La lettera di un insegnante della scuola dell’infanzia segnala la sempre maggiore difficoltà di fare una scuola a “misura di bambini”.
“Il sistema scolastico italiano è stato per tantissimi anni all’avanguardia dal punto di vista pedagogico e metodologico, le ultime riforme nel campo hanno però affossato questo primato, portando un appiattimento della scuola e del suo modello educativo. Sono un insegnante della scuola d’infanzia ormai da tanti anni e ultimamente ho l’opportunità di girare e lavorare in alcune scuole del comune di Roma, quello che riscontro nella scuola pubblica è una didattica che non porta i bambini e le bambine a diventare futuri uomini e donne capaci di avere un proprio pensiero libero e critico e quindi di essere in grado di agire di conseguenza. Al contrario quello che avviene nelle aule di molte scuole è la normalizzazione dei bambini e delle bambine renderli cioè tutti e tutte uguali agli standard, o meglio dire stereotipi, che la società ci impone. Come avviene nello specifico questo processo? La prima cosa che viene insegnata loro è che si deve stare nelle classi dentro dei recinti ben definiti, ai bambini e alle bambine della scuola d’infanzia (3-6 anni) viene imposto di stare seduti sulle sedie intorno ai tavoli per un grandissimo numero di ore, la cattedra della maestra o raramente del maestro è situata di fronte ai componenti della classe dando ai bambini e alle bambine l’idea, anche visiva, del ruolo di padronanza delle e degli insegnanti e quindi della sottomissione che la classe deve avere nei loro confronti. Questo tipo di intervento fa sì che gli/le alunni/e abbiano già un timore reverenziale nei confronti dell’autorità che in questo frangente è appunto l’insegnante.
Il sistema scolastico ha come perno la meritocrazia e il compiacimento dell’adulto, vengono assegnati ai bambini e alle bambine lavori il cui unico obbiettivo è quello di restare dentro dei confini dati da un modello proposto dall’adulto, togliendo così ogni possibile espressione artistica e comunicativa del singolo, inoltre la richiesta che viene fatta dall’insegnante è quella che il lavoro svolto produca un risultato che deve essere uguale per tutti e che deve rispettare alcuni standard. Questo cambia la prospettiva del ruolo dell’educatore infatti non è più il processo al centro dell’azione educativa ma il risultato che per l’appunto non deve in nessun modo uscire dagli schemi imposti.
Si pretende che bambini e bambine di età compresa tra i 3 e i 6 anni restino fermi per gran parte della giornata pur sapendo che hanno un bisogno biologico di muoversi e di poter dare libero sfogo alla loro energia cinetica. Vengo tarpate loro le ali anche dal punto di vista espressivo, la frase che si sente dire di più nelle classi è: “devi colorare le figure umane di rosa perché vedi noi abbiamo la pelle di questo colore”, non sono ammesse figure umane con la pelle nera, gialla, verde o come un bambino o bambina possa meglio immaginare sia il colore del personaggio disegnato. Questo approccio all’educazione impone una realtà che non può e non deve essere messa in discussione dagli alunni e dalle alunne, dove non c’è spazio per la fantasia e la libera interpretazione. Questo, a mio avviso, porterà a lungo andare verso la standardizzazione degli esseri umani o peggio ancora alla creazione di grandi masse di persone frustrate che non hanno sviluppato capacità di senso critico, di conseguenza incapaci di avere una propria posizione riguardo i temi importanti della vita. Oltre a limitare la capacità di critica e della costruzione di un pensiero personale, questo fa sì che cresceremo futuri adulti che non saranno in grado di sviluppare processi mentali critici, ciò non permetterà loro di crearsi un’idea della realtà che li circonda che possa essere frutto di una analisi personale e di una rielaborazione intellettuale, politica e culturale. Non solo ma questo in termini di vita sociale non favorisce le relazioni personali né tantomeno il confronto umano con chi vive accanto a noi, non favorendo così eventuali forme di organizzazione e permettendo a chi ci governa di spegnere la voglia di lottare nella società. Inoltre quando non c’è capacità critica le persone sono più facilmente manovrabili e più mansuete.
Nella scuola italiana non viene stimolato in maniera adeguata a mio avviso la capacità di instaurare e mantenere relazioni sociali basate sul dialogo e l’ascolto, infatti soprattutto in situazioni di conflitto tra pari è sempre l’adulto che interviene in maniera correttiva, ponendosi al centro della disputa per erigersi giudice tra le parti e dare una risposta che sia correttiva, invece di una conciliativa che favorisca il dialogo tra le parti. In parte questo approccio metodologico è ancora legato ad una vecchissima concezione dell’educazione che ha purtroppo grosse contaminazioni da parte del cattolicesimo perbenista, che hanno lasciato un segno indelebile dentro la nostra cultura, imponendo l’intervento dell’autorità che giudica al di sopra delle parti, senza dare modo ai bambini/e di poter risolvere il conflitto tramite il dialogo ma solo attraverso l’intervento esterno.
I risultati di questo modello educativo stanno iniziando a farsi vedere: negli adulti abbiamo un aumento esponenziali di incapacità di affrontare le situazioni della vita, con un aumento vertiginoso di sindromi da stress e persone con stati d’ansia avanzati. Nei bambini invece la situazione che troviamo è a dir poco preoccupante sono infatti aumentati in maniera vertiginosa i casi diagnosticati di disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione, per non parlare dell’aumento delle diagnosi di dislessia, disgrafia e discalculia. Questo dato ci porta a due possibili conclusioni o c’è un grosso problema di tipo genetico o cosa più probabile la scuola fa delle richieste agli alunni che sono fuori dalla loro portata, quindi vuol dire che il sistema scolastico probabilmente non è organizzato per essere veramente fruibile da tutti/e ma solo per chi rientra negli standard. Data la nota capacità di adattamento dei bambini/e alle situazioni e all’ambiente che li circonda, se non riescono ad adattarsi vuol dire: o che il sistema scolastico non è adeguato, o che le aspettative degli adulti verso di loro non lo sono.
Penso che la scuola debba avere un ruolo centrale all’interno della società perché è l’istituzione che forma le future generazioni della società stessa, affinché possa svolgere il suo compito in maniera efficacie è necessario che torni ad essere al centro del sistema scolastico la figura del bambino e le sue esigenze, inoltre è necessario che nel metodo educativo venga incentivato lo sviluppo del pensiero critico e della sua libera espressione. Si dovrebbe introdurre in maniera strutturale il metodo di apprendimento esperienziale che cambierebbe anche la gestione delle aule e delle zone comuni, dando la possibilità ai bambini/e di avere maggiore possibilità di muoversi liberamente nello spazio, inoltre questo darebbe modo a tutti/e di raggiungere le tappe dello sviluppo evolutivo ognuno con i propri tempi e le proprie modalità. Affinché ciò avvenga bisogna che si torni ad investire nella scuola, sia in termini di risorse economiche sia in termini di aggiornamento e formazione del personale docente, a cui bisogna trasmettere l’importanza del fatto che il bambino sia la centralità all’interno della metodologia e che quindi ha maggiore interesse ai fini didattici e pedagogici il processo piuttosto che il risultato. Questo porterebbe ad una crescita e ad uno sviluppo armonico dei bambini e delle bambine e quindi della società stessa”.
Cit.
Dite:
è faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
perché bisogna mettersi
al loro livello,
abbassarsi, inclinarsi, curvarsi,
farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere
obbligati ad innalzarsi
fino all’altezza
dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi,
alzarsi sulla
punta dei piedi.
Per non ferirli.
Janusz Korczak – “Quando ridiventerò bambino”
- Insegnante scuola dell’infanzia, Roma (candidato di Potere al Popolo)
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Mario Galati
Suggerirei di leggere più Gramsci e meno pedagogisti dell’infanzia.
RM
In merito alla lettera
Capire cosa/chi temere e cosa/chi non temere ci permette di distinguere tra il favorevole e lo sfavorevole, distinguere gli amici dai nemici, o no? perché quindi postulare immediatamente il timore reverenziale quale male?
Che il concetto di meritocrazia equivalga al concetto di compiacimento è tutto da dimostrare e dipende solo dall’universo di riferimento entro il quale ci si esprime; interpretare poi il risultato imprevisto necessariamente quale sbaglio, a mio avviso, dipende più da un errore grossolano dettato dall’incapacità a gestire imprevisti, un errore ascrivibile alla grettezza dell’istruttore per intenderci, che un presupposto teoretico invalidante l’idea che in ambito istruttivo si tratta di passare delle formule codificate, nozioni utili a chiunque ne sia in possesso – partendo dal presupposto che le nozioni non sono tutte uguali. Saper leggere un libro, e forse anche più di uno, gustare un momento, lasciarsi attraversare da un’emozione, compier un’acrobazia con destrezza sono tutte cose necessarie, prerequisiti per poi posizionarsi e partecipare alla dialettica politica della società a cui ci si riferisce. L’istruzione nasce con i bisogni di una democrazia imperialista, non cerchiamo di dimenticare ciò; non saremo mai pronti a traghettarci fuori dal pantano se non percepiamo il pantano democratico.
Per quel che riguarda quanto scrivi al terzo capoverso francamente non capisco come un elemento ascrivibile oramai alla società tutta intera poi non debba ritrovarsi nella categoria degli insegnanti, questi si effettivamente bianchi dalla pelle rosa. Che le capacità autocritiche e quindi di produrre pensiero per le soggettività operanti questi processi mentali dipendano più dalla capacità di rappresentare creativamente un mondo che non c’è che dalla disciplina di capire cosa vogliamo fare diventare quello che c’è per trasformarlo in armonia con i nostri desideri è una posizione ideologica non sostenuta se non dall’enfasi con cui viene espressa.
Per quel che riguarda il conflitto ancora una volta le tue posizioni mi appaiono confuse poiché figlie di un’esperienza con buona coscienza ma in deficit di “profitto”. La questione in aula è molto semplice: c’è un’autorità che presiede al benessere di tutti/e; quello che accade in aula è sua responsabilità, sia che ne sia cosciente sia che non se ne accorga; è un adulto consapevole preposto a fare l’adulto. Il cattivo insegnante crede a questa responsabilità tutta intera, ma anche qui è una questione di grettezza individuale; quello scaltro è consapevole che non si insegna se non si vuole imparare e che talvolta nella sfida dei ruoli è possibile fare di questo infelice scontro un caso fortunato in quanto esperienza redentiva di un disagio inconsapevole e quindi incapace di affrontare le cause poste alla base della sua determinazione. La cosa in aula va fatta molto semplice: se l’autorità (io) vi becca vi espone alla legge (tendenzialmente un pippotto volto a segnalare agli altri l’inadeguatezza del comportamento in oggetto, posto che tendenzialmente nessun comportamento singolo è disastroso ma che se già tre comportamenti risultano inadeguati poi c’è solo confusione); se non vi becco fatti vostri, non do credito agli spioni. In buona sostanza davvero credi che sia possibile una libertà senza vincoli? Davvero pensi che un processo rivoluzionario possa nascere da una sequenza di casi fortuiti? Comunque, anche qui siamo nell’ambito delle opinioni e non di tesi.
Quanto poi dici in merito ai risultati correlando il presente a se stesso come causa di sé la cosa è vera in senso inverso; da un lato la scuola italiana rimane un sistema repressivo e coercitivo di nessun reato e lo è in quanto scuola di uno Stato borghese, tantopiù da quando questo Stato ha rinunciato a dotarsi di una sua scuola infognando ogni discussione nella falsa antitesi scuola pubblica-scuola privata a fronte della questione vera: scuola gestita privatisticamente o con spirito comunitario? Le difficoltà elencate potrebbero trovare la loro ragion d’esser nella continua semplificazione dei compiti di apprendimento e quindi in un processo che, proprio perché nel tempo, richiedendo sempre meno virtù inevitabilmente educa ad una virtù sempre meno virtuosa, decadente, non in ascesa. Credere che bambino faccia rima con cretino ritengo appartenga maggiormente ai fautori della semplificazione delle richieste che ad una soggettività educante che voglia dirsi consapevole e critica.
Anche rispetto al ruolo della della scuola ritengo ingenua e inquietante questa visione per cui la società debba venirne forgiata. La scuola deve fornire a tutti un processo formativo che dall’acquisizione di un insieme di strumenti riesca a destare l’innesco del processo della coscienza individuale prima e dell’autocoscienza collettiva poi. Questo lavoro va monitorato e giudicato in chiave industriale proprio a partire dal primo indice di ogni catena produttiva, lo scarto che produce. Ma c’è un punto in cui siamo d’accordo ed è questo: una scuola capace solo di criticare gli studenti è decisamente una cattiva scuola.