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Spin Doctors – Pocket Full of Kryptonite

Come partire da un album e finire a scrivere confusamente di tutt'altro…

Anzi nemmeno da un album, ma da un singolo, perché se esiste un gruppo cui è rimasta appiccicata una sola immagine, questi sono proprio gli Spin Doctors e l'immagine in questione è quella di Two princes, pezzo così espressivo da imporsi come istantanea fondante ed esemplificativa di quel che avrebbero voluto rappresentare ed essere gli anni '90.
Per chi scrive il maggior interesse che il disco riscuote è esattamente su questo versante.
Trovo, infatti, che sia limitato discutere della qualità musicale degli Spin Doctors, perché è sufficiente un orecchio minimamente avvezzo all'ascolto per assumere che il quartetto di New York ci sapeva fare coi propri strumenti, compresa l'ugola particolarmente "agile" di Chris Barron.
In più, la formazione vantava un gusto genuinamente pop che gli consentiva di unire con semplicità riff classic rock alla CCR, soli ruvidi che pescano dal grunge – ai tempi una genialata visto che il Seattle sound sfondava proprio nel 1991 –, ritmiche di basso sciolte come nel miglior funky, e schemi di batteria che conducono l'ascoltatore a tenere il tempo dei brani senza nemmeno rendersene conto.
Insomma tanta roba, soprattutto in un panorama musicale che nel decennio precedente s'era appiattito su schitarrate al fulmicotóne e tappeti di doppia cassa sempre più sterili.
La sostanza dunque c'era, e per i canoni preconfezionati della musica odierna "fa strano" verificare che i quattro non balzarono direttamente in vetta alle classifiche, ma spinsero i propri pezzi alla vecchia maniera, battendo con assiduità locali newyorchesi e non, fino a sbancare platealmente solo nel 1993 con la pubblicazione del singolo citato in apertura.
Gli Spin Doctors alla fine piazzarono ben 5 milioni di copie nel solo mercato USA, ma non riusciranno più a bissare un successo simile, scivolando lentamente in un dimenticatoio artistico da cui non mi pare li abbia risollevati nemmeno il recente ritorno titolato If the River Was Whiskey.
Archiviata la descrizione sonora è il momento di spendere due parole su quello che in precedenza ho definito come il versante di maggior interesse dell'album: l'aspetto iconografico a livello socio-culturale.
A mia memoria gli anni '90, quelli degli USA che si consacrano impero imponendo in ogni angolo del globo il modo di produzione capitalista, sono identificabili con una manciata di pezzi e tra questi, quello che meglio incarna la cosiddetta "fine della storia" è proprio Two Princes perché sintesi della cultura statunitense declinata in chiave "gioia infinita" – non a caso ai tempi qualcuno definì la musica del gruppo come happy rock –.
Per dirla col politico, insomma, troviamo la messa in musica di quella cultura liberal – liberista che scandì il decennio dei Clinton, impritando l'ultimo quarto di secolo occidentale non solo a livello di narrazione delle élite dominanti, ma anche per quel che riguarda l'universo antagonista.
Non è infatti difficile riscontrare nell'estetica e attitudine degli Spin Doctors una sorta di prototipazione di quello che un decennio dopo verrà chiamato movimento no-global, derivazione ripulita dalle istanze e pratiche più radicali che erano appartenute al suo immediato predecessore nato a Seattle.
A sostegno della mia personale lettura d'interdipendenza tra musica e società i riscontri temporali e geografici sono d'aiuto.
Se infatti non è peregrino il collegamento Spin Doctors – narrazione liberal – Grande Mela, non è da meno quello tra l'altra faccia del decennio statunitense ovvero Grunge – movimento di contestazione – Seattle su cui varrebbe la pena intavolare digressioni a se stanti che non troverebbero adeguato spazio in questo testo, anche perché alla fine, a parlarci della propria natura sono proprio gli stessi Spin Doctors a partire dalla definizione del nome che portano.

 

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