Tom Morello. È stato molto gratificante e molto faticoso, ma adesso appartiene al passato e ho un po’ più di tempo per dedicarmi a questo nuovo progetto.”
Ti manca la dimensione tournée? Il tour di ‘The Wall’ ha occupato un bel pezzo della tua vita per tanti anni.
“Sì. Quando abbiamo fatto questo concerto venerdì, ho avvertito una grande carica. Una parte di me dice: ‘Non vedo l’ora di ricominciare, non vedo l’ora di testare questa nuova idea e tirarla fuori.’ Mi sono rituffato nelle tournée a ridosso del nuovo millennio. So di avere un pubblico. Finalmente la gente ha capito che esisto, che non sono scomparso il giorno che ho lasciato i Pink Floyd. Continuo a scrivere, a lavorare e a fare le mie cose.”
Quali sono i tuoi rapporti attuali con gli altri membri dei Pink Floyd?
“Nick Mason ed io ci adoriamo. Siamo amici da quasi cinquant’anni. C’è stato un breve scisma quando lasciai il gruppo, ed era del tutto comprensibile, ma fu relativamente breve e adesso siamo grandi, grandi amici. E così lo considero. Rick purtroppo è morto. Syd purtroppo è morto. David ed io non siamo mai stati amici, dunque non socializziamo e in verità non abbiamo niente a che fare. E sono contento di tutto questo.”
Con tutto quello che hai in mente, sono sicuro che sia noioso che ti vengano a chiedere di una reunion dei Pink Floyd che ovviamente non ci sarà.
“Vedi risposta a proposito di Howard Stern.”
Ti dispiace riassumere in merito?
(urlando) “No, affatto! Perché non mi chiedi qual è il mio colore preferito? Sai, è una domanda stupida come questa. Tutti conoscono la risposta. E tutti rifanno sempre la stessa domanda. È così stupida! Mi dispiace apparire irascibile.”
Non ti biasimo per questo. Perciò ti chiedo se sei stanco di sentire queste cose.
“Lo so. Tu fai il tuo lavoro.”
Parliamo di Donald Trump. Ti inorridisce il successo che sta conseguendo nella corsa alle primarie?
“Sì, m’inorridisce, naturalmente. Ma in effetti non si può guardare a nessuno dei candidati repubblicani e non rimanerne inorriditi. Hanno tutti una gran voglia di uccidere tutti nel mondo. So di entrare in un terreno minato dicendo questo, ma hanno attitudini fasciste, tutti; è molto difficile ascoltarli. Trump è particolarmente odioso. Pensa di essere furbo perché ha fatto un po’ di soldi e ha a disposizione uno show televisivo di merda. Ma ovviamente non lo è. Non ha un briciolo d’intelligenza.”
E allora secondo te perché è in vantaggio nei sondaggi?
“Perché il vostro elettorato – parliamo solo di quello repubblicano – è tenuto completamente all’oscuro da una maligna rete d’informazione guidata da Fox News ma seguita da vicino da tutte le altre teste parlanti che vogliono solo far sorridere e seguire la linea del partito e non porre mai seriamente alcuna questione, soprattutto a proposito degli Stati Uniti, di com’è il paese e quali ne sono le aspirazioni o che cosa si vuole che sia, tranne che vuole essere la massima potenza imperiale al mondo. Avete basi in 135 paesi, che è straordinario, benché nessuno lo metta mai in discussione.
Investite enormi quantità di risorse nazionali nel Pentagono, utilizzate, fondamentalmente, contro il resto del mondo rendendovi impopolari nei confronti di tutti. E sembra che nessuno affronti questa situazione. È un silenzio che pende su questa grande nazione e penso che sia un silenzio che sta per essere rotto.
È un po’ come quando dicevo a proposito del movimento (BDS, n.d.r.) che prova a conseguire un po’ di giustizia per il popolo palestinese. Comincia a mettere radici e non solo nei campus universitari. Anche nelle chiese. Sono in contatto con esponenti della chiesa presbiteriana degli Stati Uniti d’America. Hanno deciso di recedere dai contratti con Hewlett-Packard, Motorola, Caterpillar e con altre imprese che pare siano coinvolte nell’oppressione del popolo palestinese e nel sostegno al movimento dei coloni, che è del tutto illegale, come sappiamo.
Ovviamente, queste cose non le hai sentite a Jewish Life Television. Non si chiedono mai ‘Perché, secondo voi, l’opinione pubblica mondiale ritiene che il programma degli insediamenti’ in quelli che chiamano i territori ‘è illegale?’ Aspetta; fammi pensare… perché lo è. La legge è scritta, è sancito nei documenti, è evidente. E ai sensi del diritto internazionale, Israele viola la legge 600.000 volte al giorno, solo per la questione degli insediamenti. Ogni singolo colono ebreo nei territori occupati infrange ogni giorno la legge. Non si possono costruire insediamenti in territori occupati militarmente.”
Secondo te, dopo la Seconda Guerra Mondiale nessun conflitto è giustificato?
“No, assolutamente no. Ci sono tante piccole guerre, nessuna ha una giustificazione, a meno che non si pensi che possa essere una ragionevole giustificazione per i conflitti a Panama o in Guatemala o in Nicaragua o in Cile nella necessità di spendere denaro americano e ricorrere ad operazioni segrete americane per cambiare regimi ed imporre dittatori a popoli democratici. Hanno assassinato Salvador Allende e hanno imposto Augusto Pinochet. Quando dico ‘loro’ voglio dire ‘voi’. Gli Stati Uniti d’America hanno fatto queste cose. Tutti sappiamo che lo ha fatto Henry Kissinger. Tutti sappiamo che è successo. Queste cose ovviamente non possono essere definite ‘guerra’. Quando fate queste stesse cose in Guatemala o in Venezuela… la lista è infinita. La vicenda del Vietnam, quella più grande, fu chiaramente ingiusta.”
Consideri la Seconda Guerra Mondiale una guerra giusta, nonostante il bombardamento di Dresda ed altri crimini di guerra?
“Sono sicuro che crimini di guerra furono commessi da tutti durante la Seconda Guerra Mondiale e questa è la cosa più terribile della guerra. Se la gente va in guerra, commette dei crimini. Nessuno rispetta le regole. I maggiori crimini furono commessi dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto nelle fasi finali del conflitto: l’incenerimento della popolazione civile tedesca. Non successe solo a Dresda. Anche ad Amburgo, a Dusseldorf. Circa 13 città furono completamente distrutte senza una ragione di ordine militare, solo per spezzare la volontà della gente. Fu fatto del terrorismo.
Capirono come distruggere la gente usando la tecnica del bombardamento aereo. Ovviamente fecero questo anche in Giappone. Non solo a Hiroshima e Nagasaki. Uccisero molta più gente nel bombardamento aereo di Tokyo che a Hiroshima e Nagasaki. Sono crimini di guerra. Ma non sono stati mai considerati perché abbiamo vinto. Quando vinci non vieni accusato di alcun crimine.”
Nonostante tutto quella guerra doveva essere combattuta, giusto?
“Assolutamente, sì. Hitler… Ritornando alla fine della Prima Guerra Mondiale, pensi: ‘In che cosa abbiamo sbagliato? Che cosa ha dato origine a questo credo politico, durante la Repubblica di Weimar, da cui sono nati il socialismo nazionale e la Germania nazista nel ’33 e nel ’34 da cui, poi, è scaturito tutto? Come fece Hitler a diventare un leader? E bla, bla, bla…’ Si può guardare a quella storia – e ci sono persone molto più sagge di me: storici commentatori politici – che possono capire che cosa successe e vedere dei paralleli con il mondo contemporaneo. Direbbero: ‘Sapete? Bisogna stare attenti a quello che succede.’
È per questo che i Donald Trump e i Ben Carson di oggi sono tanto pericolosi. Per esperienza personale sappiamo che l’elettorato, soprattutto se non informato, male istruito e soggetto ad una costante raffica di propaganda dai principali mezzi d’informazione nel paese di cui sono cittadini, è posto nella condizione di seguire personaggi come quelli nel cataclisma.”
E allora Ben Carson è sufficientemente folle per dire che Obama è come Hitler.
“È davvero spaventoso. Sai, spesso c’è chi mi dice: (con finto accento del sud) ‘Perché non torni in Inghilterra?’ Ed io: ‘Indovina un po’? Hai letto la vostra Costituzione? Hai letto il primo emendamento?’
La gente mi critica perché canto canzoni che criticano Ronald Reagan oppure una come ‘Leaving Beirut’ che critica Tony Blair. C’è, ancora, chi dice: (di nuovo in finto accento del sud) ‘Non ho speso soldi per ascoltare questa merda. Perché non tace e se ne va a casa?’ Bè, dico perché non taccio e vado a casa! Perché le mie convinzioni sono profonde e perché sono un autore e gli autori devono fare questo. Non comprare il biglietto e non venire al concerto, ma non puoi farmi tacere. È illegale.”
Se Donald Trump vince, lascerai il paese?
“No. Penso che se Donald Trump vincerà, tutti noi di buon cuore dovremo restare e dovremo organizzarci per sbarazzarci di lui il prima possibile, prima che lui distrugga il mondo, perché è questo che vuole. Dategli una mezza possibilità che lo farà. Non credo che sarà eletto, ma se dovesse accadere sarebbe un campanello d’allarme per l’America, al di là di ogni aspettativa. E, a proposito, complimenti ai nostri fratelli e sorelle di oltre confine che hanno appena eletto Justin Trudeau contro il terribile Stephen Harper (si riferisce alle elezioni presidenziali in Canada, n.d.r.). Non trovo le parole per dirti quanto sono contento che sia finito.”
Quelle elezioni dimostrano come i sondaggi non siano sempre affidabili, per cui forse i numeri di Trump sono anche gonfiati.
“Sì. Non lo so. È una campagna elettorale inevitabilmente lunga, noiosa e corrotta. Bernie Sanders è una delle poche persone che dicono che Citizens United è uno dei più vistosi passi indietro nella giurisprudenza americana dai tempi… non so, forse dal Harrison Act (Narcotics Tax) nel 1914. Ha ragione. Citizens United è una terribile appropriazione indebita del testo della costituzione, credo. Esso evidenzia che la Suprema Corte, che è di nomina politica, in generale, sui grandi temi vota secondo la linea del partito. Dunque, se ci sono cinque repubblicani e quattro democratici, ci sarà un’opinione repubblicana, come quando fu attribuita la vittoria a Bush dopo il riconteggio in Florida, una sorta di furto ad Al Gore, come è stato fatto con Citizens United, cui stanno dando la possibilità di dare segretamente soldi a chi vogliono e quanto ne vogliono.”
La grande paura, a proposito di Sanders, è che lui è all’estrema sinistra, non può essere eletto su un biglietto nazionale e se i democratici nominassero lui consegnerebbero la Casa Bianca ai repubblicani.
“Bè, su questo potresti avere ragione, ma spero che ti sbagli. È vero che un politico viene marginalizzato se la sua politica appare troppo di sinistra. Devi sapere che lo ammiro proprio per questo, perché quando dice la verità, dice la verità. Sembra molto a sinistra, ma è così perché siamo stati nutriti dalle stronzate della destra dai principali mezzi d’informazione fin dalla Seconda Guerra Mondiale. E questa cosa è peggiorata sempre di più e le voci del dissenso sono diventate sempre di meno. Dunque, deve stare fuori del coro perché la sua voce è dissonante! E questo è positivo per lui.”
Credo che la parola ‘socialista’ spaventi molta gente.
“Il socialismo è una buona cosa! Che cosa è sbagliato del socialismo? Il vostro è l’unico paese nel quale ci sono degli autobus che portano i ragazzi a scuola la mattina. Che cos’è questo se non socialismo? Dico sul serio. Non succede in nessun altro paese al mondo. Poi qualcuno dice: ‘Che cos’è questa cosa?’ ‘Bè, non vogliamo che i nostri figli percorrano quartieri pericolosi per andare a scuola, perciò andiamo a prenderli davanti casa con un autobus e poi li riportiamo.’ E ancora: ‘Bè, grande cosa.’ Questo è socialismo puro.
Se aveste socializzato le medicine, allora davvero avremmo dovuto cominciare a definire questo un paese socialista. Adesso avete almeno un migliore sistema sanitario, grazie a Barack Obama, grazie all’esecutivo di questa amministrazione che sta volgendo al termine. Ma è ancora niente rispetto all’assistenza sanitaria garantita nei 30 paesi maggiormente civilizzati al mondo. Il vostro sistema sanitario è ottimo per gli ultraricchi e per qualche rara forma di cancro. Avete i migliori neurochirurghi al mondo, ma sono al servizio di una piccolissima percentuale di persone. Ma, nel complesso, questo sistema sanitario è terribile, e il suo costo è quasi doppio rispetto ad ogni altra parte del mondo mentre il servizio garantito è pari alla metà. Sai perché?”
Perché?
“Perché è reso da quelle fottute compagnie di assicurazione e a causa dei profitti delle aziende farmaceutiche. Le medicine dovrebbero essere garantite a tutti, sempre, a costi moderati. Naturalmente, le case farmaceutiche dovrebbero conseguire minori profitti, ma non è così. Sono come gli usurai. Succhiano il sangue della gente e la spennano senza pietà. Questo è il mondo in cui viviamo.”
Che dovremmo fare, Roger. Grazie per quello che fai.
“Sai di che cosa c’è bisogno?”
Di che cosa?
“Socialismo!”
Articolo pubblicato su Rolling Stone
Traduzione a cura di Cymbaline – Pink Floyd Fan Club
Fonte: pagina Facebook di Cymbaline – Pink Floyd Fan Club
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