«Centinaia di Pantere erano schierate nel cortile di una scuola del West Side di Chicago, pronte al lavoro quotidiano. Il “presidente Fred” voleva che il suo capo di stato maggiore vedesse il lavoro della sezione dell’Illinois. Le Pantere di Chicago, spiegò Fred, si schieravano in quel modo tutte le mattine, in una dimostrazione di disciplina e impegno. Fred pensava che fosse un buon modo di iniziare la giornata. E lo era.
“Non morirò scivolando sul ghiaccio!”, gridò Fred con un megafono, passando in rassegna lo schieramento come un predicatore battista. “Non morirò scivolando sul ghiaccio!”, risposero le Pantere con un urlo.
“Non morirò in un incidente aereo!” “Non morirò in un incidente aereo!”, risposero all’unisono.
“Morirò per il popolo!”, urlò il presidente alzando il pugno nel gelo del mattino. “Morirò per il popolo!”, venne l’eco. “Perché vivo per il popolo!” “… vivo per il popolo!”
“ Perché mi importa del popolo!” “… importa del popolo!”
“Perché amo il popolo!” “… amo il popolo!”
“Potere al popolo! Potere al popolo! Potere al popolo!”»
Vogliamo la libertà. Una vita nel Partito delle Pantere Nere, Mumia Abu-Jamal, Mimesis Edizioni, 2018
Questo articolo è il riadattamento di una parte dell’introduzione all’autobiografia di Mumia Abu Jamal nelle Pantere Nere: “Vogliamo La Libertà”, che ho co-tradotto e curato. In questo contributo fornisco gli elementi essenziali della vita di Mumia, e delle sue peripezie giudiziarie, al fine anche di riprendere la campagna per la sua liberazione, come quella di tutti i “prigionieri politici” detenuti nelle carceri statunitensi.
Il volume vuole offrire un contributo sulla lotta degli afro-americani negli Stati Uniti fino ad oggi, ma anche far riflettere sul possibile sviluppo attuale del Potere Popolare tra i “Dannati della Terra” anche nel nostro Paese in un contesto dove “l’americanizzazione” della società è un fatto acclarato.
Capire l’origine e lo sviluppo del suprematismo bianco, la governance delle contraddizioni sociali di una porzione del blocco sociale, nonché le forme di resistenza passate e presenti di una parte importante dell’esercito degli esclusi negli Stati Uniti – nella loro combinazione tra soddisfacimento dei bisogni negati e lotta per l’emancipazione politica – può essere una fonte di riflessione politica sul nostro presente anche a queste latitudini e una risorsa per rendere il più possibile concreta la formula: “creare e organizzare Potere Popolare”.
Alla fine degli anni Sessanta, inizio degli anni Settanta, la comunità afro-americana diviene un cuneo che trafigge il cuore dell’Impero.
La forza di questa spinta emancipatrice non viene solamente alimentata dal livello organizzativo raggiunto dalla militanza dei Neri all’interno dei confini statunitensi, ma anche dalle lotte che si sviluppano a livello “tricontinentale”.
Il Vietnam vincerà sarà uno slogan profetico che unirà i popoli del Tricontinente, così come le giovani generazioni delle società “a capitalismo avanzato” delle democrazie occidentali.
La resistenza in Indocina diventerà l’idea-forza della possibilità concreta di sconfiggere la più grande potenza uscita dalla Seconda Guerra Mondiale.
I legami tra la lotta degli afro-americani e quella dei popoli colonizzati era stata espressa chiaramente da Malcom X in un discorso del 20 dicembre 1964: Missisipi, Congo, sono la stessa cosa. Sono in gioco gli stessi interessi.
La concezione anti-imperialista di Malcom sarà una feconda fonte di ispirazione per coloro che formeranno il Partito delle Pantere Nere ed una precisa indicazione politica su che piano collocare lo scontro in atto negli States.
Con l’esplosione dei ghetti metropolitani e la formazione delle Black Panthers la lotta travalicherà gli angusti limiti “integrazionisti” che avevano fino a quel momento caratterizzato il movimento per i diritti civili e le forme di azione non-violenta cederanno il passo ad una resistenza armata contro Lo Zio Sam.
Il 6° punto dei 10 punti programmatici delle Pantere recita: Noi non ci batteremo contro degli altri popoli di colore che, come i Neri, sono vittima del governo razzista dell’America bianca.
La saldatura tra la lotta contro le specifiche condizioni di esistenza degli afro-americani negli States, e la lotta al fianco degli altri popoli del Tricontinente, fanno delle Pantere Nere un precipitato politico in grado di incendiare la prateria statunitense.
Mumia ne ha attraversato la storia e ce la racconta.
La figura di Mumia Abu-Jamal polarizza ancora lo spettro politico statunitense mentre la sua vicenda giudiziaria, dopo oltre trent’anni dal suo arresto, non è ancora conclusa.
Nella primavera scorsa si è riaperta la possibilità di un nuovo giudizio.
Mumia ha sempre sostenuto la sua innocenza.
Nelle prime ore della mattina del 9 dicembre 1981, mentre era alla guida del taxi su cui lavorava, vede suo fratello Billy che veniva picchiato dall’ufficiale di polizia Daniel Faulkner.
Mumia scende ed è colpito da un proiettile nello stomaco, che lo riduce in fin di vita sul marciapiede, mentre Faulkner è morto.
Benché gravemente ferito, viene picchiato dalla polizia, preso a calci, sbattuto contro un palo e scaricato sul pavimento di un ospedale, dove viene nuovamente “pestato”. Viene rinchiuso con l’accusa di omicidio di un ufficiale di polizia.
Mumia è stato condannato alla pena di morte il 4 luglio 1982 da una giuria totalmente bianca, escluso fisicamente dallo svolgimento del “suo” processo per la maggior parte del tempo, mentre testimoni oculari della sua innocenza venivano estromessi – per non citare che alcuni fatti “eclatanti” riguardanti il processo – con una macchina giudiziaria che si è adoperata per costruire le prove della sua colpevolezza in una simbiosi mortale tra apparati polizieschi, inquirenti e giudiziari.
Secondo le dichiarazioni di Amnesty International: “Il processo è stato viziato da elementi inerenti alla politica e alla razza e non ha raggiunto i criteri internazionali di un giusto processo”.
La sua intera vicenda conferma la pregnanza delle parole profetiche di W.E. DuBois, che nel 1903 scrisse: il problema del ventesimo secolo è il problema della linea del colore.
Mumia è fuori dal “braccio della morte” e non più in attesa dell’esecuzione, scontando il corrispettivo di un ergastolo. Ha alle spalle più di 36 anni di detenzione, di cui una trentina passati nel limbo che precede la pena capitale.
Recentemente gli sono stati somministrati – grazie anche alla pressione dovuta a un’importante mobilitazione – i farmaci salva-vita necessari per l’epatite C contratta per una trasfusione di sangue resasi necessaria per le conseguenze della sparatoria che ha preceduto il suo arresto, mentre le sue condizioni di salute permangono comunque critiche.
A fine marzo del 2015 è stato ricoverato per uno shock diabetico e tenuto in terapia intensiva all’ospedale di Pottsville.
A causa delle cure che gli sono state pervicacemente negate da due anni soffre di complicazioni al fegato.
Anche se la condanna a morte fu commutata in ergastolo appare chiaro che il Prisonal-Industrial Complex degli Stati Uniti – in cui sono detenuti il numero e la percentuale più alta di prigionieri a livello mondiale – ha cercato di uccidere Mumia, anche senza procedere alla sua esecuzione formale.
Mumia viene da Philadelfia.
La storia di Philadelfia offre un angolo visuale privilegiato per comprendere cos’è stato storicamente il suprematismo bianco.
È una città piena di tensioni razziali tra la comunità bianca e quella afro-americana entrambe molto povere, in cui ogni miglioramento della condizione dei neri viene visto dai bianchi come una minaccia per il loro status, scatenando violenze che sono storicamente sfociate in veri e propri riots razziali come nel 1871.
È il “prolungamento” urbano del soggiogamento maturato nel Sud Rurale, il lascito del linciaggio e del terrorismo contro la Comunità Nera: una eredità fatta propria delle forze di polizia della città.
Se si vuole avere la cifra della natura razzista della città, si può fare un esempio universalmente comprensibile ricorrendo ad un banale aneddoto sportivo, prendendo in considerazione il “culto della memoria” tra il miglior pugile nero americano di Philadelfia Joe Frazer, e un prodotto dell’industria cinematografica: Rocky Balboa. Come dice Mumia:
Il fatto che abbiano dedicato una statua a Rocky Balboa, un pugile bianco di finzione – invece che al boxer nero – la dice lunga…
Edith Louise, madre di Mumia arrivò negli anni ’50 a Philly, una città in veloce trasformazione a causa della grande ondata migratoria che venne definita Great Migration.
Durante il periodo post-bellico gli afro-americani lasciarono il sud-segregazionista per giungere nei quartieri-ghetto delle grandi metropoli, dove la segregazione urbana, la collocazione lavorativa nelle fasce meno garantite della working-class ed in generale le condizioni di esistenza mutavano la forma ma non la sostanza dell’ “Apertheid” nord-americana.
L’America è il Missisipi. Nord e Sud sono uguali dichiarava enfaticamente Malcom X.
Mumia vive in un caseggiato popolare con 250-300 famiglie composte da immigrati di prima o di seconda generazione.
In questo come in altri ghetti urbani permangono le forme di socialità e di condivisione della comunità nera del Sud, mentre gli spazi attorno ai Projects sono “il mondo” in cui i giovani afro-americani crescono.
È un universo in cui le forme di colonizzazione culturale nelle nuove generazioni prendono forma attraverso per esempio i “fumetti” della Marvel, in cui tutti gli eroi in cui si indentificavano, tra cui Mumia, erano bianchi. In questo contesto, Muhammed Alì, diviene uno dei pionieri della coscienza nera tra i ragazzi di colore: Cassius Clay era il mio nome da schiavo, io sono Mohamed Alì proclama in tono sprezzante di fronte alle telecamere il più grande pugile di tutti i tempi.
Mumia inizia a esplorare il mondo a 10 anni, in una ricerca spirituale precoce tra le varie fedi, una sorta di archetipo delle sue inchieste giornalistiche e della sua attenzione alle forme di resistenza culturale a cui gli afro-americani ricorrevano per far fronte alla propria condizione sin dai tempi della schiavitù: un tema a cui dedicherà tra l’altro un importante studio scritto durante il suo periodo di detenzione: Faith of our Fathers.
Muta il suo nome quando incontra un suo insegnante che conosceva lo Swahili ed entra ben presto in conflitto con la madre che sembra in un primo momento non volere accettare l’abbandono del nome con cui l’aveva battezzato.
Un avvenimento marca indelebilmente la formazione politica di Mumia: il comizio del campione del segregazionismo più radicale a Philadelfia.
Si tratta di Corley Wallace, governatore dell’Alabama dal ’63 al ‘67 che nel discorso inaugurale del suo mandato aveva pronunciato le parole: segregazione ieri, oggi e per sempre. A fine anni Sessanta, non potendo ripresentarsi alle elezioni come governatore, si candida alle presidenziali per l’American Indipendent Party.
Mumia, insieme ad altri 3 coetanei di colore, gridando: “Ungawa! Black Power!” tentano di contestare il comizio di Wallace allo Spectrum con un pubblico composto da decine di migliaia di bianchi.
La folla li aggredisce e un poliziotto mentre Mumia è a terra – chiedendo ingenuamente aiuto dopo essersi accorto della presenza dell’agente – prende la rincorsa e gli sferra un calcio in faccia.
Ho sempre ringraziato quel poliziotto ha dichiarato Mumia perché mi spedì dritto alle Pantere Nere.
Una lettura di un lungo articolo di Rampants che tratta delle BPP lo affascina: un anno dopo fu uno dei suoi fondatori a Filadelfia.
Alcuni critici sostenendo la precocità delle sue qualità letterarie pensano che a 15 anni Mumia scrivesse già come scrive attualmente, a parte per ciò che riguarda la retorica del linguaggio politico d’allora. Il mio lavoro è il giornalismo, inteso in una ottica nera e rivoluzionaria. Scrivere della nostra gente senza censura era, secondo le sue parole, l’approccio che sviluppò e che mantiene tutt’ora.
Nel periodo in cui ci lavora Mumia, cresciuto in fretta e messo subito a regime nel suo ruolo giornalistico, il Black Panther, distribuito agli angoli delle strade dai suoi militanti, vendeva 250.000 copie la settimana!
I militanti delle BPP coniugano una intensa attività militante con il lavoro intellettuale, e si immergono nella lettura dei rivoluzionari del secolo scorso dai classici del marxismo alle figure di spicco dei movimenti per l’indipendenza dei popoli del Tricontinente.
Wesley Cook, cioè il nome con cui Mumia era stato battezzato, compare nelle carte del COINTELPRO, da quando aveva 14 anni, su una foto segnaletica del dossier che riguarda Mumia c’è scritto a penna: morto.
Partecipa alla delegazione che si recò nel luogo dell’omicidio di Fred Hampton che con il tempo si scoprì essere stato assassinato, il 4 dicembre 1969, grazie all’azione di un infiltrato. Questo “informatore” somministrò al giovane leader delle Pantere Nere di Chicago un Cocktail di barbiturici prima di dormire e diede tutte le indicazioni necessarie per l’irruzione mortale della polizia contro lui e Mark Clark.
Durante l’orazione funebre in cui Mumia è uno dei principali oratori, cita le parole del presidente Mao: “Il potere politico scaturisce dalla canna del fucile”.
Nel 1972 grazie ad una generosa borsa di studio si reca nel Vermont a studiare in un ambiente intellettualmente stimolante e caratterizzato dai fenomeni contro-culturali che attraversano il corpo studentesco in quegli anni. Mentre a Philadelfia, come ha dichiarato un giornalista che apparteneva ai tempi alla scena radical: se avevi i capelli lunghi, eri un negro bianco per la polizia.
Oggi gli storici più moderati affermano che Philadelfia era divenuta uno “stato di polizia”, una città in cui il capo, nonché futuro sindaco, Frank Rizzo esercita una sorta di potere assoluto su un corpo militarizzato che si comporta, in particolare nei confronti della comunità afro-americana, come un esercito in un territorio occupato.
Famosa, o per meglio dire famigerata, la foto che lo ritrae in frac con un manganello che spunta dalla parte abbottonata della giacca quando si reca di persona ad una azione di polizia, improvvisamente richiamato “al dovere” durante una serata di gala.
L’operato di Rizzo è una anticipazione delle trasformazioni strutturali e del modus operandi che avranno le forze dell’ordine in futuro come hanno mostrato al mondo le immagini delle mobilitazioni di Ferguson dopo l’omicidio del giovane afro-americano disarmato Micheal Brown il 9 agosto 2014. La risposta militare della polizia ha rivelato il livello raggiunto dai dipartimenti di polizia locale nel loro essere stati equipaggiati con armi, tecnologia militare e addestramento militare, come scrive Angela Davies che conclude: penso che sia importante riconoscere il livello al quale, dopo l’avvento della politica di “guerra al terrorismo”, i dipartimenti polizieschi su tutto il territorio statunitense sono stati equipaggiati con i mezzi pensati per “combattere il terrorismo”.
Mumia Abu Jamal è uno dei pochi giornalisti che denuncia l’operato di Rizzo.
A 15 anni Rizzo e il capo della sezione politica, Georg Fencl, lo tenevano già sotto controllo.
Rizzo divenne capo della polizia nel 1972 proprio quando i Move, una organizzazione afro-americana di stampo comunitario di Filadelfia, muovevano i primi passi: una esperienza che Rizzo cercherà di sradicare con ogni mezzo fino a bombardarne letteralmente le case a metà degli anni ‘80.
Il 13 maggio del 1985 viene infatti lanciato un assalto militare alle case dei MOVE in cui vengono usate più di 10.000 munizioni. Un elicottero sgancia una bomba al plastico fornita dall’FBI. Il bilancio è di 11 morti tra cui 5 bambini: nessuno è mai stato accusato di alcun crimine per questa strage in cui gli Stati Uniti decidono di bombardare dei propri cittadini.
Ramona Africa, colpevole di essere sopravvissuta alla strage viene però incarcerata.
Come dirà Mumia, la logica di tale operazione era quella usata con Da Nang in Vietnam:
bisognava distruggere il villaggio per salvarlo.
I più ignorano il fatto che il primo pestaggio di un afro-americano da parte della polizia ripreso dalle telecamere non fu quello di Rodney King avvenuto negli anni ’90, un episodio significativo perché l’assoluzione dei poliziotti responsabili dell’aggressione fu uno dei motivi scatenanti l’insurrezione urbana di Los Angeles nel 1992, ma quello di Delbert Africa durante un primo tentativo di sgombero manu militari dei Move 8 agosto del 1978.
Mumia fu l’unico giornalista a parlare con i Move e a sentire il loro punto di vista mentre i media sostenevano a spada tratta l’operazione di polizia. Questo lo portò ad uno scontro “con i suoi capi”, così che per mantenere sé e la sua famiglia fu costretto a iniziare a fare il taxista notturno.
Per la sua insistenza a parlare del caso dei Move, il suo responsabile un giorno gli disse stizzito che lo chiamavano “Mumia Africa” perché come giornalista radiofonico dava loro il suo microfono e le loro parole venivano trasmesse da una delle emittenti più importanti della città.
La sua intransigenza lo porta a rifiutare un contratto milionario con una emittente televisiva di Philadelfia perché gli aveva chiesto di tagliarsi i dread. Mumia non ne fa una questione estetica, ma pensa che anche l’accettazione di questa imposizione possa essere un compromesso per cui cedere un poco in un primo momento potrebbe significare capitolare molto successivamente.
Nel 1981 diviene presidente dell’associazione nazionale dei giornalisti neri di Filadelfia:
ANGN e si batte per più marcato orientamento politico di questo e per un atteggiamento “inclusivo” nei confronti dei giornalisti latino-americani, sostenendone la storia di lotte comuni delle due comunità.
Non mancano le campagne denigratorie nei suoi confronti, di cui la più famosa è quella del premio Pulizer Buzz Bissinger tese a screditarne la professionalità giornalistica.
Per dimostrare la falsità e la strumentalità di tali polemiche basta ricordare che per i servizi realizzati durante la visita di Papa Giovanni Paolo II a Filadelfia nel 1979, vince il prestigioso premio Major Armstrong della Columbia University, o che è uno delle 80 persone rilevanti “da tenere sott’occhio” secondo un diffuso magazine locale che lo elogia per la qualità del suo giornalismo radiofonico.
Nel 1981 lavora come giornalista free-lance per la radio ed alcune piccole riviste locali, essendo stato marginalizzato per la sua coerenza anche dal mondo dei media di colore della città: i tempi stanno cambiando, ma Mumia non vuole certo “suonare la musica che piace al padrone”.
***
Se cristo oggi venisse negli USA oggi e desse fastidio alle persone sbagliate, lo condannerebbero alla sedia elettrica. E noi cristiani ci metteremmo delle sedie elettriche al collo. E poi come ci faremmo il segno della sedia?”
Richard Claxton Gregory
Nel 1981 inizia la sua detenzione.
Da Filadelfia viene trasferito un anno dopo a Huntingdon in Pennsylvenia:
É quasi impossibile far capire la vita nel braccio della morte a qualcuno che non l’ha provata, dichiara Mumia.
I colloqui con i vetri divisori, con le manette ai polsi e dopo essersi dovuto sottoporre all’umiliante ispezione rettale sono la norma…
Ma Mumia non rinuncia scrivere e parlando di Mumia Angela Davis dice: credo che ci ricordi il senso della scrittura.
Scrive tutti i libri a mano, non ha accesso a internet e non ha mai visto un computer, con una notevole difficoltà a reperire i testi.
Nel 1991 esce “Tethering on the Brink: Between Death and Life”, in cui descrive la condizione carceraria in questi termini: E la vita qui oscilla tra il banale e il BIZZARRO.
Nel luglio del 1992, il direttore di Prison Radio Noel Hanrahn va in Pensilvenia a registrare la prima trasmissione radiofonica di Mumia successiva l’arresto dopo dieci lunghi anni di silenzio.
Nel 1994 Mumia dovrebbe divenire ospite fisso in una trasmissione radiofonica “All Things Considered” per un canale radiofonico: National Public Radio, con un’audience notevole ma le pressioni sul canale radiofonico fanno sì che venga stralciato dal palinsesto e i suoi commenti saranno parte di “Live from a Death Row” che esce l’anno successivo.
Dopo l’uscita di Death Row, l’autorità carceraria decise di proibire di intervistarlo.
Vinse e le autorità proibirono l’uso di registratori e di telecamere, e il governatore firma la sua condanna di morte.
Nel 1995 è trasferito dal braccio della morte SCI Green, carcere di massima sicurezza situato tra le colline della Pennsilvania, luogo di apprendistato di uno dei torturatori di Abu Ghraib.
Le radici di Guantanamo, di Abu Ghraib, della base di Bagram, e delle camere segrete di tortura degli USA che operano in tutto il mondo, sono profonde nella vita americana, dice Mumia.
L’educazione sentimentale dei militari statunitensi che in pose trionfanti e goliardiche hanno fotografato le sevizie inflitte ai prigionieri nel carcere in Iraq sotto occupazione, emerse nel 2004, si è svolta nelle carceri nord-americane.
Nel 2004 Quando le informazioni a proposito di ciò che succedeva nella prigione di Abu Ghraib sono venute a galla, il presidente Bush ha dichiarato: “ciò che succede in quel luogo non rappresenta l’America che conosco”. Sfortunatamente, oltre due milioni di detenuti nelle carceri statunitensi, i loro familiari e i loro legali, conoscono sulla propria pelle quelle esperienze, che sono la norma negli Usa. Quello che è successo ad Abu Ghraib, quello che sta succedendo in tutte le prigioni segrete in giro per il mondo, quello che sta accadendo a Guantanamo Bay, sono riflessi di pratiche che coinvolgono la quotidianità di uomini, donne e minorenni dietro le sbarre d’America ha scritto l’attivista e avvocato Bonnie Kerness in Dentro le prigioni statunitensi.
Nel 1997 Democracy Now, allora ai suoi primordi radiofonici prima di diventare un canale multimediale, decide di mandare in onda i commenti di Mumia ed alcuni canali su cui sarebbe dovuto andare in onda bloccano non solo la sua trasmissione, ma l’intera programmazione.
Viene boicottato attivamente lo spettacolo teatrale in cui venivano letti i suoi scritti:
“All things Censored” cercando di impedirne di fatto lo svolgimento.
Anche i suoi libri conoscono lo stesso trattamento, ma quanto più si ostacola in qualche modo la pubblicazione o la diffusione tanto più aumenta l’audience.
Cosa offre allora all’”umanità sofferente” Vogliamo la libertà?
Rispondiamo con le parole che Mumia non dedica al suo libro, ma allo studio della storia in una intervista realizzata dopo l’uscita del suo ultimo volume sulla violenza poliziesca.
La Storia offre una fonte inesauribile di esperienza umana che le persone, le comunità e i movimenti possono trarre per avanzare nel futuro. La Storia, perché è ricca di esempi di amore per la libertà delle perone è una potente fonte per il presente e per il futuro! […] La storia non è ciò che è successo anni fa, o ieri. Spiega perché il presente è così com’è; e fornisce delle idee su come trasformare i giorni che verranno.1
E i giorni che verranno rendono ancora più attuale il grido mai soffocato di libertà e lo slogan: all power to the People!
1 Exclusive interview: Mumia Abu Jamal speaks about black lives matter and police violence, Tasasha Henderson, Truthout, 17 luglio 2017 http://www.truth-out.org/opinion/item/41279-exclusive-interview-mumia-abu-jamal-speaks-about-black-lives-matter-and-police-violence
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