Da materialisti non siamo superstiziosi ma in questo mese di agosto si stanno addensando troppe notizie brutte e tristi di cui, volentieri, avremmo fatto a meno.
A volte la tentazione di affidarsi a qualche talismano fa capolino nei momenti di dolore e di stupore ma, poi, la forza della razionalità, della ragione e la fondatezza delle nostre ragioni sociali ci spingono ad andare avanti. Certo in modalità controccorrente, in maniera ostinata e contraria e, persino, sul filo della contraddizione ma occorre andare avanti evitando, anche in maniera inconsapevole, di continuare a “marciare sul posto” come vorrebbero gli apologeti di questo marcio sistema sociale.
In questi giorni funestati da tante notizie negative si è aggiunta la perdita improvvisa di Claudio Lolli.
Claudio non è stato solo un valente musicista ed un autore denso e raffinato ma era – ed è stato sempre percepito – come un vero e proprio poeta che ha saputo mettere in versi, in rime, in sonorità ed, anche, in ragionamenti compiuti, al momento opportuno, le ansie, i desideri, le debolezze e la rabbia, anche quella sottotraccia che è difficile interpretare, di una intera generazione.
La sua produzione non è stata racchiusa esclusivamente nella scrittura di canzoni e ballate ma si è corrobborata di numerosi libri che hanno affrontato temi e questioni che era impossibile scandagliare solo con la musica per quanto originale ed innovativa sia stata quella espressa da Lolli.
In Claudio non è stato presente solo il classico richiamo allo stile dei cantautori (magari in salsa bolognese) ma si sono fuse contaminazioni folk, jazz e richiami alle tradizioni orali e locali che hanno determinato una ricerca ed uno stile inconfondibile e difficilmente ascrivibile ad una formale catalogazione stilistica.
Molti conoscono Claudio per l’indimendicabile disco “Ho visto anche degli zingari felici” che accompagnò quell’anno bello e maledetto (il ’77) che ha segnato in maniera indelebile non solo il ciclo politico italiano ma anche la vita di decine di migliaia di compagne e compagni. Le canzoni di Claudio divennero, immediatamente, la colonna sonora di quello strano movimento in ogni sua espressione: da quelle più squisitamente politiche a quelle che afferivano alla sfera del cosiddetto personale che – in quegli anni – tentò una difficile e complicata armonizzazione/integrazione con le forme del politico.
Insomma nei testi e nelle melodie di Claudio interagivano le lotte per il pane e quelle per le rose molto meglio di quanto sapessero argomentare ed articolare tanti documenti politici incartapecoriti e ridondanti che circolavano a josa in quel periodo.
In tal senso Claudio è stato – con la sua narrazione sonora – un testimone vero e presente che ha saputo cogliere l’intero arco dei desideri e dei bisogni che emergevano in un mondo giovanile sconvolto dal processo di modernizzazione capitalistico che in quell’arco temporale accelerava violentemente il suo corso producendo strappi materiali, modifiche sconvolgenti ed un significativo mutamento nel paese.
Da Borghesia ad Angoscia Metropolitana, dalla canzone dedicata ad Antonio il sardo fino al racconto della ferocia, fredda e democratica, della socialdemocrazia repressiva (Disoccupate le strade dei sogni) lo stile, le parole ed i suoni di Claudio Lolli sono stati un autentico sismogafo del mondo giovanile e dei suoi sommovimenti cultuali, politici ed esistenziali.
In tal senso – dopo l’apice rappresentato delle giornate di Marzo ’77 e dal Convegno contro la repressione del settembre a Bologna – le successive scelte di Claudio non furono mai allusive a forme di disimpegno o di avulsa astrazione ma – anche osservando e mettendo in musica stati d’animo e modi di essere che in prima battutta potevano apparire distanti dalla pura dimensione politica – seppero esprimere una critica (spesso con tratti carsici e surreali) ai rapporti dominanti ed alla pesantezza di un male di vivere sempre più patologia diffusa ed innervata nella società.
Chi scrive conserva un ricordo personale di Claudio e della sua bella disponibilità umana e materiale.
Verso la fine del ’77 un gruppo di compagni napoletani voleva impiantare una radio libera nella nostra città (il nome doveva essere Radio Mariposa) e chiamammo Claudio per un concerto di sottoscrizione (oggi diremmo una serata benefit) che si tenne, con un grande successo di pubblico, nell’allora Palazzetto dello Sport a Viale Giochi del Mediterraneo. Quella sera Claudio ed il suo gruppo suonarono in cambio, sostanzialmente, di un panino ed una birra… poi le vicende di quella radio sono tutta un’altra storia!
Una disponibiltà, quella di Claudio. che non è mai mancata, in ogni parte d’Italia, anche in anni duri e pericolosi, per la vigenza di una pesante repressione statale, come i primi anni ottanta, nella lunga stagione della cosiddetta emergenza antiterrorismo.
Oggi Claudio ci lascia… ma la sua voce vellutata e le sue note uniche ed inconfondibili continueranno a sorreggerci ed a farci compagnia nei momenti di gioia ed in quelli, inevitabilmente, tristi… insomma la sua musica è tra noi e Claudio continua a suonare a dispetto dei potenti, dei re, dei sacerdoti e della loro schiera di servi.
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Daniele
Mio dio, è un dolore spaventoso, io da vecchio comunista ho conosciuto, anche se di sfuggita, il compagno cantautore, mi colpì la sua gentilezza, il suo sorriso, il suo entrare in problemi complicati con leggerezza e chiarire tutto, poi ricordo le notti in Piazza Maggiore a suonare e cantare assieme le sue canzoni; questo prima che Piazza Maggiore fosse incatenata e militarizzata per impedire i ritrovi del popolo……..
Sandro
Nostalgia di quando si stava meglio, con meno di ad3sso…materialmente parlando ,ma culturalmente più ricchi dentro!
Nello Russo
Tristezza infinita a distanza di due anni. Le sue canzoni hanno segnato la rivolta e la speranza del cambiamento. Un grande autore, un altissimo interprete dei disagi sociali ed umani ed anche della voglia di riscatto. Negli anni 70 sono cresciuto anche con le sue liriche in musica.
Claudio vive!